Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 febbraio 2018, n. 2662

Dichiarazioni reddituali - Accertamento - Riscossione - Sanzioni - Contenzioso tributario

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 - bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e dato atto che entrambe le parti hanno depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 989/29/2015, depositata il 28 maggio 2015, la CTR della Toscana rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dei signori A.C.P. e G.P. avverso la sentenza della CTP di Lucca, che aveva accolto i ricorsi, di seguito riuniti, separatamente proposti da ciascun contribuente avverso avvisi di accertamento per gli anni 2005, 2006 e 2007, ed atti di contestazione di sanzioni, con i quali erano rispettivamente recuperati a tassazione i maggiori redditi accertati negli anni di riferimento in base a detenzione di capitali in paese a fiscalità privilegiata, in virtù della presunzione di cui all’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, come convertito, con modificazioni, dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, ed irrogate le relative sanzioni.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resistono con controricorso i contribuenti.

Entrambe le parti hanno depositato memoria a seguito del deposito della proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., all’esito dell’attivazione del contraddittorio camerale.

Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione dell’art. 12, comma 2, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 e falsa applicazione degli artt. 3 della l. 27 luglio 2000, n. 212 e 12 disp. prel. cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. lamentando l’erroneità in diritto della pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’art. 12, comma 2, del succitato decreto abbia natura sostanziale, con conseguente irretroattività e non applicabilità alle annualità precedenti la sua entrata in vigore.

Con il secondo motivo la ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia violazione degli artt. 4 e 5, comma 2, del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la decisione impugnata ha annullato le sanzioni irrogate ai contribuenti ex art. 5, comma 2, del d.l. n. 167/1990 per la violazione dell’obbligo d’indicare nella dichiarazione annuale dei redditi gli investimenti effettuati all’estero e le attività di natura finanziaria detenute all’estero, in forza della ritenuta consequenzialità tra annullamento degli avvisi di accertamento ed annullamento delle sanzioni.

Il primo motivo è infondato.

L’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, in vigore dal 1° luglio 2009, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, stabilisce che «in deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tener conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate».

L’Amministrazione finanziaria insiste nel ritenere che la disposizione in oggetto abbia natura procedimentale e che, come tale, sarebbe soggetta al principio tempus regit actum, trovando applicazione anche riguardo alle somme detenute all’estero in violazione dei suddetti obblighi dichiarativi negli anni precedenti l’entrata in vigore dello stesso decreto legge n. 78/2009.

Tale assunto non può essere condiviso.

Gli accertamenti in questione, originati da processo verbale della Guardia di Finanza, che aveva rilevato che i nominativi dei suddetti contribuenti erano inseriti nella cd. "lista Falciani", riportante quelli dei soggetti detentori di disponibilità finanziarie presso la HSBC Private Bank di Ginevra, sono riferiti agli anni 2005, 2006 e 2007.

Il precedente indicato nella proposta del relatore, Cass. sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16951 pure riferito ad annualità (2005) anteriore all’entrata in vigore del succitato decreto legge n. 78/2009, nell’affermare l’utilizzabilità della cd. lista Falciani nell’ambito dell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale, al pari di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione di legge tributaria o dall’essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale, ha ancora affermato, per quanto qui rileva, che, «ovviamente, tale principio di diritto, quanto agli effetti, va direttamente e necessariamente correlato sia agli obblighi dichiarativi (art. 4) e alle presunzioni (art. 6) di redditività stabiliti dalla l. n. 167/1990 nel testo vigente ratio ne temporis, a carico del contribuente per i trasferimenti di denaro ed altri valori verso l’estero».

Altre pronunce di questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16950, in riferimento alla cd. "lista Vaduz"), sebbene non inerenti alla disamina ex professo dell’applicabilità retroattiva o meno della sopra trascritta disposizione di cui all’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, si basano comunque nell’ambito della valutazione della prova presuntiva quale delineata dalla legislazione vigente ratione temporis, o rimarcando, come nel caso di Cass. sez. 5, 26 agosto 2015, n. 17183, relativa alla cd. "Lista Pessina", l’ordinario regime di prova presuntiva del codice civile a favore del fisco e di controprova del contribuente, ovvero, come ancora in tema di cd. "lista Falciani" (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 28 aprile 2015, n. 8605, § 6.32 e § 7), affermando la sufficienza pure di un unico solido indizio a carico del contribuente, ma sempre senza applicare la novella del 2009.

D’altronde, la pretesa natura procedimentale della norma di cui all’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009 che pone, in favore del fisco, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro normativo previgente, oltre a porsi in contrasto con il tradizionale criterio della sedes materiae, che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e dunque di diritto sostanziale e non già nel codice di rito, porrebbe il contribuente, che sulla base del quadro normativo previgente non avrebbe, ad esempio, avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione, in condizione di sfavore, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost.

Il primo motivo deve essere dunque rigettato.

Viceversa è manifestamente fondato il secondo motivo.

La sentenza impugnata ha annullato gli atti di contestazione ed irrogazione delle sanzioni in ragione di una pretesa consequenzialità necessaria rispetto all’annullamento degli avvisi di accertamento, che deve essere invece esclusa.

Invero le sanzioni irrogate ex art. 5, comma 2, del d.l. n. 167/1990, ai contribuenti hanno un titolo autonomo, che trova la sua ratio nell’elusione di un obbligo dichiarativo, posto da norma già in vigore (art. 4, comma 1 del citato decreto nella sua formulazione vigente ratione temporis con riferimento alle annualità oggetto di accertamento), volto a consentire all’Amministrazione un monitoraggio periodico delle attività finanziarie detenute all’estero.

Ne consegue che la violazione di detto obbligo dichiarativo è sanzionabile a prescindere dall’accertamento di evasioni fiscali connesse alle attività finanziarie detenute attesterò e non dichiarate.

In accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione per nuovo esame, anche in ordine agli accertamenti di fatto connessi agli altri motivi d’impugnazione proposti dai contribuenti rimasti assorbiti, nonché, quanto alle sanzioni, per la verifica, in ragione del principio del favor rei, dell’applicabilità del trattamento sanzionatorio più favorevole, giusta la novella dell’art. 5 del d.l. n. 167/1990, quale modificato dall’art. 9, comma 1, lett. d) della l. 6 agosto 2013, n. 167.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso in relazione al secondo motivo, rigettato il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.