Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 dicembre 2016, n. 26477

lndennità di trasferimento - Alloggio - Fruizione di fatto - Natura dell'emolumento - Disagio temporaneo occasionalmente correlato all'attività di lavoro prestata

 

Fatto

 

Con sentenza 21 luglio 2011, la Corte d'appello di Campobasso rigettava la domanda di A.S. di condanna della datrice S.G.P. s.p.a. al pagamento, in proprio favore, dell'indennità di trasferimento, percepita per il solo primo mese, per l'intero periodo dal 15 maggio 2001 al 31 dicembre 2005 in cui aveva lavorato alle sue dipendenze presso la sede di Guglionesi: così riformando la sentenza di primo grado, che l'aveva invece accolta.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva corretta la corresponsione dell'indennità suddetta una tantum, in base all'interpretazione data dell'art. 56 CCNL di settore.

Con atto notificato il 14 novembre 2011, A.S. ricorre per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., cui resiste S.G.P. s.p.a. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 56 CCNL per i dipendenti di aziende di produzione di materiali di base per costruzioni del 28 luglio 1999 e vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea interpretazione della norma collettiva denunciata, contraria a coordinata e sistematica esegesi del suo tenore complessivo e alla previsione dell'art. 51, settimo comma TUIR (di tassazione, quale componente del reddito imponibile, per gli anni successivi al primo), nel senso della corresponsione dell'indennità di trasferimento una tantum, anziché continuativa.

Il motivo è infondato.

Come correttamente osservato dalla ricorrente, la norma collettiva denunciata di violazione è esaminabile da questa Corte, a norma dell'art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., come novellato dall'art. 2 d.lg. 40/2006, in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell'esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. 16 settembre 2014, n. 19507; Cass. 19 marzo 2014, n. 6335).

Ed infatti, un primo elemento interpretativo si ricava dal dato letterale, sintomatico della comune intenzione delle parti contraenti (art. 1362 c.c.), della qualificazione dell'emolumento alla stregua di indennità, corrisposta "comunque" (art. 56, ottavo comma del CCNL cit.). E la locuzione avverbiale deve essere posta in coerente e sequenziale riferimento (secondo il canone di interpretazione delle clausole le une per mezzo delle altre, con attribuzione a ciascuna del senso risultante dal complesso dell'atto: art. 1363 c.c.) con le precedenti previsioni, nel caso di trasferimento comportante il cambio di residenza, domicilio o stabile dimora, di attribuzione dell'importo, previamente concordato, delle spese di trasporto degli effetti familiari, delle spese di viaggio, vitto ed eventuale alloggio in corso di trasferimento per il lavoratore ed i familiari conviventi (art. 56, quarto comma), di rimborso di eventuali spese di anticipata risoluzione del contratto di affitto dell'abitazione di provenienza (art. 56, sesto comma): tutti emolumenti da corrispondere evidentemente una tantum.

Ma i dati ermeneutici più convincenti si ricavano dall'argomento sistematico della mancanza di un termine finale di corresponsione dell'indennità e della sua variabilità, a seconda della procurata disponibilità aziendale al lavoratore di un alloggio e della sua fruizione di fatto (art. 56, nono comma) e a seconda della composizione del suo nucleo convivente (art. 56, decimo comma): come sottolineato perspicuamente anche dalla Corte territoriale.

Ma tali elementi denunciano soprattutto la struttura e la natura dell'emolumento, le cui modalità di calcolo sono prive di alcun nesso sinallagmatico con la prestazione lavorativa: dato inequivocabilmente rivelativo della continuità dell'erogazione, con evidente assunzione di una sua natura retributiva e non indennitaria, ossia riparativa di un disagio temporaneo solo occasionalmente (non già causalmente) correlato all'attività di lavoro prestata.

É infatti principio acquisito che nella nozione di retribuzione debba essere compresa qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che provenga dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro (Cass. 1 ottobre 2012, n. 16636: anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro e l'attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato).

E così pure deve essere esclusa la qualità di elemento integrativo della retribuzione di ogni dazione di somme di carattere lato sensu agevolativo e non remunerativo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale (Cass. 24 giugno 2009, n. 14835, con specifico riferimento alla natura di agevolazione assistenziale dei cd. buoni pasto).

Dalle superiori ragioni, assorbenti ogni altra confutazione argomentativa e nell'ininfluenza ai presenti fini dell'invocato regime impositivo ritenuto applicabile all'indennità di trasferimento, sul presupposto della sua duratura corresponsione (Cass. 6 febbraio 2014, n. 2699; Cass. 17 aprile 2003, n. 6152; Cass. 21 febbraio 2001, n. 2571), qui invero da dimostrare (ed anzi esclusa), discende il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna A.S. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida per ciascuna parte in € 100,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.