Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 ottobre 2017, n. 23338
Tributi - Imposte sui redditi - Reddito di impresa - Determinazione - Costi per la stipula di un finanziamento pluriennale - Deducibilità nel periodo in cui si ottiene la somma mutuata
Fatti di causa
1. Con sentenza del 28 ottobre 2009 la Commissione tributaria regionale di Napoli, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza del 10 ottobre 2007 della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso proposto dalla S.p.a. A.P. nei confronti dell'avviso di accertamento con cui era stato rettificato il suo reddito imponibile per il periodo di imposta 2003 (affermando che tutti i costi ripresi dalla amministrazione erano, invece, inerenti e pienamente deducibili), ha dichiarato legittimo l'accertamento della Agenzia delle Entrate per l'anno d'imposta 2003 ai fini Irpeg e Irap, limitatamente a un maggior reddito di euro 813.934, compensando integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S.p.a. A.P., affidato a sei motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione dell'art. 57, comma 1, d.lgs. 546/92, per il mancato rilievo da parte della Commissione tributaria regionale dell'inammissibilità dell'appello dell'Agenzia delle Entrate, che aveva con tale atto prospettato motivi nuovi non rilevabili d'ufficio, in violazione della disposizione denunciata, in quanto erano state considerate e accolte argomentazioni della Agenzia delle Entrate, in ordine alla valutazione della transazione stragiudiziale conclusa dalla ricorrente con società A.P., che non risultavano dalla motivazione dell'avviso di accertamento e che non erano state oggetto di valutazione da parte della Commissione tributaria provinciale di Napoli, determinando in tal modo un ampliamento dell'oggetto del giudizio e introducendo nuove motivazioni a sostegno dell'accertamento in precedenza non dedotte.
2.2. Con un secondo motivo ha denunciato violazione dell'art. 53, comma 1, d.lgs. 546/92, a causa dell'omesso rilievo da parte della Commissione tributaria regionale della eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata dalla ricorrente con l'atto di costituzione in tale grado di giudizio, fondata sulla totale mancanza della esposizione dei fatti e dei motivi specifici della impugnazione, essendo tale atto del tutto privo di riferimenti specifici alla motivazione della sentenza di primo grado impugnata dalla amministrazione fiscale, che, tuttavia, la Commissione tributaria regionale aveva del tutto omesso di esaminare.
2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata riguardo alla suddetta eccezione di inammissibilità dell'appello della Agenzia delle Entrate.
2.4. Con un quarto motivo ha lamentato violazione dell’art. 66, comma 2, d.P.R. 917/86, per l'erronea considerazione da parte della Commissione tributaria regionale della portata della transazione conclusa dalla ricorrente, che avrebbe avuto lo scopo di dissimulare una perdita su crediti, mentre riguardava la diversa ipotesi di riduzione di ricavi, non essendo stata adeguatamente considerata la genesi e la portata della transazione conclusa dalla ricorrente con la società brasiliana debitrice.
2.5. Con un quinto motivo ha denunciato violazione dell'art. 67 d.P.R. 917/86, per l'erronea affermazione della inapplicabilità della aliquota di ammortamento del 40% anche agli stampi industriali per la lavorazione di materie plastiche acquistati dalla ricorrente e recuperati a tassazione, essendo stata ritenuta in proposito applicabile la diversa aliquota del 12,5%, riferita ad altra tipologia di beni, e cioè a semplici stampi, in quanto nella specie gli stampi in questione erano destinati alla realizzazione di parti in plastica per autovetture, soggetti a una durata massima di uno o due anni, e dunque rientranti nella categoria di beni soggetti alla suddetta aliquota di ammortamento.
2.6. Con un sesto motivo ha prospettato violazione dell'art. 74, comma 3, d.P.R. 917/86, per l'erronea considerazione delle spese di consulenza sostenute per la stipula di un contratto di mutuo, che avrebbero dovuto, ad avviso della Commissione tributaria, essere ripartite in più esercizi, imputando a ciascun esercizio la frazione di tali spese di sua competenza, non trattandosi di spese relative a più esercizi.
3. L'Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all'udienza di discussione.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è fondato limitatamente al sesto motivo.
2. Giova premettere che con la decisione impugnata la Commissione tributaria regionale di Napoli ha parzialmente accolto l'appello proposto dalla Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli del 10 ottobre 2007, che aveva ritenuto che tutti i costi ripresi nei confronti della S.p.a. A.P., in relazione alle sue dichiarazioni ai fini Irpeg e Irap relative all'anno 2003, fossero inerenti e pienamente deducibili, affermando che:
- è corretta la ripresa dei maggiori ammortamenti per euro 473.789, operati in violazione dell'art. 102 d.P.R. 917/1986, in quanto il d.M. 31/12/1988 prevede per i macchinari operatori, forni e stampi, un coefficiente di ammortamento del 12,5%, mentre la A.P. aveva applicato ai propri stampi industriali il coefficiente di ammortamento del 40%, utilizzato per attrezzatura varia e minuta di laboratorio, che non corrispondeva alle strumentazioni utilizzate e al settore merceologico esercitato;
- corretta è anche la ripresa degli oneri accessori dell'ammontare di euro 79.000 relativi alla consulenza per il conseguimento di un contratto di finanziamento poliennale, che avrebbe dovuto essere ripartita per gli anni di durata del prestito ottenuto, secondo quanto stabilito dal principio contabile n. 24;
- corretta risulta anche la ripresa di sopravvenienze passive per euro 261.145, essendo, in realtà, le stesse qualificabili come volontarie rinunce a crediti commerciali esistenti e potenziali, come tali non detraibili dal reddito imponibile.
La Commissione tributaria regionale ha, pertanto, dichiarato legittimo l'accertamento della Agenzia delle Entrate per l'anno d'imposta 2003 ai fini Irpeg e Irap limitatamente a un maggior reddito di euro 813.934.
3. Ciò premesso, quanto all'oggetto del giudizio, il primo motivo di ricorso, mediante il quale è stata eccepita l'inammissibilità dell'appello proposto dalla Agenzia delle Entrate, sulla base del rilievo che con tale atto è stata prospettata l'inefficacia di una transazione con una società estera non risultante dall'avviso di accertamento e non valutata dalla Commissione tributaria provinciale, non è fondato.
Va al riguardato ricordato il consolidato principio ermeneutico secondo cui "nel processo tributario di appello la novità della domanda deve essere verificata in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata nell'atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poiché il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l'Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall'atto Impugnato, sia per quanto riguarda il "petitum" sia per quanto riguarda la "causa petendi". Ne consegue che, per eccepire validamente la inammissibilità dell'appello per novità della domanda, è necessario dimostrare che gli elementi dedotti in secondo grado dall'Amministrazione non sono stati evidenziati neppure nel processo verbale di constatazione e nel conseguente avviso di accertamento oggetto dell'impugnazione" (Sez. 5, Sentenza n. 10806 del 28/06/2012, Rv. 623225; conf. Sez. 5, Sentenza n. 9810 del 7/5/2014, Rv. 630680; Sez. 6-5, Ordinanza n. 11223 del 31/05/2016, Rv. 639912; Sez. 6-5, Ordinanza n. 23587 del 21/11/2016, Rv. 641749).
Alla stregua di tale orientamento, che il Collegio condivide e ribadisce, consegue l'infondatezza del rilievo sollevato dalla ricorrente con il primo motivo, non essendo stata formulata dalla Agenzia delle Entrate una eccezione o una deduzione nuova, del tutto estranea all'accertamento, ma sono state solamente argomentate le ragioni della ritenuta indetraibilità di sopravvenienze passive dell'ammontare di euro 261.145,29, derivanti dalla transazione conclusa con la A.P., già indicate come voci non detraiblli nell'accertamento (con rinvio, per maggiore specificazione, al processo verbale), di cui sono state illustrate e specificate le ragioni della indetraibilità, con la conseguente insussistenza della ragione di inammissibilità dell'appello prospettata dalla ricorrente, posto che non si versa in ipotesi di eccezioni o deduzioni nuove e non si è neppure, di conseguenza, verificato alcun pregiudizio al diritto di difesa della contribuente.
4. Il secondo motivo, mediante il quale è stata denunciata l'inammissibilità dell'appello proposto dalla Agenzia delle Entrate a causa della assoluta mancanza dei motivi posti a sostegno di tale impugnazione, è inammissibile.
Tale doglianza non può, infatti, essere apprezzata da questa Corte, a causa della mancanza di autosufficienza del ricorso, al quale non è stato allegato, né trascritto, l'atto di appello della Agenzia della Entrate, cosicché dal solo esame del ricorso non è dato rilevare il contenuto di tale atto di impugnazione, la cui genericità non sarebbe stata rilevata e dichiarata dalla Commissione tributaria regionale.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - che trova la propria ragion d'essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte - vale anche in relazione agli atti di appello rispetto ai quali si eccepisca la inammissibilità a cagione della loro genericità, con la conseguenza che, ove il ricorrente denunci tale vizio, deve riportare nel ricorso, nel suo impianto specifico (o quantomeno nelle parti salienti), il predetto atto viziato, onde consentire la verifica della sussistenza di tale vizio (Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012, Rv. 621100; Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012, Rv. 623401; Sez. L, Sentenza n. 11477 del 12/05/2010, Rv. 613519).
Consegue, in difetto di siffatta allegazione, l'inammissibilità della doglianza, di cui è precluso l'apprezzamento della fondatezza a cagione di detta omissione.
5. Analogo ordine di considerazioni può essere svolto a proposito del terzo motivo, mediante il quale è stata prospettata l'insufficienza della motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata riguardo alla eccezione di inammissibilità dell'appello della Agenzia delle Entrate, giacché anche di tale doglianza è precluso l'apprezzamento in conseguenza della mancata allegazione o trascrizione nel ricorso dell'atto d'appello della Agenzia delle Entrate, con la conseguenza che tale omissione impedisce di verificare la adeguatezza e la pertinenza sul punto della motivazione della sentenza impugnata.
6. Il quarto motivo, mediante il quale è stata prospettata violazione dell'art. 66, comma 2, d.P.R. 917/86, per l'erronea valutazione da parte della Commissione tributaria regionale della portata della transazione conclusa dalla ricorrente con la A.P., che avrebbe avuto, a giudizio della Commissione tributaria, lo scopo di dissimulare una perdita su crediti, mentre avrebbe riguardato la diversa ipotesi di riduzione di ricavi, non è fondato, non versandosi in ipotesi di riduzione di ricavi, bensì di una obiettiva perdita su crediti, da ricondurre a una scelta del contribuente.
E' stato, infatti, affermato che, in tema di tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, delle perdite su crediti, la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente, perché il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa, potendo l'imprenditore legittimamente compiere operazioni antieconomiche in base a considerazioni di strategia generale e in vista di benefici economici su altri fronti (Sez. 6-5, Ordinanza n. 10256 del 02/05/2013, Rv. 626266; conf. Sez. 5, Sentenza n. 7860 del 20/04/2016, Rv. 639624, nella quale è stato precisato che "La disciplina fiscale della perdita su crediti, di cui all'art. 101, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986, stabilisce che l'inesigibilità del credito deve risultare da "elementi certi e precisi", sicché, ove la perdita derivi da rinuncia al credito, occorre che l'atto unilaterale di rinuncia sia giustificato da un'effettiva irrecuperabilità del credito, rientrando diversamente negli atti di liberalità indeducibili a fini fiscali").
Consegue, in mancanza della dimostrazione della effettiva irrecuperabilità del credito, di cui è onerato il contribuente (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 447 del 14/01/2015, Rv. 634516), la correttezza della qualificazione della somma oggetto della transazione e ripresa a tassazione come perdita su crediti, anziché come riduzione di ricavi, non essendo stata prospettata né dimostrata la assoluta inesigibilità del credito, con la conseguente infondatezza della censura.
7. Il quinto motivo, mediante il quale è stata prospettata violazione dell’art. 67 d.P.R. 917/86, lamentando l'erroneità della affermazione della Commissione tributaria regionale circa l'inapplicabilità della aliquota di ammortamento del 40% agli stampi industriali per la lavorazione di materie plastiche acquistati dalla ricorrente e recuperati a tassazione, essendo stata ritenuta al riguardo applicabile la diversa aliquota del 12,5%, è inammissibile, essendo volto a censurare un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, non sindacabile nel giudizio di legittimità.
Al riguardo, infatti, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto corretta la ripresa dei maggiori ammortamenti per euro 473.789,00, operati in violazione dell'art. 102 d.P.R. 917/86, considerando applicabile, in dipendenza della natura e delle caratteristiche dei beni, un coefficiente di ammortamento del 12,5% in luogo di quello del 40% applicato dalla contribuente (sulla base del rilievo che i beni ammortizzabili in questione consisterebbero in stampi destinati alla realizzazione di parti in plastica per autovetture, soggetti a una durata massima di uno o due anni, dunque assimilabili alla attrezzatura varia e minuta di laboratorio, soggetta al suddetto coefficiente di ammortamento del 40%, anziché a quello del 12,5% applicabile ordinariamente agli stampi).
Le censure della ricorrente sono dirette nei confronti di tale accertamento di fatto (circa la natura e le caratteristiche dei beni ammortizzabili e la conseguente applicabilità agli stessi di un determinato coefficiente di ammortamento), adeguatamente motivato dalla Commissione tributaria, che ha dato atto che il coefficiente di ammortamento applicato dalla ricorrente non corrisponde né alle strumentazioni utilizzate né al settore merceologico di competenza, con la conseguente insussistenza dei presupposti per applicare detto coefficiente: tale accertamento, presupposto della ripresa a tassazione, non è censurabile nel giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità della doglianza.
8. Fondato risulta, infine, il sesto motivo.
Mediante tale doglianza la ricorrente ha prospettato violazione dell'art. 74, comma 3, d.P.R. 917/86, per l'erroneità della affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui le spese di consulenza sostenute per la stipula di un contratto di mutuo avrebbero dovuto essere ripartite in più esercizi, imputando a ciascun esercizio la frazione di tali spese di sua competenza.
In proposito questa Corte ha già affermato, e si tratta di principio che il Collegio condivide e ribadisce, che il costo per la stipulazione di un mutuo a restituzione dilazionata in più anni va detratto integralmente nell'esercizio in cui si ottiene la somma mutuata, trattandosi di spesa di competenza di detto esercizio e non di quelli successivi, nei quali vanno a ricadere non i vantaggi del prestito, ma le scadenze delle obbligazioni restitutorie (Sez. 5, Sentenza n. 6172 del 02/05/2001, Rv. 546398; in termini, sia pure a proposito dei costi di registrazione di un marchio, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 22021 del 13/10/2006, Rv. 595325).
Ne consegue la fondatezza del rilievo sollevato dalla contribuente con il sesto motivo, relativo alla imputazione dell'intero costo della consulenza concernente la stipula del contratto di mutuo alla annualità nel corso della quale tale costo è stato sostenuto, trattandosi di spesa di competenza dell'esercizio nel corso del quale il contratto di mutuo è stato concluso e nel quale sono ricaduti tutti i relativi vantaggi.
9. In conclusione deve essere accolto il sesto motivo di ricorso e rigettati gli altri motivi e, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo in relazione alla ripresa del costo della consulenza relativa al contratto di finanziamento, da imputare per intero quale costo della annualità nel corso della quale esso è stato sostenuto (fermo restando il giudicato interno sull’annullamento di altra ripresa per € 12.396)
La soccombenza reciproca costituisce ragione sufficiente per compensare interamente le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo in relazione alla ripresa del costo della consulenza relativa al contratto di finanziamento, da imputare per intero quale costo della annualità nel corso della quale è stato sostenuto.
Compensa integralmente le spese dell'intero processo.