Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 maggio 2017, n. 12271

Tributi - ICI - Immobile di un ente religioso utilizzato per lo svolgimento di attività scolastica - Esenzione

 

Ritenuto che

 

- la controversia concerne l'impugnazione di quattro avvisi di accertamento per ICI dal 2002 al 2006 non corrisposta in relazione ad un immobile dell'ente religioso utilizzato per lo svolgimento di attività scolastica e per il quale l'ente riteneva applicabile l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 504 del 1992;

- l'ente religioso ha notificato controricorso per ribadire le proprie posizioni difensive;

Preso atto che il P.G. non ha depositato conclusioni scritte e che le parti non hanno prodotto memorie;

 

Considerato che

 

- con il primo motivo di ricorso, l'ente locale denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 504 del 1992, affermando che erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto applicabile nella specie l'esenzione disposta dalla norma richiamata pur non ricorrendone le condizioni;

- con il secondo motivo di ricorso, l'ente locale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 7, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 504 del 1992, affermando che erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto gravare sul Comune l'onere di provare il carattere commerciale della attività svolta nell'immobile in questione;

- i due motivi devono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica;

- i predetti motivi sono fondati sulla base delle seguenti considerazioni:

a) Innanzitutto questa Corte ha già avuto modo di affermare che «in tema d'imposta comunale sugli immobili (ICI), l'art. 7, comma 2 bis, del d.l. n. 203 del 2005 (introdotto dalla legge di conversione n. 248 del 2005), che ha esteso l'esenzione disposta dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse, e l'art. 39 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, che ha sostituito il comma 2 bis dell'art. 7 cit., estendendo l'esenzione alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale, non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo» (Cass. n. 14795 del 2015; nello stesso senso in precedenza Cass. n. 14530 del 2010);

b) In ogni caso: «l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, anche in base all'evoluzione di cui all'art. 7, comma 2 bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (come sostituito dall'art. 39, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), impone di considerare realizzate in senso non esclusivamente commerciale le attività sanitarie e assistenziali che, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, per le concrete modalità di svolgimento, non siano orientate alla realizzazione di profitti, senza che rilevi il mero fatto dell'esistenza di una convenzione pubblica alla base di tale attività.

Ne consegue che il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza, in concreto, dei requisiti dell'esenzione, mediante la prova che l'attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti (poiché di tipo assistenziale e sanitario), non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, mentre spetta al giudice di merito l'obbligo di accertare in concreto le circostanze fattuali, senza far ricorso ad astrazioni argomentative» (Cass. n. 6711 del 2015). La questione non è diversa con riferimento all'attività didattica o ad altre attività considerate dalla norma;

c) Ad avviso della Corte «l'esenzione dall'imposta prevista dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale» (Cass. n. 14226 del 2015);

d) Si tratta, quindi, di un accertamento di fatto da parte del giudice circa l'esercizio con modalità "non commerciali" di una determinata attività che secondo la norma potrebbe astrattamente considerarsi esente: questa Corte non ha mancato di evidenziare che «la sussistenza del requisito oggettivo - che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare - non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino "a priori" il tipo di attività cui l'immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un'attività commerciale» (Cass. n. 5485 del 2008);

e) In particolare con riferimento allo svolgimento di attività scolastica la circolare ministeriale n. 2DF del 26 gennaio 2009, richiede ai fini del riconoscimento dell'esenzione in parola la prova da parte del "gestore" che «l'attività non debba chiudere con un risultato superiore al pareggio economico o che eventuali avanzi di gestione siano reinvestiti totalmente nell'attività didattica»;

f) Ancor più il decreto del Ministero delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200, recante «Regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 91 - bis, comma 3, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e integrato dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174», dispone all'art. 4, comma 3, lettera c), che, ai fini dell'esenzione di cui è causa, l'attività didattica deve essere «svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione»;

g) Infine, la già citata circolare n. 2DF del 26 gennaio 2009 afferma che «la prova delle condizioni che giustificano il riconoscimento dell'esenzione, come sostiene ormai la consolidata giurisprudenza (Cfr. fra tutte: Corte di Cassazione sentenze n. 555 del 1994; n. 14992 del 2000; n. 12749 del 2 settembre 2002; n. 21728 del 17 novembre 2004; n. 7905 del 15 aprile 2005, n. 20776 del 26 ottobre 2005), spetta a chi sostiene di averne diritto».

- la sentenza impugnata non è in linea con l'orientamento di questa Corte come sopra ricordato: manca un rigoroso (e convincente) accertamento delle condizioni per il riconoscimento dell'esenzione, in particolare in ordine alle modalità non commerciali di svolgimento di una attività scolastica a pagamento e risulta addirittura addebitato all'ente locale l'onere della prova che, invece, grava sull'ente religioso circa l'esistenza o meno in concreto di quelle condizioni che legittimano l'esenzione;

- pertanto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, delegando il giudice del rinvio per la liquidazione delle spese relative alla presente fase di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione.