Giurisprudenza - CORTE DEI CONTI - Ordinanza 05 luglio 2017

Trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni anni 2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento integrale per i trattamenti fino a tre volte il trattamento minimo e in diverse misure percentuali per quelli compresi tra tre e cinque volte - Riconoscimento della perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, relativa agli anni 2012-2013, come determinata dall'art. 24, co. 25, del D.L. n. 201/2011, nella misura del 20% negli anni 2014-2015 e del 50% a decorrere dall'anno 2016 - Esclusione della perequazione, per l'anno 2014, con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - D.L. n. 201/2011. convertito in L. n. 214/2011, art. 24, commi 25 e 25-bis, nel testo novellato dall'art. 1 del D.L. n. 65/2015, convertito in L. n. 109/2015; L. n. 147/2013, 27 dicembre 2013, art. 1, comma 483 (lett. e)

 

Fatto e diritto

 

1. Con ricorso notificato all'INPS il 17 marzo 2016, nonché depositato l'indomani presso questa Sezione, gli ottantuno titolari di pensione menzionati in epigrafe hanno lamentato che l'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011) aveva introdotto, per il biennio 2012-2013, un blocco alla perequazione per le pensioni superiori al triplo del trattamento minimo INPS, senza alcun recupero negli anni successivi: così modificando radicalmente la pregressa disciplina, di cui all'art. 34 comma 1 della legge n. 448/1998. Hanno altresì evidenziato che, nonostante la declaratoria di illegittimità costituzionale del predetto art. 24, comma 25, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70/2015, invece l'art. 1, comma 1, del d.l. n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), novellando la norma censurata dal giudice delle leggi, aveva introdotto per le pensioni comprese fra il triplo ed il sestuplo del minimo INPS un meccanismo perequativo assolutamente insufficiente; ed aveva continuato ad escludere qualsiasi perequazione per le pensioni ultra sestuplum, oltretutto reiterando tale blocco anche per gli anni 2014 e 2015 (in virtù dell'art. 1, comma 483, lettera e della legge n. 147/2013). Pertanto gli odierni ricorrenti hanno eccepito l'illegittimità costituzionale di quest'ultima norma e dell'art. 1, del d.l. n. 65/2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36 primo comma, 38 secondo comma, 81 e 117 della Costituzione (quest'ultimo parametro in riferimento all'art. 6 della Convenzione europea per i Diritti dell'Uomo ed all'art. 1 del relativo protocollo addizionale). Conclusivamente hanno quindi domandato, previa rimessione alla Corte costituzionale della suddetta questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, del d.l. n. 65/2015 e dell'art. 1, comma 483, lettera e della legge n. 147/2013, la condanna dell'INPS al pagamento dei maggiori ratei pensionistici per le annualità dal 2012 al 2015.

2. Con comparsa depositata il 16 maggio 2016 si è costituito l'INPS, contestando la fondatezza della domanda avversaria, nonché delle questioni di legittimità costituzionale ad essa sottese. Con memorie depositate il 10 maggio ed il 23 giugno 2016 i ricorrenti hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle loro pretese.

All'udienza del 14 ottobre 2016 la causa è stata discussa dalle parti e, quindi, trattenuta in decisione da questo giudice.

3. Vagliate con una coeva sentenza non definitiva alcune eccezioni pregiudiziali sollevate dall'INPS (delle quali è parso superfluo dar conto nella pregressa narrativa), nel merito può considerarsi incontestata la suddivisione degli odierni ricorrenti nelle quattro fasce di pensioni eccedenti il triplo del trattamento minimo INPS (pagg. 6-9 della comparsa INPS).

Per tali fasce, in luogo dell'azzeramento originariamente sancito per tutte le pensioni ultra triplum dal comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, il testo di tale comma (quale novellato dall'art. 1, del d.l. n. 65/2015 all'indomani della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale) per il biennio 2012/2013 ha fissato la perequazione:

per la fascia ultra triplum, cioè da tre a quattro volte il minimo INPS, al 40% della misura integrale, a fronte del 90% dettato dall'art. 69 della legge n. 388/2000 previgente rispetto al d.l. n. 201/2011;

per la fascia ultra quadruplum, cioè da quattro a cinque volte il minimo INPS, al 20% della misura integrale, sempre a fronte di una previgente misura del 90%;

per la fascia ultra quintuplum, cioè da cinque a sei volte il minimo INPS, al 10% della misura integrale, in questo caso da comparare con una previgente misura del 75%.

Infine per la fascia ultra sestuplum, cioè oltre le sei volte il minimo INPS, l'esclusione di qualsiasi perequazione è stata confermata tanto dal d.l. n. 65/2015 per il biennio 2012/2013, quanto dalla lettera e del comma 483, dell'art. 1, della legge n. 147/2013 per l'anno 2014; laddove il già richiamato art. 69, della legge n. 388/2000 attribuiva a tale categoria di pensionati una perequazione al 75% della misura integrale.

Risulta perciò indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sia della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, sia della lettera e del comma 483, dell'art. 1, della legge n. 147/2013.

4. D'altro canto detta questione va reputata non manifestamente infondata, in riferimento sia al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, sia agli artt. 36, primo comma e 38 secondo comma della Costituzione.

Infatti, in argomento, il principio affermato dalla Corte Costituzionale è quello secondo cui «la proporzionalità e l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurati anche nel prosieguo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta» (sentenza n. 173/1986). Inoltre, anche se «l'art. 38 Cost. non esige che l'adeguamento delle prestazioni previdenziali ai mutamenti del potere di acquisto della moneta proceda mediante meccanismi automatici ...», potendo invece esso «... avvenire anche con interventi legislativi periodici ...» (sentenza n. 337/1992), in sé e per sé tale adeguamento non soltanto risulta indispensabile; ma deve altresì consentire alle pensioni di «... essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta» (sentenza n. 316/2010).

5. Se dunque si va a verificare la misura di tale adeguamento delle pensioni al costo della vita, deve ricordarsi come sul piano generale l'aumento definitivo di perequazione automatica sia stato fissato:

per il 2012, al 2,7% (decreto MEF 16 novembre 2012, nella Gazzetta Ufficiale 27 novembre 2012);

per il 2013, al 3% (decreto MEF 20 novembre 2013, nella Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2012);

per il 2014, all'1,1% (decreto MEF 20 novembre 2014, nella Gazzetta Ufficiale 2 dicembre 2014);

per il 2015, allo 0,2% (decreto MEF 19 novembre 2015, nella Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2015);

per il 2016, allo 0%, in via previsionale (decreto MEF 19 novembre 2015, cit.).

Inoltre, poiché aritmeticamente tali aumenti si compongono tra loro (anziché addizionarsi), ne scaturisce p.es. una variazione del 5,78% per il biennio 2012/2013 e del 6,94% per il triennio 2012/2014.

Dopodichè la dinamica inflattiva si è pressochè azzerata nel biennio 2015/2016; ma è notorio come il tasso di inflazione che l'Unione europea considera ottimale sia pari al 2% annuo. Il che equivale a dire che, in forza della novella di cui all'art. 1, del d.l. n. 65/2015, il potere d'acquisto della pensione degli odierni ricorrenti è stato «salvaguardato» soltanto in misura:

ultra triplum, dell'1,08% per il 2012 e dell'1,2% l'anno successivo, in luogo del 2,43% e del 2,7% che rispettivamente avrebbe garantito l'art. 69, della legge n. 388/2000;

ultra quadruplum, dello 0,54% per il 2012 e dello 0,6% l'anno dopo, anziché il 2,43% e il 2,7% che rispettivamente avrebbe garantito l'art. 69 della legge n. 388/2000;

ultra quintuplum, dello 0,27% per il 2012 e dello 0,3% per il 2013, in luogo dei 2,025% e del 2,25% che rispettivamente avrebbe garantito l'art. 69 della legge n. 388/2000;

ultra sestuplum, nulla per ambo i suddetti anni, a fronte del 2,025% e del 2,25% che rispettivamente avrebbe garantito l'art. 69 della legge n. 388/2000.

Infine per le pensioni ultra sestuplum l'azzeramento è stato reiterato anche per l'annualità 2014, in virtù della lettera e del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013.

6. Ulteriore gravissimo ed irragionevole pregiudizio alle pensioni collocate in tutte le fasce ultra triplum viene dal comma 25-bis del predetto art. 24, del d.l. n. 201/2011, introdotto dall'art. 1, del d.l. n. 65/2015: norma in virtù della quale alla fine del biennio 2012/2013 gli aumenti perequativi, già riconosciuti nella su descritta misura declinante dal 40% ai 10%, permangono acquisiti nel 2014 soltanto per una quota di appena il 20% della rispettiva percentuale (ossia l'8% per le pensioni ultra triplum, il 4% per quelle ultra quadruplum e il 2% per quelle ultra quintuplum).

Il che equivale a dire che, nonostante la poc'anzi ricordata variazione del 5,78% dell'inflazione nel biennio 2012/2013, in realtà alla data del 1° gennaio 2014 la pensione degli odierni ricorrenti risultava superiore rispetto a quella di due anni prima per appena lo 0,46%, 0,23% e 0,11% a seconda delle suddette fasce: cioè, nella migliore delle ipotesi, di neanche un decimo della predetta lievitazione del costo della vita, a fronte del 90% (o, almeno, del 75%) che invece avrebbe assicurato loro la normativa previgente all'originario comma 25 del più volte menzionato art. 24 e, quindi, la piana applicazione della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale.

7. Dunque in buona sostanza quest'ultima pronuncia è stata stravolta, mercè l'art. 1, del d.l. n. 65/2015: attribuendo per le pensioni ultra triplum, ossia per quelle più vicine alla fascia di perequazione integrale, per gli anni 2012 e 2013 meri arretrati sulla base di una perequazione (al 40%, anziché al 90%) più che dimezzata rispetto a quella sancita dalla normativa previgente rispetto a quella dichiarata costituzionalmente illegittima; e, a partire dal 1° gennaio 2014, pressochè azzerando finanche quella modesta perequazione e dunque quasi ripartendo dalla pensione di due anni prima. E peggio ancora dicasi per le pensioni più consistenti e purtuttavia inferiori al sestuplo del minimo INPS.

Quanto poi alle pensioni ultra sestuplum basti evidenziare che, in assenza di quell'adeguamento che già da un lustro viene completamente negato a quella fascia di pensionati (avendo fatto così ridurre il potere d'acquisto della loro pensione, come s'è appena visto, di quasi il 6% nel biennio 2012/2013 e di poco meno del 7% nel triennio 2012/2014) in virtù della normativa qui censurata, il non condivisibile principio ad essa sotteso ridurrebbe in misura rilevantissima il valore di quelle pensioni (p.es. di circa un terzo nei vent'anni dal 2012 in poi, ossia in un normale arco temporale di godimento del trattamento di quiescenza stesso).

Dunque va senz'altro condiviso il già ricordato insegnamento della Corte costituzionale secondo cui la protezione dell'inflazione, in maniera non simbolica, risulta necessaria quale che sia la misura della pensione; e si appalesa, invece, la totale irragionevolezza delle norme qui censurate.

8. A quest'ultimo proposito quelle medesime esigenze finanziarie, le quali benché invocate già nel d.l. n. 201/2011 non hanno impedito alla Corte costituzionale di reputare ivi «... valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità ...» (sentenza n. 70/2015), ad avviso di questo giudice non hanno indotto il legislatore, a dispetto del loro nuovo richiamo nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 65/2015, ad esercitare in quest'ultimo, asseritamente attuativo della testè menzionata pronuncia costituzionale, quel «... corretto bilanciamento ...» che aveva invece auspicato il giudice delle leggi.

Perciò i timori di insufficiente protezione delle pensioni dall'inflazione, già palesati dall'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201/2011, per qualsiasi categoria di pensioni ultra triplum risultano ampiamente confermati dalla successiva legislazione qui censurata. Conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.l. n. 65/2015: che va quindi sollevata in riferimento non soltanto al principio di ragionevolezza, ma anche a quei medesimi parametri costituzionali (ossia il primo comma dell'art. 36 ed il secondo comma dell'art. 38) che, ad avviso della Consulta stessa, già non informavano l'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201/2011. Invero il rispetto di tali parametri, tanto più ove dipendesse dallo specifico quantum di adeguamento alla dinamica inflattiva apprestato (per ciascuna fascia di pensioni) con il d.l. n. 65/2015, evidentemente compete alla Corte costituzionale stessa stabilire se in questa nuova occasione vi sia stato o meno: ciò che peraltro questo giudice esclude, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, per quanto possa rilevare rispetto al vaglio di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui delineata.

9. E' infine appena il caso di osservare come le argomentazioni difensive dell'INPS varrebbero, a ben vedere, a dimostrare già la legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201/2011: talché oggi esse appaiono palesemente finalizzate ad ottenere un inammissibile secundum iudicium della Consulta, stavolta in riferimento al d.l. n. 65/2015, ancorché quest'ultimo abbia pienamente reiterato, per tutte le categorie di pensioni ultra triplum, un quadro normativo già dichiarato costituzionalmente illegittimo.

 

P.Q.M.

 

Non definitivamente pronunciando in relazione al giudizio n. 28460, dichiara rilevante in tale giudizio e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma e 38 secondo comma della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale:

del comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1, del d.l. n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), nella parte in cui prevede che «la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, è riconosciuta ... b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi, ... c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi, ... d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi, ... e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi»;

del comma 25-bis, del predetto art. 24, quale introdotto dall'art. 1, del menzionato d.l. n. 65/2015;

del comma 483, dell'art. 1, della legge n. 147/2013, nella parte in cui prevede che «per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ... e) ... per il solo anno 2014, non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS»;

e per l'effetto:

1) solleva la questione di legittimità costituzionale dei commi 25 e 25-bis dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, nonché del comma 483, dell'art. 1, della legge n. 147/2013, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma e 38 secondo comma della Costituzione;

2) dispone l'immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale;

3) sospende il giudizio sino alla comunicazione della decisione adottanda dalla Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale testé sollevata;

4) dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri;

5) dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 20 settembre 2017, n. 38