Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 maggio 2017, n. 12220

Accertamento - Recupero a tassazione di costi indeducibili e di rettifica del reddito d'impresa - Verifiche a tavolino

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di B.M.A. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 1448/01/2015, depositata in data 15/12/2015, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione di un avviso di accertamento emesso per IRPEF ed IRAP dovute in relazione all'anno d'imposta 2006, a seguito di recupero a tassazione di costi indeducibili e di rettifica del reddito d'impresa (attività di noleggio)- è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d'appello hanno sostenuto che anche gli avvisi di accertamento conseguenti a verifiche fiscali eseguite nella sede dell'Ufficio (cosiddette verifiche "a tavolino") sulla base delle notizie e della documentazione fornita dallo stesso contribuente sono illegittimi, se non preceduti dal contraddittorio endoprocedimentale.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. L'Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con i due motivi, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell'art.12 comma 7 l.212/2000, con riguardo al profilo dell'inoperatività della norma, trattandosi di verifica condotta presso gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria e non presso la sede del contribuente.

2. La censura è fondata.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato il seguente principio di diritto (Cass.24823/2015): "il seguente principio di diritto: "Differentemente dal diritto dell'Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto. Ne consegue che, in tema di tributi "non armonizzati", l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi "armonizzati", avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto, purché„ in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto".

Le Sezioni Unite hanno quindi precisato le garanzie fissate nell'art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente "in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente", valutati il dato testuale della rubrica ("Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali") e, soprattutto, quello del primo comma dell'art. 12 l. 212/2000 (coniugato con la circostanza che l'intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco), che, esplicitamente, si riferisce agii "accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali",ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d'intervento accertativo dell'Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui all'art. 52, comma 1, d.p.r. 633/1972, richiamato, in tema di imposte dirette dall'art. 32, comma I, d.p.r. 600/1973 e, in materia di imposta di registro, dall'art. 53 bis d.p.r. 131/1986, ipotesi tutte "caratterizzate dall'autoritativa intromissione dell'Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale contro bilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell'interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali".

Nella specie, non è contestato che si verteva in ipotesi di controllo fiscale eseguito a seguito di acquisizione documentale ex art.32 DPR 600/1973 e non a seguito di "accesso, ispezione, verifica" presso la sede del contribuente.

La decisione della C.T.R. non è conforme al suddetto principio di diritto.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione. E giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Liguria in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.