Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 maggio 2017, n. 12373

Professionista - Commercialista - Assunzione dipendente - Sgravio contributivo ex art. 44, L. n. 448/2001

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 22/10/2010, ha rigettato l'appello proposto da P.A.V., commercialista con studio in Napoli, contro la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la sua domanda di accertamento del diritto ad usufruire dello sgravio contributivo ai sensi dell'art. 44 della L. n. 448/2001 in relazione all'assunzione di una dipendente, ed aveva rigettato l'opposizione contro la cartella di pagamento con cui erano stati richiesti i contributi previdenziali e le somme aggiuntive per la medesima dipendente.

2. Contro la sentenza, A.V. propone ricorso per cassazione e articola un unico motivo, illustrato da memoria. L'Inps, anche quale procuratore speciale della società di cartolarizzazione dei crediti, resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso è fondato su un unico motivo costituito dalla denuncia di violazione e falsa applicazione dell'art. 44 della L. 28/12/2001, n. 448, nonché degli articoli 81 ss. e 87 e ss. T.C.E.(ora 101 e ss. e 107 ss. TFUE).

La questione della applicabilità degli sgravi previsti dalla legge citata agli esercenti le professioni intellettuali è stata oggetto di numerosi interventi di questa Corte di cassazione che, a partire dalla sentenza 7/4/2010, n. 8257, richiamata nella stessa decisione della corte territoriale e confutata dal ricorrente, ha affermato che «In tema di sgravi contributivi, i benefici previsti dall'art. 3, comma 5, della legge n. 448 del 1998 sono applicabili, quanto ai datori di lavoro privati, esclusivamente agli imprenditori, dovendosi escludere l'applicabilità della norma anche a coloro che, pur avvalendosi di una struttura autonoma, esercitino una professione intellettuale, atteso l'espresso riferimento alle "imprese" contenuto nella rubrica della disposizione, l'esclusiva riferibilità della locuzione "a tutti i datori di lavoro privati" ai soli titolari di impresa, trattandosi di indicazione in stretta correlazione con l'espressione "e agli enti pubblici economici" contestualmente utilizzata, nonché la testuale previsione della non cumulabilità degli sgravi ivi previsti con le agevolazioni riconosciute dall'art. 4, comma 1, della legge n. 449 del 1997 per le sole "piccole e medie imprese", ed infine espresso riferimento, nel successivo comma 6 (ai fini dell'applicazione delle suddette agevolazioni), all' "impresa" che - senza assorbimento di preesistenti attività - realizzi un incremento del numero di dipendenti a tempo pieno ed indeterminato».

Tali principi sono stati poi ripresi da Cass. 26/06/2013, n. 16092 e Cass. 18710 del 06/08/2013, in cui si è altresì precisato che «la nozione di impresa cui fa riferimento la disciplina non può essere intesa sulla base dell'elaborazione della giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia - ossia come "attività che consiste nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento" - poiché la normativa nazionale sugli sgravi contributivi è da considerarsi di stretta interpretazione in quanto derogatoria rispetto alla sottoposizione generale agli obblighi contributivi e dovendosi tenere conto del fatto che il mancato riconoscimento degli sgravi al libero professionista può alterare la concorrenza solo ove questi abbia organizzato la propria attività in modo tale che l'entità dei mezzi impiegati sovrasti l'apporto consistente nell'attività propria del professionista».

Entrambe le sentenze si sono occupate specificamente dell'interpretazione dell'art. 44 I. n. 448 del 2001. In esse si è precisato (v. Cass. n. 16092/2013) che tale norma costituisce una proroga della precedente L. n. 448 del 1998, art. 3, comma 5, atteso che contenutisticamente le due disposizioni sono sostanzialmente coincidenti, con un'unica differenza nella rubrica (l'art. 3 cit. parla di "Incentivi alle imprese", mentre l'art. 44 di "Sgravi per i nuovi assunti"), ed entrambe riguardano incentivi alle imprese, sotto forma di sgravi contributivi.

Si tratta di una disposizione insuscettibile di estensione analogica anche ai datori di lavoro non imprenditori, non essendo consentita tale operazione ermeneutica alla luce: a) dell'art. 12 cpv. preleggi (pur invocato in ricorso), che ammette il ricorso all'estensione analogica solo in caso di mancanza di una disposizione ad hoc, mentre nel caso di specie le disposizioni subordinano pagamento dei contributi esistono, sicché non vi sono lacune normative; b) dell’art. 14 preleggi, che esclude l'applicazione analogica di una norma eccezionale (e tale è una norma che esonera solo talune imprese e a determinate condizioni dal generale obbligo contributivo gravante su tutte le altre); c) del diritto comunitario, nello specifico evocato tanto dall'art. 3 cit., quanto dall'art. 44 cit., che subordinano l'efficacia del riconoscimento degli sgravi all'autorizzazione e ai vincoli della Commissione Europea ai sensi dell'art. 87 e ss. del Trattato e successive modificazioni. Al riguardo, la Commissione Europea, con provvedimento n. SG (99) D/6511 del 10.8.1999, ha sì ritenuto che l'aiuto di Stato di cui al summenzionato art. 3, commi 5 e 6, sia conforme alla politica comunitaria in materia di occupazione, ma ciò ha affermato sull'espresso presupposto, comunicato dal Governo italiano, che tali aiuti riguardavano le imprese.

E il diritto comunitario vede con sfavore gli aiuti di Stato alle imprese (nel cui novero rientrano anche le politiche di sgravi contributivi) perché alterano la concorrenza, sicché essi possono impiegarsi in ambito nazionale solo come extrema ratio e nel rispetto delle predette regole comunitarie. Pertanto, sarebbe un'interpretazione contraria (non solo al diritto nazionale, ma anche) al diritto comunitario quella che estendesse gli sgravi in discorso anche ai datori di lavoro non imprenditori (in tal senso, anche Cass. 9/2/2016, n. 2520; Cass. 20/3/2015, n. 5709).

Alla luce di queste considerazioni il ricorso deve essere rigettato.

In applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 2.200,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e agli altri accessori di legge.