Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 luglio 2018, n. 20100

Imposte sui redditi - Reddito d’impresa - Ammortamento dei beni materiali - Costi pluriennali - Quota imputabile a ciascun esercizio - Spese imposte all’impresa dalla sua concessionaria - Utilità delle spese - Durata della locazione o del leasing - Irrilevanza

 

Fatti di causa

 

1. A conclusione di attività di verifica, l'Agenzia delle entrate - Ufficio di Albenga notificava avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004, formulando rilievi in tema di IRPEG, IRAP ed IVA, in relazione all'attività condotta dalla contribuente, cioè compravendita automobili in concessionaria per il marchio Audi - V., giusto contratto con l'importatore italiano A. spa.

1.1 Per quanto riguarda il profilo attinente alle imposte dirette, l'Ufficio rilevava che il contribuente avesse svolto lavori di manutenzione straordinaria non scorporabili su immobili che teneva in locazione o in leasing e che avesse portato in ammortamento i relativi costi nel quinquennio. Contestava tale procedura di bilancio, ritenendo invece applicabile il principio contabile n. 24, invocando l'art. 52 e l'art. 74, comma 3, del TUIR nel testo vigente all'epoca dei fatti (ora artt. 56, 83 e 108) e le relative risoluzioni ministeriali. Per l'effetto, i costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi -non separabili dai beni sui quali vengono sostenuti- sono ¡scrivibili tra le immobilizzazioni immateriali e sono assoggettati ad ammortamento «nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione, tenuto conto dell'eventuale periodo di rinnovo se dipende dal conduttore». Operando il confronto fra ammortamento fiscale in 33,33 esercizi, e la durata del contratto in 12 anni al 2000, 11 al 2001, 10 al 2000, considerando che quest'ultimo è il termine più breve fra i due, l'Ufficio rideterminava in tal modo l'ammortamento e recuperava a tassazione gli importi eccedenti.

2. Insorgeva la contribuente avanti la CTP di Savona, contestando la ricostruzione operata dall'Amministrazione finanziaria.

2.1 Affermava da un lato la correttezza dei principi contabili adottati dalla contribuente, valorizzando la circostanza che l'art. 74, comma terzo, TUIR nel testo vigente all'epoca dei fatti non fissava affatto un criterio predefinito, ma rinviava ai canoni di diritto civile, lasciando quindi all'imprenditore un margine di manovra anche nella scelta dell'ammortamento secondo i criteri di contabilità. Richiamava trattarsi di spese per l'adeguamento della sede (in locazione) e dell'officina (in leasing) per l'adeguamento agli standards voluti da V. ogni quattro/cinque anni, di talché corretto era qualificare l'utilità in detto periodo e, per conseguenza, praticare l'ammortamento sullo stesso lasso temporale.

Resisteva l'Ufficio a difesa del proprio operato, insistendo sull'interpretazione giuridica adottata.

3. I giudici di primo grado accoglievano le prospettazioni della società contribuente ed annullavano i provvedimenti impugnati.

L'Agenzia interponeva appello, riproponendo le medesime argomentazioni già rappresentate in sede di verbale di accertamento.

Il giudice di secondo grado rigettava l'appello erariale e confermava la sentenza del primo giudice.

Propone ricorso per cassazione l'Agenzia, affidandosi ad un unico motivo di censura.

Si è ritualmente costituita la contribuente, controdeducendo specificamente ai motivi di doglianza.

In prossimità della pubblica udienza la contribuente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l'unico motivo si lamenta la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. in riferimento all'art. 74, comma 3, (ora 108) del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 e contestuale falsa applicazione dell'art. 74, comma 4, medesimo testo, nonché dell'art. 2426 n. 5 del codice civile. Nella sostanza viene riproposta l'interpretazione dell'Amministrazione in tema di ammortamento delle migliorie su beni altrui sopra descritta nei fatti di causa.

Questa Sezione ha già affrontato la questione in più occasioni (da ultimo cfr. ord. 14 marzo 2018, n. 6288), valorizzando l'autonomia privata nell'alternativa prevista dalla norma ed ancorandola alla verifica caso per caso dell'utilità delle migliorie, in ragione dello scopo perseguito con il contratto (locazione, affitto, leasing) che fonda la disponibilità del contribuente sulla res meliorata. Nel caso di specie, con apprezzamento in sé coerente e non sindacabile in questa sede, la CTR ha accertato che le migliorie fossero funzionali ai requisiti richiesti dalla concedente A. s.p.a. ogni quattro o cinque anni, deducendone nello stesso arco temporale di vita anche l'esplicarsi dell'utilità ricavabile dal contribuente che quindi rettamente ha calibrato l'ammortamento sul medesimo periodo.

In questa prospettiva non può trovare accoglimento la tesi ermeneutica della difesa erariale ove interpreta la locuzione normativa «spese di impianto» come le spese necessarie per impiantare, cioè avviare, costituire, iniziare ad esercitare un'attività economica organizzata. Secondo l'esemplificazione dell'Avvocatura tali sarebbero per esempio le spese di rogito notarile per l'acquisizione del terreno o della sede, sostenute una tantum e non ricorrenti, mentre non lo sarebbero le spese relative all'impianto, intese come le spese riferibili alla struttura ove l'attività si svolge e necessarie per la sua manutenzione straordinaria, con addizioni che ne aumentano il pregio o ne garantiscono la funzionalità.

Sennonché, seguendo la tesi erariale, sarebbero deducibili solo le spese svolte in occasione dell'avviamento, dell'insediamento, «dell'impianto» dell'attività, non più le altre spese sostenute «sull'impianto» durante la sua vita e ricorrenti a diversa cadenza. Ma è proprio il tenore del quadro normativo ad indirizzare verso questa seconda interpretazione, ove si riferisce appunto a criteri di durata quali l'utilità residua del bene o la durata del contratto, criteri che sono connaturali alla riedizione delle spese, quando non addirittura alla loro ricorrenza temporale ciclica per mantenere in efficienza l'impianto. Tali sono appunto le spese di ammodernamento e ristrutturazione d'immagine richieste dalla concedente alla concessionaria per restare a far parte della propria rete di vendita.

In definitiva, la CTR ha ben governato i principi affermati da questa Sezione, neppure può essere scrutinato in questa sede il procedimento logico adottato dal giudice di merito nel caso de quo. Il motivo è dunque infondato e va disatteso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna alla rifusione delle spese di lite che liquida in €.millecinquecento, oltre ad accessori, Iva e epa come per legge.