Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 ottobre 2017, n. 46390

Tributi - Reati tributari - Omesso versamento di ritenute - Sequestro preventivo

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con provvedimento del 10 luglio 2015, respingeva il riesame avverso l'ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua vetere, dell'8 ottobre 2014 che aveva disposto il sequestro preventivo dei beni di G. V., per un valore pari alla differenza tra l'importo del profitto conseguito e l'importo delle somme di denaro effettivamente reperite in sede esecutiva.

2. G. V. propone ricorso per Cassazione, ex art 325 cod. proc. pen., tramite difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

2.1. Art. 606, lettera B, cod. proc. pen., violazione di legge, art. 10 bis, d. Igs. 74 del 2000

L'assenza delle certificazioni attestanti l'avvenuta trattenuta in qualità di sostituto di imposta doveva far escludere l'esistenza del fumus del reato contestato (art 10 bis e 10 ter del d. legs. 74 del 2000, ritenute per € 347.590 ed IVA per 144.350); il solo modello 770 non dimostra la sussistenza del reato e non ne costituisce neppure indizio, posto che lo stesso modello 770 "non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni" - Cassazione 2014, sez. 3, n. 40256 l'art 10 bis è strutturato con la previsione di un comportamento omissivo (non versa entro il termine previsto) ed uno commissivo (le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti); ritenere sussistente il fumus esclusivamente rapportandosi al modello 770, significa tener conto soltanto della parte omissiva del reato, trascurando quella omissiva che pure è elemento essenziale; il fumus di un pezzo non significa fumus del tutto.

2.2. Violazione di legge per mancanza assoluta di motivazione in ordine ai motivi nuovi, proposti con atto ritualmente depositato all'udienza camerale del 15 maggio 2015.

Per l'anno 2010 il debito era stato compensato con il credito IVA dell'anno precedente; il ricorso alla Commissione Tributaria era stato accolto con sentenza del 15 aprile 2015 (allegata ai nuovi motivi presentati). Il Tribunale del riesame avrebbe dovuto quindi, minimo, ridimensionare il provvedimento impugnato; nessuna motivazione risulta nell'ordinanza impugnata su questo rilevante punto.

Inoltre nessuna motivazione sussiste anche relativamente alla richiesta di inefficacia dell'ordinanza (formulata all'udienza del 10 luglio 2015); la mancata motivazione comporta violazione di legge (art. 324 comma 7 e 309 comma 10 del cod. proc. pen.

Il sequestro è dell'8 ottobre 2014, e in sede di riesame all'udienza del 15 maggio 2015 il tribunale provvedeva con ordinanza a richiedere gli atti non trasmessi; acquisiti gli atti l'udienza veniva fissata al 10 luglio 2015. Il termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti è stato abbondantemente superato senza che sia intervenuta una decisione sulla richiesta di riesame.

La decorrenza del termine comporta la perdita di efficacia del sequestro, ex art 309, comma 10, del cod. proc. pen. (richiamato dall'art 324, comma 7, del cod. proc. pen., come riformulato dalla legge 47 del 2015); la vecchia giurisprudenza ante legge 47 del 2015 è inutilizzabile; il rinvio ora deve ritenersi sostanziale e non come prima formale; infatti il rinvio all'art 309, comma 9 bis, cod. proc. pen., operato nell'art 324, cod. proc. pen. (proprio con la legge 47 del 2015), comporta una diretta applicabilità alle misure cautelari reali dei commi 9, 9 bis e 10 dell'art 309, cod. proc. pen. - nella versione attuale e non quella originaria - ; questa è la volontà del legislatore;

attesa la speciale importanza della questione il ricorrente chiede l'assegnazione alle sezioni unite, ex art 610, comma 2, cod. proc. pen.

Ha quindi concluso per l'annullamento del provvedimento impugnato, quantomeno con rinvio.

 

Considerato in diritto

 

3. Il reato di cui all'art. 10 ter, d. Igs. 74/2000, omissioni per € 144.350,00 di IVA, è sottosoglia. Con il novellato art 10 ter del d. Igs. N. 74 del 2000 (come modificato dall'art 8 del d. Igs. 158 del 2015) il limite per la configurabilità del reato è di € 250.000,00: "E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta".

Nel nostro caso la somma omessa è di soli € 144.350,00; manca, quindi, l'elemento oggettivo del reato di omesso versamento di IVA, che si configura solo per omessi versamenti superiori ad € 250.000,00.

Il provvedimento impugnato deve annullarsi - su questo punto - limitatamente alla somma dell'omesso versamento IVA di € 144.350,00; deve disporsi inoltre la restituzione all'avente diritto di quanto sequestrato in relazione all'importo suddetto.

4. Il ricorso è infondato nel resto.

Sul primo motivo di ricorso, ovvero la configurabilità del reato dell'art. 10 bis, solo se fosse esistente la certificazione attestante le ritenute effettuate, e la non configurabilità invece con il solo modello 770, il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Cassazione (vedi ad esempio Sez. 3, n. 10475 del 09/10/2014 - dep. 12/03/2015, Calderone, Rv. 263007: "In tema di omesso versamento di ritenute certificate, la prova dell'elemento costitutivo del reato, rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate - il cui onere incombe all’accusa - non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro, giacché l'art. 10 bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 punisce solo l'omesso versamento sopra soglia delle ritenute oggetto di certificazione e non il mancato versamento delle ritenute esclusivamente indicate nella dichiarazione modello 770. (In motivazione la Corte ha chiarito che il mancato versamento delle ritenute esclusivamente indicate nella dichiarazione modello 770 integra illecito amministrativo)".

Sul punto è intervenuta anche una modifica legislativa, l'art. 7 del d. Igs. 24 settembre del 2015, n. 158 che ha integrato l'art. 10 bis, d. Igs. n. 74 del 2000, e ha esteso l'ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base delle dichiarazioni provenienti dal datore di lavoro (c.d. mod. 770); l'art. 10 bis, come modificato, prevede: "E' punito chiunque non versa entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta".

Da questa modifica deve desumersi che per i fatti pregressi la prova dell'elemento costitutivo del reato non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione, essendo necessario dimostrare l'avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto d'imposta (vedi Cassazione Sez. 3, n. 10104 del 07/01/2016 - dep. 11/03/2016, Grazzini, Rv. 266301). Infatti la modifica della norma (intervento legislativo che non risulta interpretativo, ma di effettiva modifica) risulta certamente sfavorevole al reo e quindi ex art. 2, comma 4, del cod. pen. non può applicarsi ai fatti antecedenti (deve applicarsi la norma più favorevole al reo, che risulta quella antecedente alla modifica).

Così ricostruita la vicenda della successione di leggi penali, deve rilevarsi che se per un giudizio di colpevolezza, in sede di decisione di merito, è certamente necessaria la prova dell'avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto d'imposta, non altrettanto può affermarsi per un fumus cautelare.

Ai fini dell'emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del "fumus commissi delieti" attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta, all'esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilità di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell'imputato. (Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015 - dep. 15/12/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 265433).

Nel nostro caso l'omesso pagamento delle somme, indicate nel modello 770, è rilevabile dagli atti trasmessi dall'agenzia delle entrate, e in sede di giudizio l'accusa dovrà provare anche il rilascio delle certificazioni; tuttavia, come adeguatamente motivato nel provvedimento impugnato, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità (e quindi con motivazione che non può ritenersi apparente o assente), dalla comunicazione dell'ufficio fiscale (del 13 febbraio 2014 e successive) è desumibile anche il rilascio delle certificazioni, ai soli fini del fumus cautelare, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede di legittimità per i sopra visti limiti del ricorso in Cassazione, in sede di sequestro, solo per violazione di legge.

Su questi aspetti vedi Sez. 3, n. 48591 del 26/04/2016 - dep. 17/11/2016, Pellicani, Rv. 26849201: «In tema di omesso versamento di ritenute certificate, se per i fatti antecedenti alla modifica apportata dall'art. 7 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, all'art. 10 bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è richiesta per un giudizio di colpevolezza la prova del rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore dì lavoro, non essendo sufficiente la dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), la sussistenza del "fumus commissi delieti", ai fini dell'applicazione del sequestro preventivo per equivalente, può, tuttavia, essere desunta anche dalla indicata dichiarazione o da altri elementi, purché se ne fornisca motivazione adeguata».

5. Anche relativamente ai termini del riesame, e alla perdita di efficacia del sequestro, deve ritenersi infondato il ricorso in relazione all'intervento in materia delle Sezioni Unite: «Nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, il rinvio dell'art. 324, comma settimo, cod. proc. pen., alle disposizioni contenute nell'art. 309, comma decimo, cod. proc. pen,, deve intendersi tuttora riferito alla formulazione originaria del predetto articolo; ne deriva che sono inapplicabili le disposizioni - introdotte nel predetto comma decimo dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 - relative al termine perentorio per il deposito della decisione ed al divieto di rinnovare la misura divenuta inefficace» (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016 - dep. 06/05/2016, Capasso, Rv. 26679001).

 

P.Q.M.

 

Annulla l'ordinanza impugnata e del relativo decreto di sequestro limitatamente all'importo di euro 144.350,00 disponendo la restituzione di quanto in sequestro in relazione a tale importo; rigetta nel resto.

Si comunichi ai sensi dell'art. 626, cod. proc. pen.