Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 luglio 2016, n. 14402

Tributi - Irrogazione sanzioni - Obiettiva incertezza nell’interpretazione delle norme - Disapplicazione delle sanzioni - Necessaria esplicita e rituale richiesta in sede di contenzioso

 

In fatto

 

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della P.T. spa (già C.T. spa, già I.I. e T.S. spa, che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 7856/35/2014, depositata in data 22/12/2014, con la quale - in controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento, emessa per sanzioni ed interessi dovuti, in relazione all’anno d’imposta 2006, a fronte del tardivo versamento a titolo IRAP - è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

I giudici della C.T.P. avevano ritenuto che l’istituto del ravvedimento operoso (al quale la contribuente aveva aderito, ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. B) d.lgs. 472/1997) non poteva trovare applicazione, in ipotesi di violazioni dell’obbligo di versamento IRAP, stante il disposto dell’art. 1 comma 3 d.lgs. 106/2005 e del successivo art. 1 del d.l. 206/2006.

I giudici d’appello, nell’accogliere il gravame della contribuente, la quale ha prospettato, per la prima volta, l’esistenza delle condizioni di oggettiva incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione del d.lgs. 446/1997, istitutivo dell’IRAP, invocando la disapplicazione delle sanzioni, hanno sostenuto che tale domanda non può ritenersi nuova, non venendo in considerazione un’eccezione in senso stretto bensì una mera argomentazione giuridica, ed è fondata, sussistendo, nell’anno 2006, una oggettiva situazione di incertezza in merito all’ambito ed alla compatibilità con il diritto comunitario della normativa IRAP.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

La controricorrente ha depositato memoria.

 

In diritto

 

1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 57 d.lgs. 546/1992, avendo la C.T.R. erroneamente ritenuto che rientrasse nei poteri officiosi del giudice il potere di disapplicazione delle sanzioni.

2. La censura è fondata.

Secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte, l'accertamento della sussistenza della oggettiva incertezza dell'interpretazione normativa, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, può essere operata dal giudice tributario solo in presenza di domanda del contribuente (la quale non può, pertanto, essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità, cfr. Cass. nn. 22890/2006; Cass, 25676 del 2008; Cass. 7502/2009; Cass. 8823 e 4031 del 2012; Cass. 24060 del 2014; Cass. 440 e 9335 del 2015).

Nella fattispecie, detta richiesta è stata pacificamente formulata, per la prima volta, in appello dalla società contribuente.

Va, quindi, richiamato il consolidato principio, in virtù del quale l'inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello (o un'eccezione nuova non rilevabile d'ufficio), ai sensi dell'art. 345 cod. proc. civ. e, per il giudizio tributario, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e, correlativamente, dell'obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda è rilevabile d'ufficio in sede di legittimità, poiché costituisce una preclusione all'esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione, anche d'ufficio, non rilevando in contrario neppure che l'appellato abbia accettato il contraddittorio sulla domanda anzidetta (Cass. nn. 11202 del 2003, 12417 e 19605 del 2004, 28302 del 2005).

In relazione al potere delle Commissioni tributarie di dichiarare l'inapplicabilità delle sanzioni, in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, potere conferito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e ribadito, con più generale portata, dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, e quindi dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, la controricorrente ribadisce che la disapplicazione delle sanzioni costituisca un potere-dovere delle Commissioni tributarie, esercitabile (in ogni stato e grado) non solo su istanza di parte ma anche d’ufficio.

L’assunto non è meritevole di accoglimento.

Il principio invocato dalla controricorrente, sulla base dell'art. 8 delle norme regolatrici il processo tributario ed alla luce di risalente giurisprudenza di questa Corte, non implica, infatti, che il giudice possa disporre la disapplicazione delle sanzioni d'ufficio, quindi senza richiesta di parte, ma solo che la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione, quando domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati, può essere accertata anche dal giudice di legittimità.

In tal senso si è già pronunciata questa Corte (Cass. n. 25676 del 2008), la quale, superando il remoto orientamento contrario citato dalla contribuente (Cass. 4053/2001), ha statuito che la disapplicazione da parte del giudice delle sanzioni per violazioni di norme tributarie, qualora abbia accertato che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell'interpretazione normativa, è possibile, anche in sede di legittimità, solo se domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati (cfr. anche Cass. 24060/2014 ed altre pronunce sopra citate).

Il richiamo, operato dalla controricorrente, alla recente pronuncia di questa Corte n. 8935/2014 (come adesiva all’orientamento passato, espresso da Cass. 4053/2001, sul potere del giudice di merito di disapplicare le sanzioni, ove la richiesta sia stata formulata per la prima volta in appello) non è decisivo, trattandosi di un mero "obiter" in una pronuncia di rigetto del ricorso per cassazione per inammissibilità, anche a causa del difetto di autosufficienza.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.