Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 novembre 2017, n. 26447

Tributi - IRPEF - Locazione di immobili - Locatario senza titolarità di un diritto reale sull’immobile - Presunzione di redditi fondiari ex art. 23 del TUIR - Esclusione

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle Entrate notificava a G.A. un avviso di accertamento, emesso ai sensi dell'art. 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973, con il quale veniva accertata una maggiore imposta IRPEF, Addizionale Regionale IRPEF, oltre sanzioni, con riferimento all'anno 2000, per omessa dichiarazione dei redditi percepiti a titolo di locazione di n. 7 unità immobiliari. La contribuente presentava ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, sostenendo di non essere tenuta al pagamento, in quanto i contratti da cui sarebbe scaturito il maggior reddito erano stati risolti consensualmente con effetto retroattivo e, dunque, non avevano prodotto alcun effetto. La CTP accoglieva il ricorso, ritenuto che la ricorrente aveva documentalmente provato di non essere mai stata proprietaria delle unità immobiliari che aveva progettato di acquistare. Avverso tale sentenza presentava appello l'Agenzia delle Entrate, che veniva accolto dalla CTR della Puglia.

La contribuente propone ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi.

L'Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare alla discussione della causa, ai sensi dell'art. 370, comma 1, cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: <<Violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., degli artt. 112, cod. proc. civ. 111, comma 1, comma 6 Cost., in relazione all'art. 26 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917>>.

Parte ricorrente argomenta che l'avviso di accertamento fa riferimento all'art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986 e la decisione impugnata riconosce che l'imposta relativa ai redditi fondiari presuppone che il contribuente vanti diritti di natura reale sui beni immobili, pertanto nel ragionamento condotto dal giudicante è riscontrabile un vizio di ultra o extra petizione, laddove ritiene la legittimità dell'avviso di accertamento anche in assenza del presupposto relativo alla titolarità di un diritto reale.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: <<Insufficiente motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in relazione al disposto dell'art. 26 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)>>. Si deduce che nella sentenza si afferma che, al fine di dimostrare la proprietà di sette immobili oggetto di altrettanti contratti di locazione (i cui canoni costituirebbero redditi fondiari non dichiarati dalla ricorrente), sarebbe sufficiente il fatto che due di tali immobili risultano intestati alla ricorrente, che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente a giustificare la decisione, tenuto conto che sarebbe documentalmente provato che degli immobili in questione la ricorrente non è mai divenuta proprietaria, atteso che essi sono stati acquistati da terzi nel corso di procedure di espropriazione immobiliare. Secondo la contribuente, il giudice di appello erroneamente argomenta che la riscossione dei canoni previsti nei sette contratti di locazione possa essere dimostrata dalla circostanza che un solo conduttore di un immobile locato abbia riportato quale costo nel quadro RE del modello unico 2001 un certo importo (nella specie, lire 14.447.000).

3. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: <<Insufficiente motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in relazione al disposto dell'art. 26 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917>>. Parte ricorrente lamenta che nella sentenza si afferma che i sette atti ricognitivi della risoluzione consensuale di altrettanti contratti di locazione sarebbero irrilevanti ai fini della decisione, posto che la risoluzione di contratti ad esecuzione continuata o periodica non può avere efficacia retroattiva, a norma dell'art. 1448 cod.civ., così disattendendo la pronuncia della Suprema Corte n. 24444 del 18 novembre 2005, con la conseguenza che il giudice di merito non avrebbe dovuto ritenere esauriente il richiamo a tale norma per escludere l'efficacia retroattiva degli atti ricognitivi, ma avrebbe dovuto valutare I' efficacia retroattiva delle dichiarazioni contrattuali, anche in ragione del fatto che nessun canone di locazione è stato mai corrisposto.

4. La questione fondamentale all'esame della Corte riguarda la tassabilità di canoni di locazione, ai sensi dell'art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986, con riferimento ai quali sarebbe intervenuta risoluzione consensuale, riguardante sette immobili, di cui la ricorrente assume di non essere proprietaria, né titolare di diritti reali. Dall'esame della vicenda risulta, senza contestazione, che di cinque immobili la ricorrente si è dichiarata promissaria acquirente (ma non proprietaria, essendo stati ceduti a terzi), mentre dei rimanenti (quelli riferiti ai contratti di locazione n. 5263 e 5268) risulta essere intestataria sulla base di visure catastali.

5. I motivi di ricorso, per connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente.

Le doglianze sono fondate nei termini che seguono.

L'art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986, nel ricollegare alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile censito in catasto redditi presuntivi soggetti ad imposizione diretta, indipendentemente dalla loro effettiva percezione, si riferisce al reddito fondiario.

Il reddito derivante dalla locazione di un immobile può considerarsi reddito fondiario, ai sensi dell'art. 23 cit., esclusivamente se la parte locatrice dispone del possesso del bene locato in quanto proprietaria, usufruttuaria o titolare di altro diritto reale sul bene in questione.

La dizione testuale della norma è inequivocabile, né vi è alcuna ragione che possa giustificare una interpretazione estensiva della disposizione.

6. Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il d.P.R. n. 917 del 1986, infatti, art. 23 lega la previsione, come si è detto insuscettibile di interpretazione estensiva, del concetto di reddito fondiario (non di reddito di contratto di locazione) alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile censito in catasto, a cui, per effetto di tale censimento, vengono attribuiti redditi presuntivi soggetti all'imposizione diretta (Cass. n. 19166 del 2003, n. 20764 del 2006, n. 15171 del 2009).

Ne consegue che non va compreso fra i redditi da fabbricato quello derivante dalla locazione di un immobile stipulata da persona non proprietaria, né titolare di altro diritto reale sul bene in questione (Cass. n. 19166 del 2003).

Ciò che assume importanza è sostanzialmente che il locatore sia titolare di un diritto reale, non rilevando, ai fini della tassazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, l'intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, circostanza non idonea di per sé ad escludere che i relativi canoni non concorrano a formare la base imponibile Irpef, ai sensi dell'art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986, salvo che risulti l'inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva (Cass. n. 24444 del 2005).

A tale riguardo, infatti, questa Corte ha precisato che: "la intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatario, unitamente alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idonea di per sé ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, ai sensi del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 23". (Cass. n. 12095 del 2007)

7. La sentenza impugnata deduce, sulla base della stipulazione dei contratti di locazione da parte della contribuente, l'apparenza del possesso uti dominus atto a qualificare come reddito fondiario la percezione dei canoni da parte del locatore. Tale deduzione, per quanto si è detto in precedenza, è erronea in quanto fa derivare automaticamente dal rapporto di locazione l'insorgere di un reddito fondiario a favore della contribuente senza in alcun modo verificare la portata applicativa dell'art. 23 cit..

Va ricordato, inoltre, con riferimento ai due immobili catastalmente intestati alla parte ricorrente, come ai fini della prova di un diritto reale i dati catastali abbiano valore di semplice indizio, costituendo un sistema secondario e sussidiario rispetto all'insieme degli altri elementi che il giudicante deve raccogliere in fase istruttoria (Cass. n. 5131 del 2009; Cass. n. 8496 del 2005; Cass. n. 3101 del 2005).

8. Il giudice di appello non si è uniformato ai suddetti principi, avendo omesso di valutare adeguatamente la sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 23 cit.. con ciò determinando uno stravolgimento del concetto di reddito fondiario che, nel sistema normativo relativo alle imposte sui redditi, è indissolubilmente legato alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile censito in catasto e a cui, per effetto di tale censimento, vengono attribuiti redditi presuntivi soggetti all'imposizione diretta indipendentemente dalla loro effettiva percezione. La possibilità della percezione di un reddito effettivo difforme derivante dalla locazione del bene è prevista come ipotesi derogativa alla imposizione sulla base del reddito catastale, ma presuppone sempre che la locazione sia riferibile a un soggetto titolare di uno dei diritti reali indicati dalla norma.

9. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, la quale, al fine di applicare i principi di diritto enunciati, dovrà in fatto accertare la sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 23 cit., sulla base del rilievo che il concetto di reddito fondiario è indissolubilmente legato alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile censito in catasto.

Il giudice del rinvio, pertanto, provvederà a colmare le carenze motivazionali innanzi evidenziate ed al governo delle spese giudiziali del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.