Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 marzo 2018, n. 7490

Somma erogata a titolo di incentivo - Ripetizione operata sullo stipendio - Presupposti giustificativi - Regola generale della ripetibilità dell'indebito ex art. 2033 cod. civ. - Privatizzazione dei rapporti di lavoro presso gli enti pubblici - Deroga prevista per i rapporti di pubblico impiego non contrattualizzati - Non sussiste

Rilevato

che con sentenza in data 15 marzo 2013 la Corte d'appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza n. 2330/2010 del locale Tribunale, respinge le domande di G.C. e degli altri litisconsorti indicati in atti, tutti dipendenti del Comune di Reggio Calabria, volte ad ottenere la dichiarazione di illegittimità della ripetizione operata sullo stipendio della somma erogatagli a titolo di incentivo ex art. 6 B, comma 18, Contratto integrativo decentrato comunale, con condanna del Comune alla relativa restituzione;

che la Corte d'appello precisa che:

a) il Giudice di primo grado ha ritenuto non sufficientemente allegati né i presupposti giustificativi della ripetizione né i criteri di determinazione dell'importo recuperato, senza prendere posizione in ordine alla ripartizione dell'onere della prova;

b) il Comune appellante evidenzia di avere già esposto in modo sufficiente le ragioni della ripetizione, individuate in due irregolarità consistenti, rispettivamente, nel mancato computo di quarantuno lavoratori assunti a tempo determinato e nella mancata considerazione delle presenze giornaliere ai fini del calcolo;

c) a seguito della privatizzazione dei rapporti di lavoro presso gli enti pubblici si deve ritenere operativa la regola generale della ripetibilità dell'indebito nei limiti di cui all'art. 2033 cod. civ., non trovando applicazione nella materia la regola, di carattere eccezionale - enunciata dalla giurisprudenza amministrativa per i rapporti di pubblico impiego non contrattualizzati - della irripetibilità delle somme corrisposte dalla PA ai propri dipendenti e da costoro percepite in buona fede per il soddisfacimento delle normali necessità della vita;

d) inoltre, il trattamento retributivo nel lavoro pubblico, diversamente da quanto accade nel settore privato, è governato dal principio di legalità che rende nulla qualsiasi attribuzione economica che non sia prevista dai contratti collettivi nazionali, la cui disciplina al riguardo non può essere modificata dai contratti integrativi;

e) al riguardo non può trovare spazio neppure l'asserzione dì un errore non riconoscibile, visto che i contratti collettivi di Comparto sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ed equiparati per conoscibilità alle fonti normative;

f) l'incentivo in oggetto è stato corrisposto al ricorrente ed ad altri dipendenti ai sensi dell'art. 6, lettera B, del contratto integrativo decentrato del Comune, che ne prevedeva il prelievo in un importo prefissato da un apposito fondo, in funzione di numerosi parametri tra cui quello del numero dei dipendenti destinatari dell'incentivo stesso e soltanto all'interno dell'importo complessivo predeterminato degli incentivi del Piano lavoro doveva essere effettuata la relativa distribuzione;

g) con Delibera comunale n. 112 del 2004 il Comune ha effettuato un parziale recupero di quanto versato ai dipendenti a detto titolo in quanto, a seguito di azioni giudiziarie da parte dei lavoratori con contratto a tempo determinato originariamente esclusi dalla distribuzione, è emersa la necessità di corrispondere incentivi ulteriori dovendosi procedere ad una rideterminazione della misura degli incentivi;

h) di qui la conseguente necessità di provvedere alla ripetizione delle somme corrisposte in misura maggiore onde non aumentare ulteriormente la spesa a carico del Comune, visto che la capienza del fondo apposito era esaurita;

i) tale allegazione del Comune, chiarita nella comparsa di risposta di primo grado, ha dimostrato in modo sufficiente le ragioni della ripetizione, rappresentate dalla necessità di porre riparo ad una precedente attribuzione "nulla e come tale senza causa in re ipsa";

I) la rilevata completezza dell'allegazione difensiva del Comune, rende decisivo stabilire il riparto dell'onere della prova;

m) al riguardo, nella presente azione di ripetizione di indebito oggettivo, mentre emerge dagli atti che la riduzione degli importi erogati ai lavoratori è stata determinata dalla modifica dei parametri quantitativi di base (numero dei beneficiari e numero delle giornate lavorate), viceversa non si ricava neppure dalle allegazioni del lavoratore le ragione per la quale la somma ulteriore rivendicata, che non trova corrispondenza nel contratto collettivo nazionale, avrebbe dovuto essergli corrisposta;

che per la cassazione di tale sentenza G.C., A.C. e A.M. propongono ricorso affidato ad un unico motivo;

che resiste il Comune di Reggio Calabria con controricorso;

che tutte le parti hanno depositano anche memorie ex art. 380-bis1 cod. proc. civ.;

che il Procuratore Generale deposita conclusioni scritte, concludendo per il rigetto del ricorso.

 

Considerato

 

che con l'unico motivo di ricorso si denuncia ex art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. violazione dell'art. 2033 cod. civ. e del principio di buona fede nonché vizio di motivazione, sull'assunto secondo cui la Corte territoriale, nel considerare nulla l'erogazione della somma effettuata in proprio favore ex art. 6 B del Contratto integrativo decentrato comunale, non avrebbe considerato che essa era il frutto della piena applicazione ed esecuzione delle disposizioni contrattuali, riguardanti l'orario di lavoro, la difficoltà dei turni, oltre che i maggiori risultati ottenuti;

che i ricorrenti sottolineano come la disposta ripetizione non poteva, quindi, considerarsi il frutto di indebito originario, ma di nuova valutazione discrezionale del Comune in ordine ai criteri di liquidazione;

che, comunque, non sussistevano i presupposti per la ripetibilità delle somme ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. in quanto, nella descritta situazione, i lavoratori, in buona fede, ritenevano di dover dividere il fondo de quo solo con gli altri dipendenti a tempo indeterminato, visto che per decisione del Comune i lavoratori a tempo determinato erano stati esclusi dal fondo, inoltre il pagamento era stato eseguito regolarmente sicché il Comune per pagare il compenso anche ai lavoratori a tempo determinato avrebbe dovuto reperire i fondi in altri capitoli di spesa;

che in ogni caso l'errore - sempre che di errore si sia trattato - non era riconoscibile dagli accipientes in buona fede;

che, inoltre, diversamente da quanto affermato dalla Corte d'appello per la restituzione dovrebbe essere necessario l'accertamento dell'essenzialità e della ricanoscibilità dell'errore dall'altro contraente come stabilito da Cass. 17 aprile 2000, n. 4942, secondo cui: "le retribuzioni fissate dai contratti collettivi costituiscono le retribuzioni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che sia impedito al datore di lavoro erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse determinate a seguito di contrattazione tra le parti o semplicemente da lui offerte al lavoratore, e senza che, in tali ipotesi, si possa parlare di spirito di liberalità, atteso che la retribuzione, quale ne sia la misura, costituisce sempre la controprestazione del lavoro svolto dal dipendente; ne consegue che, ove il datore di lavoro richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo, non può limitarsi a provare che il suddetto contratto prevede, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dall'altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 cod. civ.";

che il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte;

che i ricorrenti, infatti non contestano in modo adeguato la statuizione della Corte - idonea a sorreggere la decisione - relativa alla nullità dell'erogazione dell’incentivo nella misura originariamente corrisposta per il fatto di essere un'attribuzione economica non prevista dalla contrattazione collettiva nazionale di Comparto, ma solo dal contratto integrativo decentrato e quindi in contrasto con il principio di necessaria legalità;

che invero i lavoratori si limitano, sul punto: a) ad osservare che la nullità della elargizione doveva essere esclusa perché detto incentivo traeva origine dal contratto integrativo ed era stato erogato nella piena applicazione ed in esecuzione dei requisiti contrattuali previsti nella contrattazione decentrata tenendo conto dell'orario, della difficoltà dei turni, oltre che dei maggiori risultati ottenuti; b) a richiamare giurisprudenza di legittimità non pertinente, perché riguardante il lavoro privato e la relativa contrattazione (sentenza n. 4942 del 2000, cit.);

che, di conseguenza, in assenza di alcuna specifica contestazione relativa alla suddetta autonoma ratio decidendi - la quale risulta, di per sé, conforme all'art. 40 d.lgs. n. 165 del 2001 (vedi: Cass. 9 ottobre 2013, n. 22961), che dispone che "le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate" - trova applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, l'omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 1973, n. 2499; Cass. SU 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. SU 29 maggio 2013, n. 7931; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 27 maggio 2014, n. 11827; Cass. 17 giugno 2015, n. 12486);

che le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura de 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.