Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 03 ottobre 2017, n. 23058

Rapporto di lavoro subordinato agricolo - Elenco dei lavoratori agricoli - Reiscrizione - Onorari avvocato - Tariffa adottata con delibera del Consiglio nazionale forense

 

Rilevato

 

1. che, con sentenza in data 29 marzo 2011, la Corte di Appello di Salerno, ha dichiarato sussistente tra l'attuale ricorrente e "L.S.S.A. a r.l." un rapporto di lavoro subordinato agricolo per centocinquantasei giornate, relative all’anno 2006, e ordinato all'Inps la reiscrizione della ricorrente nell'elenco dei lavoratori agricoli del comune di residenza, per la suddetta annualità e per il numero di giornate sopraindicato; ha, inoltre, posto a carico dell'Inps le spese del doppio grado del giudizio, liquidate, per ogni grado , in Euro 780,00, di cui Euro 450,00 per diritti ed euro 330,00 per onorari, in considerazione della semplicità delle questioni trattate;

2. che avverso tale sentenza V.N. ha proposto ricorso affidato ad un articolato motivo, al quale ha opposto difese l'INPS, con controricorso;

 

Considerato

 

3. che con l'unico motivo di ricorso la parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., della L. 7 novembre 1957, n. 1051, articolo unico, della tariffa adottata con delibera del Consiglio nazionale forense del 20/9/2002, approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127, (e violazione dei minimi previsti dalla stessa, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e ss. c.p.c., in combinato disposto con il D.M. 8 aprile 2004, art. 6; denuncia altresì l'errata valutazione degli atti di causa e il vizio di motivazione;

4. che, per la ricorrente, il valore della controversia era da ritenersi "indeterminabile", atteso che la domanda aveva ad oggetto l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato in agricoltura, sicché lo scaglione di riferimento, per i diritti, era quello da Euro 25.901,0 a Euro 51.700,00, mentre per gli onorari doveva applicarsi la tabella A, par. 2, col. 3 (da Euro 25.901,00 a Euro 51.700,00) della tariffa di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (per il primo grado) e la Tabella A paragrafo 4, colonna 3 del detto D.M. (per il secondo grado) e che tenuto conto delle attività svolte, tutte documentate e trascritte nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza, avrebbero dovuto essere liquidate per l'intero Euro 1171,00 per i diritti e 1055,00 per gli onorari relativi al giudizio di primo grado e Euro 831,00 per diritti e 995,00 per onorario relativi al giudizio di secondo grado;

5. che ritiene il Collegio il ricorso debba essere accolto, in continuità con altri precedenti di questa Corte (v., da ultimo, Cass. 3 ottobre 2016, n. 19712);

6. che i dati indicati, anche con riferimento al valore della causa, consentono un controllo autosufficiente, ossia fondato sul solo contenuto del ricorso, nel quale risultano inseriti, sia pure con la tecnica dell'assemblaggio, gli atti e i verbali dei giudizi di merito attestanti l'effettiva attività difensiva svolta e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate (cfr., sotto il profilo dell'ammissibilità del motivo di ricorso concernente l'errata liquidazione delle spese processuali, Cass., 10 ottobre 2003, n. 15172; Cass., 29 ottobre 2014 n. 22983);

7. che lo scaglione tariffario da utilizzare, ai fini della liquidazione delle spese, è quello relativo alle cause del valore da Euro 25.900,00 a Euro 51.700,00 e che la richiesta degli onorari di avvocato è formulata in relazione ai minimi previsti dalla tariffa forense (D.M. 2004, art. 5), sicché la riduzione di tale voce operata dalla Corte territoriale, senza peraltro alcuna motivazione a riguardo, si pone in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancita dalla L. 13 giugno 1942, art. 24 (v. in tal senso, Cass. n. 19712 del 2016, cit.);

8. che neanche rileva, in questa sede, che non risulti depositata una nota specifica, giacché è principio consolidato di questa Corte che il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo la condanna essere emessa, a carico del soccombente, ai sensi dell'art. 91 cod.proc.civ., anche d'ufficio e pure se non sia stata prodotta la nota spese, prevista dall'art. 75 disp. att. c.p.c., e in tal caso il giudice non è onerato dell'indicazione specifica delle singole voci prese in considerazione (Cass., ord. 28 febbraio 2012, n. 3023; Cass, 3 ottobre 2005, n. 19269), ma deve tuttavia tener conto delle attività effettivamente espletate come emergenti dagli atti di causa e dei minimi tariffari applicabili;

9. che, nella specie, nella determinazione dei diritti e degli onorari per ciascun grado del giudizio ed in relazione all'attività defensionale svolta, la Corte non ha rispettato i predetti parametri, sicché il ricorso deve essere accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito;

10. che la richiesta degli onorari di avvocato è formulata in relazione ai minimi previsti dalla tariffa forense (art. 5, del D.M. 2004), la loro riduzione senza alcuna motivazione a riguardo si pone in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancita dalla L. 13 giugno 1942, art. 24 (in tal senso, da ultimo, v. Cass. n. 8258/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata);

11. che, conteggiando le voci di onorario nei valori minimi, come richiesti dalla parte, l'importo complessivo ammonta ad euro 1.055,00 (per il primo grado) ed euro 995,00 (per l'appello) e, peraltro, la decisione della Corte territoriale di ridurre della metà il minimo dell'onorario è immune da censure;

12. che, come ripetutamente affermato da questa Corte, l'applicazione della disposizione di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4, che prevede la riduzione dei minimi tariffari per le controversie di "particolare semplicità", disponendo che la riduzione degli onorari non possa superare il limite della metà, integra la previsione contenuta nel R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5 e che, di tale riduzione, il giudice deve dare "espressa e adeguata motivazione", non limitata, pertanto, ad una pedissequa enunciazione del criterio legale (v. Cass. n. 8258/2017 cit.);

13. che, nella specie, la Corte ha dato conto, sia pure con motivazione succinta, delle ragioni che l'hanno indotta a liquidare l'importo degli onorari attraverso il riferimento alla "semplicità delle trattate questioni giuridiche" e dal complesso motivazionale è ragionevole evincere che tali locuzioni siano la sintesi di una valutazione più complessiva in ordine al peculiare andamento del processo e alla natura delle questioni, tali da non richiedere uno studio approfondito o la soluzione di tematiche giuridiche complesse;

14. che, la predetta valutazione costituisce un apprezzamento discrezionale e adeguatamente motivato, senza che possano ravvisarsi le prospettate violazione di legge, conseguendone la correttezza della dimidiazione degli onorari che, pertanto, vanno riconosciuti nell'importo di Euro 528,00 per il primo grado e di euro 498,00 per l'appello;

15. che, inoltre, le spese per diritti, come illustrate nel ricorso, vanno liquidate in euro 1.171,00 quanto al giudizio di primo grado ed euro 831,0 quanto all'appello, oltre al 15 per cento spese generali e altri accessori di legge, disponendo l'attribuzione al procuratore anticipatario, avvocato F.A.;

16. che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore del predetto avvocato A..

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata in parte qua e, decidendo nel merito, condanna l'INPS alla rifusione delle spese dei gradi di merito, liquidate come in motivazione, con distrazione in favore dell'avvocato F.A., e alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 707,50 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge, con distrazione in favore dell'avvocato F.A., dichiaratosi antistatario.