Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 settembre 2017, n. 21515

Licenziamento - Cessazione dell'appalto - Inammissibilità - Giudizio di Cassazione a critica vincolata - Critica del tutto generica della sentenza di appello - Mancanza di specifiche motivazioni

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 6975/14, rigettava l'appello proposto da C. G. nei confronti della società S. srl, e della società W. L. spa, avverso la sentenza n. 2112/2010 del Tribunale di Latina.

2. Il Tribunale aveva rigettato il ricorso proposto dal lavoratore volto ad ottenere: l'annullamento del licenziamento intimatogli con lettera del 3 gennaio 2008, efficace a decorrere dal Io febbraio 2008, dalla società S. srl per asserita cessazione dell'appalto del servizio di montaggio, smontaggio e pulizia delle UTA (unità di trattamento aria), al quale il ricorrente era addetto presso lo stabilimento della società W. L. spa, sito in Aprilia, via N. n. 90; la conseguente condanna della società W. L. spa, in quanto cessionaria del ramo di azienda dalla S., alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni omesse o, in subordine, alle conseguenze di cui all'art. 8 della legge n. 604 del 1966; la condanna della società S. al pagamento di euro 536,35, a titolo di differenze retributive.

3. Il giudice di secondo grado premetteva che il lavoratore era stato assunto con lettera del 10 febbraio 2007, con contratto di lavoro a tempo Indeterminato, per l'esecuzione dell'appalto del servizio presso la società W. L., avente ad oggetto, come era incontestato tra le parti, la pulizia degli impianti di depolverazione, unità trattamento aria, ed estrattori nello stabilimento di Aprilia, via N..

Veniva quindi licenziato con lettera raccomandata del 3 gennaio 2008, con effetto dall'10 febbraio 2008, per la cessazione dell'appalto.

La Corte d'Appello affermava che dalle risultanze istruttorie (testi M. e B.) era emerso che il lavoratore era stato addetto esclusivamente al servizio appaltato presso lo stabilimento della società W. L. spa. Né il lavoratore aveva fornito elementi probatori a sostegno della propria deduzione di avere svolto altre mansioni, circostanza che se dimostrata avrebbe comportato, secondo la prospettazione del lavoratore, l'Insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento addotto dalla datrice di lavoro (il teste Salsiccia era stato dichiarato

incapace dal primo giudice con statuizione su cui, in appello, non venivano fatte censure; il teste Caiola nel confermare i fatti allegati al ricorso aveva precisato di averne avuto scienza indiretta, avendoli appresi dal C.; il Ricci non aveva reso dichiarazioni sul punto dell'adibizione del lavoratore ad altri servizi o mansioni diversi dall'appalto presso la società W..

Come affermato dal giudice di primo grado, il lavoratore non aveva dedotto relativamente alla possibilità per la datrice di lavoro di adibirlo a diverse equivalenti mansioni, allegazione necessaria secondo la giurisprudenza di legittimità (la Corte d'Appello richiama la sentenza di legittimità n. 3040 del 2011).

La domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive non veniva accolta in quanto il rimando all'allegato conteggio, nel quale erano indicati diversi importi in una tabella nella quale comparivano abbreviazioni di voci, non integrava quanto richiesto dall'art. 163, comma 3, cod. proc. civ., affinché la domanda contenga sufficienti elementi di fatto, costitutivi dei diritti fatti valere.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre C. G., prospettando due motivi di ricorso.

5. Resiste la società W. L. spa con controricorso, assistito da memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).

Assume il ricorrente che il licenziamento è nullo, inefficace e non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, e comminato in violazione dell'art. 7 della legge 300 del 1970, con conseguente diritto al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni anche a titolo di danno, dal licenziamento all'effettivo ripristino.

In subordine il lavoratore assume di avere diritto alla riassunzione, ai sensi degli artt. 6 e 8 della legge 604 del 1966 e dell'art. 2 della legge 108 del 1990; in subordine ancora, al risarcimento dei danni da calcolarsi ai sensi delle suddette disposizioni.

In ulteriore subordine, il lavoratore prospetta di avere diritto all'assunzione ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., fatte salve le richieste risarcitorie.

Il ricorrente, quindi, ha formulato quesito di diritto ai sensi dell'art. 366-bis, cod. proc. civ. con cui ha ribadito quanto sopra esposto.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, in relazione ai fatti oggetto di causa, che renderebbe la stessa non idonea a giustificare la decisione (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).

Il ricorrente pone a fondamento del motivo la contraddittorietà della decisione, assunta senza valida motivazione. Rinnova, quindi, quanto già dedotto nel primo motivo di ricorso, assumendo, altresì, che non poca rilevanza aveva «la circostanza documentata alla Corte d'Appello, mediante l'esibizione dell'accordo, che addirittura per altre posizioni analoghe a quella dell'odierno ricorrente, la società SAN Eco srl, in primo grado liquidava a tutti gli operai, tranne il C. con accordo transattivo, con la corresponsione della somma di euro 4.000,00».

Le difese di controparte avevano trovato pieno accoglimento pure in contrasto con norme di diritto e a fronte di situazioni di fatto confortate da documenti e prove di cui la Corte d'Appello non aveva voluto tenere conto.

Formulava, quindi, quesito di diritto per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione atteso che il licenziamento non era sorretto da giusta causa o giustificato motivo per cui il ricorrente aveva diritto alla reintegrazione, al risarcimento del danno, all'applicazione dell'art. 2112 cod.

3. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro connessione.

3.1. Gli stessi sono inammissibili in quanto contengono una critica del tutto generica della sentenza di appello, mancando ogni riferimento alle specifiche motivazioni della stessa.

3.2. Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass., n. 25332 del 2014).

3.3. Il motivo proposto ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., è inammissibile per la mancanza di argomentazioni da porre a sostegno della dedotta violazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, con conseguente nullità, Inefficacia, mancanza di giusta causa o giustificato motivo.

Come questa Corte ha già affermato (Cass., n. 24298 del 2016), il vizio della sentenza previsto dall'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena d'inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l'indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo/alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata, come nella specie, la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Occorre, altresì, ricordare che l’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dall'art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica "ratione temporis" ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dall'art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Cass., n. 24597 del 2014), e dunque non trova applicazione nella fattispecie in esame.

3.4. Anche la censura proposta ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. è inammissibile.

Va osservato che il richiamo a documenti e prove che avrebbero corroborato la difesa del lavoratore è priva di qualsiasi riferimento al contenuto degli stessi e alle modalità e luogo di produzione e formazione nel giudizio, così come anche il riferimento all'accordo transattivo intercorso con altri lavoratori non è circostanziato, né se ne precisano le modalità di sottoposizione al giudice di appello, in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.

Il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell'omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere - imposto dall'art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. - di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass., n. 19048 del 2016).

Occorre, inoltre, rilevare, che nel caso in esame, la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo rii settembre 2012.

Trova dunque applicazione il nuovo testo dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., come sostituito dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., disposta dal decreto-legge n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla legge n. 134 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.

Nella specie, tali condizioni non ricorrono atteso che la Corte d'Appello ha esaminato nella motivazione le risultanze fattuali e probatorie del giudizio.

3.5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

3.6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore della società W. L. spa. Nulla spese per la società S. srl.

3.7. Poiché il ricorrente in cassazione è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, lo stesso non è tenuto al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall'art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. n. 18523 del 2014).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti della società W. L. spa, che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie in misura del 15%. Nulla spese per la società S. srl.