Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2017, n. 8795

Tributi - Imposta di registro - Cessione d’azienda

 

Svolgimento del processo

 

S.B., in proprio e quale legale rappresentante della E.S. s.r.l., propone due articolati motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 180/14/11 del 15 marzo 2011 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l'avviso di liquidazione di maggiore imposta di registro notificatogli dall'agenzia delle entrate in relazione alla cessione aziendale operata dalla società il 16 settembre 2004. La commissione tributaria regionale ha ritenuto, in particolare, che correttamente l'avviso di liquidazione in oggetto: - avesse ravvisato la cessione di un'intera azienda, e non soltanto di un ramo di essa; - avesse rettificato (in euro 1.092.118,00) il valore di avviamento dichiarato in atto (euro 50.000,00), non potendosi prendere a riferimento il valore indicato nell'atto di provenienza 19 marzo 2001, finalizzato a condono. Resiste con controricorso l'agenzia delle entrate.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Con il primo motivo di ricorso il Baia lamenta - ex art. 360, 1^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo di causa, nonché violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 cod.proc.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente interpretato l'atto 16 settembre 2004 in termini di cessione di un'intera azienda, invece che del solo ramo aziendale costituito dal punto-vendita corrente in Ostia Lido.

Inoltre, la commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente dato per non contestate talune circostanze probanti della cessione dell'intera azienda (cessazione dell'attività successivamente all'atto mediante chiusura delle utenze e risoluzione dei contratti di lavoro), nonostante che tale contestazione dovesse desumersi dagli atti di causa e dalle produzioni effettuate.

1.2 Il motivo in esame non può trovare accoglimento, risultando per più profili finanche inammissibile.

In primo luogo, esso si basa sulla interpretazione di un atto negoziale - la vendita aziendale effettuata il 16 settembre 2004 dalla società ricorrente alla G. sas - che non viene riprodotto, quantomeno nel suo contenuto essenziale relativo all'oggetto del trasferimento, nel ricorso per cassazione; né viene qui indicato se ed in quale momento del giudizio esso sia stato prodotto, cosi da poter essere prontamente reperito ed esaminato (la sentenza impugnata dà anzi conferma del fatto che tale produzione non sia mai stata in realtà eseguita dalla società contribuente). Il ricorso per cassazione richiama infatti, inglobandoli al proprio interno (peraltro senza una puntuale rielaborazione critica dei contenuti e della loro pretesa valenza dimostrativa), atti diversi da quello al quale la censura si riferisce: - l’atto di provenienza 19 marzo 2001; - la visura camerale dell'11 settembre 2006; - il bilancio E.S. srl al 31 dicembre 2005.

Ciò denota un evidente difetto di specificità ed autosufficienza ex art. 366 n. 6 cpc; tanto più grave in considerazione del fatto che l'intera censura si incentra ed esaurisce proprio intorno alla corretta ricostruzione della scrittura di cessione mancante. Ciò impedisce di espletare - con i dovuti caratteri di concentrazione, immediatezza ed attinenza al decisum - il sollecitato controllo di legittimità.

In secondo luogo, il motivo non indica quali specifici criteri di interpretazione negoziale, tra quelli qui rilevanti (anche ex articoli 1362 seguenti cod.civ.), la commissione di merito avrebbe violato o falsamente applicato. Il ricorrente si limita infatti a semplicemente contrapporre all'interpretazione negoziale recepita dalla commissione tributaria regionale la propria diversa interpretazione, secondo cui l'oggetto del trasferimento andrebbe individuato soltanto in un ramo aziendale (punto vendita) e non nell'intera azienda. Senonché, in assenza della deduzione della violazione dei criteri legali di interpretazione contrattuale, non è in questa sede ammissibile la riconsiderazione degli elementi probatori e fattuali in forza dei quali la commissione tributaria regionale è addivenuta al proprio convincimento.

Né può dirsi che quest'ultimo non sia stato adeguatamente motivato dal giudice di appello, posto che questi ha fatto richiamo alla convergenza di vari elementi idonei a sostenere l'interpretazione del contratto nel senso della cessione dell'intera azienda: - la ‘lettera’ del contratto, facente appunto riferimento all'azienda in quanto tale; - la chiusura delle utenze di esercizio, da parte della società cedente, dopo la cessione; - la risoluzione dei rapporti di lavoro dipendente.

Si tratta di elementi volti a logicamente e giuridicamente sostenere la decisione del giudice di merito; e che non potrebbero essere qui smentiti se non a prezzo di una - appunto inammissibile - rivisitazione del quadro istruttorio. In forza, per giunta, di elementi dimostrativi, principalmente di natura contabile, che - come rilevato dalla CTR - la società omise di mettere a disposizione dell'amministrazione finanziaria in sede di risposta al questionario da quest'ultima preventivamente propostole.

2.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta - ex art. 360, 1^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. - carenza motivazionale e violazione degli articoli 51 e 52 d.P.R. 131/86, nonché 2 co.4 d.P.R. 460/96 e 2697 cod.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale affermato l'inattendibilità del valore dell'avviamento indicato nell'atto di provenienza, in quanto asseritamente basato sul condono; nonostante che quest'ultima circostanza non fosse stata ritualmente dedotta dall'amministrazione finanziaria.

2.2 Non sussiste la lamentata violazione normativa, posto che l'amministrazione finanziaria ha rideterminato il valore aziendale in applicazione del quarto comma dell'articolo 51 d.P.R. 131/86 e, per quanto segnatamente concerne il valore di avviamento, in applicazione del quarto comma dell'articolo 2 d.P.R. 460/96; facente richiamo alla percentuale di redditività sulla media dei ricavi accertati, ovvero dichiarati, nei tre anni anteriori al trasferimento.

Su tale presupposto (i cui fattori economici di calcolo non sono stati specificamente contestati sulla base della contabilità sociale rilevante), non può trovare censura l'affermazione della commissione tributaria regionale secondo cui il criterio così adottato non era di per sé smentito dal valore dell'avviamento indicato nell'atto di provenienza del 19 marzo 2001; del resto risalente ad oltre tre anni prima dell'atto di trasferimento che costituisce oggetto precipuo ed esclusivo del presente giudizio.

Ciò basta a sostenere - sull'assunto che il valore di avviamento dell'azienda debba essere riguardato all'attualità del trasferimento oggetto di accertamento - la ratio decidendi di congruità del maggior valore stabilito dall'ufficio; e ciò anche indipendentemente dal fatto che il valore indicato nell'atto di provenienza non fosse nella specie utilizzabile, in quanto determinato in sede di condono ai sensi dell'articolo 11 I. 289/02. Affermazione, quest'ultima, che riguarda un elemento secondario della fattispecie, e non costituente autonoma ratio decisoria.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

- condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 6.000,00; oltre spese prenotate a debito.