Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 aprile 2018, n. 9961

I.N.P.G.I. - Omesso versamento contributivo - Collaborazione autonoma - Figura del collaboratore fisso - Responsabilità di un servizio

Rilevato

 

1. che, con sentenza in data 9 febbraio 2011, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che ha accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo con il quale era stato richiesto, dall'I.N.P.G.I., il pagamento di euro 18.533,00 a titolo di omesso versamento contributivo, in riferimento ad una giornalista con rapporto di lavoro con A. K. s.p.a. formalmente qualificato come collaborazione autonoma ma asseritamente subordinato e riconducibile alla figura del collaboratore fisso prevista dall'art.2 del contratto collettivo di categoria;

2. che per la Corte di merito deponevano nel senso dell'autonomia del rapporto, e dell'insussistenza del vincolo di dipendenza, la percezione del compenso per gli articoli, accettati e pubblicati, che, alla stregua delle emergenze testimoniali acquisite in giudizio su istanza dell'Istituto di previdenza, venivano proposti dalla giornalista M. S. all'editore al quale, per gli articoli da quest'ultimo proposti, la giornalista poteva opporre un rifiuto, il che escludeva la responsabilità di un servizio, a mente dell'art. 2 del C.N.L.G., e il connaturato affidamento dell'impegno di redigere, normalmente e con carattere di continuità, articoli su specifici argomenti o compilare rubriche;

3. che avverso tale sentenza l'I.N.P.G.I. ha proposto ricorso affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese ADN K. s.p.a., con controricorso

 

Considerato

 

4. che, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2094 cod.civ., anche in relazione all'art. 2 del CNLG, la parte ricorrente si duole che la Corte di merito, concludendo nel senso della natura autonoma della prestazione lavorativa resa da S. M., abbia escluso la riconducibilità della prestazione al rapporto di collaborazione fissa, disciplinato dalla citata disposizione del contratto collettivo, sulla base di una non corretta individuazione dei criteri discretivi per l'affermazione, nella specie, del vincolo della subordinazione, attribuendo rilievo dirimente ad elementi non decisivi e neanche incompatibili con il vincolo della subordinazione - fra i quali, la commisurazione del compenso percepito dalla giornalista al numero di articoli accettati e pubblicati dal datore di lavoro; la prevalente iniziativa della giornalista nel proporre gli articoli da pubblicare; la facoltà di rifiutare la redazione di articoli proposti dal datore di lavoro - in tal modo trascurando di verificare l'effettiva sussistenza degli elementi costitutivi della figura del collaboratore fisso (subordinato) disciplinato dalla citata disposizione contrattuale collettiva (primo motivo); deduce, inoltre, vizio di motivazione, per avere omesso di valutare la ricostruzione dei fatti come operata dalla controparte (secondo motivo);

5. che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

6. che la parte ricorrente con il primo mezzo di doglianza richiede, inammissibilmente, una nuova e diversa valutazione del materiale istruttorio;

7. che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa é esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura é possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione;

8. che lo scrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v., per tutte, Cass. 26 marzo 2010, n. 7394 e la giurisprudenza ivi richiamata);

9. che, nella specie, la parte ricorrente deduce la erronea applicazione della legge e l'erronea interpretazione della norma contrattuale che disciplina la figura del collaboratore fisso (art. 2 del CNLG 11 aprile 2001) in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa, tanto che assume, appunto, evocando una risultanza testimoniale, che la Corte di appello avrebbe contraddittoriamente e illogicamente accertato che la giornalista accettava gli incarichi nella stragrande maggioranza dei casi, salvo l'ultimo periodo in cui aveva declinato qualche incarico;

10. che, in ogni caso, i criteri in applicazione dei quali il giudice di appello ha escluso la sussistenza di elementi in grado di scalfire la pattuita natura autonoma del rapporto in essere con la giornalista sono del tutto coerenti con gli indici che la costante giurisprudenza di legittimità ritiene, in generale, rivelatori o meno della subordinazione, ed in particolare della subordinazione in tema di rapporto di lavoro giornalistico (v., fra le altre, Cass. 11 gennaio 2018, n. 508);

11. che, in via generale, è stato affermato che nell'ambito di tale tipo di attività il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa e per la natura prettamente intellettuale dell'attività stessa, con la conseguenza che ai fini dell'individuazione del vincolo di subordinazione rileva particolarmente l'inserimento continuativo ed organico di tali prestazioni nell'organizzazione dell'impresa (cfr., tra le tante, Cass. 7 ottobre 2013, n. 22785);

12. che, in particolare, questa Corte ha rimarcato che la figura del collaboratore fisso si caratterizza per un'attività giornalistica continuativa che ha per oggetto il controllo della notizia, la sua elaborazione e quindi la stesura del pezzo o dell'articolo, con modalità di acquisizione delle notizie e verifica delle stesse su un particolare tema, che non necessariamente devono essere espletate in redazione (cfr., fra le altre, Cass. 13 novembre 2017, n. 26760);

13. che, non a caso, tale figura non è incompatibile con attività giornalistica svolta contemporaneamente anche per altre testate e la pur assidua frequentazione della redazione può avere le più varie giustificazioni, tra cui profili di autonoma determinazione del giornalista e, ad esempio, di facoltativa utilizzazione, da parte del giornalista, di opportunità logistiche messe a disposizione dalla redazione della testata (Cass. n. 26760 del 2017

 cit.);

14. che per la configurabilità della qualifica di collaboratore fisso, di cui all'art. 2 del C.N.L.G. è stato altresì rimarcato che la responsabilità di un servizio va intesa come l'impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d'informazione, onde deve ritenersi tale colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative, per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell'informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell'impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, rientrante nei propri piani editoriali e nella propria autonoma gestione delle notizie da far conoscere, contando, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla piena disponibilità del lavoratore, anche nell'intervallo tra una prestazione e l'altra (cfr. Cass. 3 maggio 2017, n. 10685);

15. che correttamente, pertanto, la Corte di merito ha escluso, nella fattispecie vagliata, la sussistenza del vincolo di dipendenza inteso come permanente disponibilità ed obbligo di essere sempre a disposizione tra le varie prestazioni e la responsabilità di un servizio;

16. che la contestazione, svolta con il secondo mezzo, ed incentrata sulla ricostruzione di fatto come operata dalla difesa, non evidenzia alcuna specifica omissione o insufficienza e contraddittorietà di motivazione annoverabile nel paradigma dell'art. 360, n.5 cod.proc.civ. e si risolve, inammissibilmente, nella mera richiesta di delibazione, rimessa alla Corte di legittimità, del diverso apprezzamento di fatto;

17. che, infine, le spese seguono la soccombenza e vengono regolate come da dispositivo

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.