Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2016, n. 22799

Licenziamento giusta causa - Malattia del dipendente - Visite mediche di controllo - Assenza presso il domicilio dichiarato - Tardività contestazione disciplinare - Esigenze di accertamento dei fatti o complessità della struttura organizzativa - Ammissibilità maggiore spazio

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza resa pubblica il 15/6/2015 la Corte d'appello di Torino, in riforma della decisione emessa dal Tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda proposta da N.B. con ricorso ex art. 1 comma 48 I. n. 92 del 2012.

La lavoratrice aveva chiesto accertarsi la illegittimità del licenziamento intimatole in data 1/6/2013 dalla I.S.P. s.r.l. per giusta causa, in relazione all'assenza presso il domicilio dichiarato, accertata dal medico Inps in occasione delle visite mediche di controllo dello stato di malattia, svolte nei giorni 14 e 19 agosto 2012. La ricorrente aveva in particolare dedotto la nullità del licenziamento sul rilievo della sua tardività, essendo intervenuto a distanza di vari mesi dalla contestazione disciplinare.

La tesi di parte ricorrente, recepita dal giudice di prima istanza, è stata disattesa dalla Corte distrettuale. Il giudice dell’impugnazione ha proceduto ad una dettagliata descrizione dell'iter disciplinare seguito dalla parte datoriale, rimarcando, in estrema sintesi, come all'esito delle giustificazioni rese dalla lavoratrice in data 11/9/2012 in seguito alla contestazione disciplinare del 4/9/2012, l'azienda avesse proceduto ad una sospensione del procedimento, onde acquisire ulteriori informazioni dall'Inps, rese dall'Istituto soltanto il 28/2/2013.

La società aveva quindi invitato la dipendente a rendere giustificazioni in ordine a quanto riferito dall'Inps ma all'incontro richiesto dalla lavoratrice e fissato per il 16/5/13, questa non era comparsa.

All'esito della ricostruzione nei descritti termini della vicenda prodromica alla irrogazione della sanzione espulsiva, la Corte ha argomentato, quindi, che il procedimento disciplinare era da ritenersi legittimo in quanto non vulnerava il principio di tempestività che lo governava ed il licenziamento era da ritenersi, del pari, legittimo, non risultando controversi i fatti addebitati.

La cassazione di tale decisione è domandata dalla lavoratrice sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la società I.S.P. s.p.a. illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 7 l. 300/70 ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c..

A tale riguardo, dopo aver rilevato che nella normativa in materia non vi è traccia della possibilità di ricorrere ad una "sospensione del procedimento disciplinare" ha rimarcato che l'intervallo intercorso fra la contestazione risalente al settembre 2012 ed il licenziamento intimato nel giugno 2013 dovevano far ritenere violati i principi di immediatezza richiesti, in tema di licenziamento, dalla legge e dalla giurisprudenza.

2. Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (vedi Cass. 10/09/2013 n. 20719), in tema di licenziamento disciplinare, l'immediatezza del provvedimento espulsivo rispetto alla mancanza addotta a sua giustificazione ovvero a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.

Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza (del licenziamento e della contestazione) è coincidente con quella che connette l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare (vedi Cass. 17/12/2008 n. 29480).

3. Peraltro, il requisito dell'immediatezza va inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (Cass. cit. n. 20719/2013, cui adde Cass. 12/1/2016 n. 781 in tema di immediatezza della contestazione).

4. Di siffatti principi la Corte distrettuale ha disposto corretta applicazione. Come riportato nello storico di lite, ha proceduto ad una puntuale disamina dei momenti che hanno scandito il procedimento disciplinare. In particolare ha rimarcato che la società in data 21/9/12, dopo aver ricevuto le giustificazioni della dipendente in data 11/9/12, ed aver sospeso ogni azione, si era rivolta all'Inps sede di Bussoleno e di Collegno onde conseguire chiarimenti in ordine al mancato reperimento della lavoratrice presso l'indirizzo indicato nell'attestato di malattia, sito in Bussoleno. Il 20/2/13 aveva scritto all'Inps di Collegno chiedendo spiegazioni per il ritardo; indi l'istituto, in pari data, aveva risposto che il medico di controllo aveva precisato, sui referti del 14 e del 19 agosto, che non era indicato il cognome della lavoratrice sul citofono, né sulla buca delle lettere né sul campanello della porta di casa, e che la predetta non era conosciuta al domicilio indicato.

La Corte rimarcava altresì che il 28/2/13 la società aveva invitato la dipendente a presentare giustificazioni in ordine a quanto riferito dall'istituto, ma questa, dopo aver richiesto un incontro, alla data fissata del 16/5/13, non era comparsa.

Valutato globalmente l'iter disciplinare che aveva preceduto l'irrogazione della sanzione espulsiva, la Corte territoriale è, dunque, pervenuta alla elaborazione di un giudizio di tempestività della sanzione, tenuto conto delle lentezze burocratiche che connotavano l'agire dell'istituto previdenziale e della circostanza che i tempi relativi erano trascorsi dopo una contestazione dettagliata e specifica degli addebiti, all'esito della quale la lavoratrice aveva acquisito piena cognizione delle incolpazioni formulate dalla datrice di lavoro e della esposizione alla irrogazione sanzione espulsiva. Il trascorrere di alcuni mesi, necessari all'espletamento dei descritti accertamenti istruttori, non poteva, quindi, ingenerare nella lavoratrice alcuna aspettativa di accantonamento del procedimento disciplinare intrapreso nei suoi confronti.

Tale apprezzamento, per quanto sinora detto, si palesa del tutto congruo sotto il profilo logico e puntualmente riferito a tutti gli elementi del giudizio, oltre che conforme a diritto, onde resiste alla censura all'esame.

5. Con il secondo mezzo di impugnazione, si deduce "travisamento del fatto in ordine agli accertamenti svolti dalla I.S.P. s.p.a. in riferimento all'art. 360 comma primo n. 5 c.p.c."

Si lamenta che la Corte abbia proceduto a non corretta esegesi delle acquisizioni probatorie in atti, dalle quali era emerso il comportamento inerte tenuto dalla società, la quale aveva atteso oltre cinque mesi la risposta dell'Inps in ordine agli esiti della visita di controllo presso il domicilio della lavoratrice, senza sollecitare l'istituto ed irrogando la sanzione del licenziamento dopo nove mesi dalla contestazione.

6. La censura presenta profili di inammissibilità non essendo rispettosa dei dettami sanciti dall'art. 360 n. 5, come novellato dal d.l. 22/6/12 n. 83 conv. in l. 7/8/12 n. 134, applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle sezioni unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053), la disposizione va letta in un'ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne, quindi, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente sollecita un'inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminate dalla Corte territoriale per quanto innanzi detto, auspicandone un'interpretazione a sé più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

La censura, per le superiori argomentazioni, va, pertanto, disattesa.

In definitiva, il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.