Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2016, n. 22790

Elenchi dei lavoratori agricoli - Disoccupazione agricola - Pagamento

Svolgimento del processo

 

Si controverte dell'entità delle spese di causa liquidate dal giudice del lavoro del Tribunale di Salerno nel giudizio in cui veniva ordinato all'Inps di reiscrivere F.V. negli elenchi dei lavoratori agricoli del comune di residenza per l'anno 2003 per 102 giornate, con condanna dello stesso istituto al pagamento della disoccupazione agricola e delle spese di lite, liquidate in € 450,00, di cui € 300,00 per onorario, con attribuzione al difensore.

A seguito di impugnazione principale del F. ed incidentale dell'Inps la Corte d'appello di Salerno, con sentenza del 22.12.10 - 18.1.2011, ha accolto parzialmente il gravame dell'assicurato ed ha condannato l'ente previdenziale al pagamento delle spese di primo grado, liquidate complessivamente in € 1994,00, ha dichiarato assorbito l'appello incidentale ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata, dopo aver rilevato che non era dato comprendere in base a quali elementi il primo giudice avesse quantificato le spese di lite in € 450,00.

Per la cassazione della sentenza ricorre il F. con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Resiste l'Inps con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., della legge n. 794/42 e successive modifiche, dell'articolo unico della legge 7/11/57 n. 1501, della Tariffa professionale adottata con delibera del Consiglio Nazionale Forense del 20/2/2002 ed approvata con D.M. 8/4/2004 n. 127 e Tabella B, paragrafo I (processo di cognizione), colonna 14 (valore minimo), nonché violazione e falsa applicazione di legge e del principio del rispetto e dell'inderogabilità dei diritti, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Nel contempo, il medesimo denunzia il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.

In particolare, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello ha ritenuto di ridurre l'ammontare dei diritti relativi al giudizio di primo grado da euro 1387,00 ad euro 1268,00, limitandosi ad affermare che nella nota spese erano state incluse voci relative ad attività successive alla decisione del giudizio di primo grado, senza indicare, però, quali sarebbero state le attività non riconoscibili ai fini della liquidazione.

Il motivo è fondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. Sez. L, n. 7156 dell'1/9/1987), "con riguardo alla liquidazione degli onorari d'avvocato ed ai diritti di procuratore, nelle spese di lite relative al giudizio di cognizione devono comprendersi anche quelle conseguenti alla sentenza conclusiva del giudizio e quindi nella liquidazione delle stesse il giudice deve tener conto dei diritti relativi al ritiro del fascicolo di parte e all'esame della sentenza."

Di recente si è, poi, ribadito (Cass. sez. 6 - L. n. 548 del 15.1.2015) che "in tema di liquidazione delle spese processuali, le attività strumentali alla conoscenza del contenuto del provvedimento e alla successiva fase d'impugnazione - quali la richiesta di copie, il loro ritiro, la notifica della sentenza, l'accesso all'ufficio per ottenere l'atto notificato, l'esame della relazione di notifica e il prelievo del fascicolo - attengono alla fase del giudizio di cognizione, come previsto dalla tabella B allegata al d.m. 8 aprile 2004, n. 127 ("ratione temporis" applicabile), sicché le relative indennità vanno incluse dal giudice nel computo totale dei diritti richiesti con la nota spese." (conf. a Cass. sez. 6 - L., Ordinanza n. 16434 del 18.7.2014).

D'altra parte, anche la difesa dell'Inps riconosce che se si dovesse dar seguito all'orientamento di cui al citato precedente n. 7156/87 di questa Corte, il ricorrente avrebbe diritto a vedersi integrata la liquidazione delle spese con l'importo di € 19,00 per l'erronea esclusione della voce "ritiro fascicolo", mentre, a suo giudizio, sarebbe corretta l'esclusione delle restanti voci per complessivi € 100,00, relativi all'attività di doppia notifica della sentenza.

Senonché, nella fattispecie risulta dalla nota spese di primo grado, prodotta nel giudizio d'appello, che la voce "ritiro fascicolo" fu correttamente chiesta tre volte: una prima volta (€ 19,00) per il ritiro della copia della sentenza da notificare, una seconda volta (€ 19,00) per il ritiro della sentenza notificata ed una terza volta (€ 19,00) per il ritiro del fascicolo.

Inoltre, in base ai precedenti sopra citati, competevano al difensore anche i diritti per l'espletamento delle seguenti attività: richiesta di due copie della sentenza (€ 24,00), notifica della sentenza (€ 19,00) ed esame della relazione di notifica (€ 19,00), così come puntualmente riportate nella citata nota spese.

In definitiva, la Corte territoriale ha erroneamente escluso dal computo dei diritti di procuratore l'importo di € 119,00, rappresentato dalla sommatoria delle citate voci che non potevano non essere riconosciute al difensore per l'espletamento delle suddette attività resesi necessarie a seguito della emanazione della sentenza, al fine di poterne estrarre copie e notificarla alla controparte, il tutto a completamento del procedimento di primo grado.

2. Col secondo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge n. 794/42, in combinato disposto con l'art. 60 di RDL n. 1578/33, nonché dell'art. 91 c.p.c. e del principio del rispetto e dell'inderogabilità del minimo dell'onorario, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché della carente e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, dell'errore di giudizio e del vizio di motivazione idonea a giustificare la decisione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.

In particolare, si sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nel ridurre il minimo dell'onorario di avvocato in considerazione della materia particolarmente semplice dell'oggetto del contendere, valutazione, questa, che secondo il presente assunto difensivo, sarebbe apodittica, oltre che inesatta, posto che non si trattava di causa di invalidità di natura ripetitiva, come affermato in sentenza, bensì di accertamento della sussistenza del rapporto agricolo e di richiesta di pagamento della disoccupazione agricola.

Il motivo è infondato.

Anzitutto, si rileva che l'erroneo riferimento operato dalla Corte d'appello all'oggetto della causa non appare rilevante ai fini che qui interessano, posto che la stessa Corte ha correttamente qualificato la natura della controversia nella parte narrativa della sentenza, così come ha ritenuto esatto l'inquadramento eseguito dall'appellante nella parte della motivazione in cui ha proceduto al controllo analitico della sua nota spese. Ne consegue che il giudizio espresso in merito alla semplicità della causa, ai fini dell'applicazione dell ’art. 4, della legge 13 giugno 1942 n. 794 che, integrando la previsione contenuta nel r.d. 27 novembre 1933 n. 1578, consente la riduzione sino alla metà dei minimi degli onorari, risulta, comunque, validamente ancorato alla parte della decisione in cui è stato operato il richiamo al corretto inquadramento della controversia.

Né va dimenticato che questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Cass. sez. lav. n. 949 del 20.1.2010) che "in tema di onorari di avvocato, e con riferimento alla liquidazione a carico della parte soccombente nel giudizio si applica l'art. 4, della legge 13 giugno 1942 n. 794 che, integrando la previsione contenuta nel r.d. 27 novembre 1933 n. 1578, consente la riduzione sino alla metà dei minimi degli onorari nelle cause di particolare semplicità senza l'esibizione del parere del Consiglio dell'Ordine, prevista, invece, per la liquidazione delle spese a carico del cliente."

3. Attraverso quest'ultimo motivo il ricorrente censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché per vizio di motivazione, carenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.

Il ricorrente contesta, in pratica, la decisione della Corte di merito di ritenere compensate tra le parti le spese del giudizio d'appello, decisione, questa, che sarebbe stata adottata, a suo giudizio, in violazione del principio della soccombenza, senza una spiegazione dei giusti motivi atti a derogarlo.

Il motivo è infondato.

Invero, si è già avuto modo di statuire (Cass. Sez. 5 n. 15317 del 19.6.2013) che "in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi."

Orbene, la Corte territoriale ha fatto corretto uso del governo delle spese nella parte in cui, con motivazione adeguata ed esente da rilievi di legittimità, ha spiegato che i giusti motivi che la inducevano a ritenere interamente compensate tra le parti le spese del secondo grado di giudizio risiedevano nelle stesse questioni trattate, nella natura della controversia in fase d'appello e nell'unicità dell'argomento devoluto. Ne consegue che l'impugnata statuizione non merita le censure di violazione del principio di soccombenza, stante il parziale accoglimento del gravame, né quelle di insussistenza di ragioni atte a derogare un siffatto principio, avendo la Corte di merito esplicitato in maniera congrua i giusti motivi che militavano a favore della decisione di compensazione integrale delle spese.

In definitiva, va accolto solo il primo motivo del ricorso, mentre gli altri due vanno rigettati. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell'art. 384, comma 2°, c.p.c., la causa va decisa nel merito con la condanna l'Inps al pagamento dell'ulteriore importo di € 119,00, oltre quello già liquidato, con attribuzione dello stesso all'avv. A.F., dichiaratosi antistatario.

I ridotti limiti entro i quali è stato accolto il presente ricorso, in considerazione della riconosciuta fondatezza di un solo motivo su tre, nonché la modesta entità dell'importo liquidato a titolo di diritti di procuratore, inducono questa Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna l'Inps al pagamento dell'ulteriore importo di € 119,00, oltre quello già liquidato, con attribuzione all'avv. A.. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.