Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 16 maggio 2017, n. 12221

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Ricorso per revocazione

 

Fatti di causa

 

P.G. propone ricorso per revocazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 10793/2016, depositata in data 25/05/2016, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione di avvisi di accertamento emessi per IRPEF ed addizionali regionali e comunali, in relazione agli anni d'imposta 1997, 1998 e 1999, a titolo di maggior reddito da partecipazione in società a ristretta base azionaria, a seguito di rettifica del reddito della società, - e stata riformata la decisione di secondo grado, che aveva, in riforma della decisione della C.T.P., accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici della Corte hanno cassato la decisione impugnata, in accoglimento di tutti i motivi di ricorso avanzati dall’Agenzia delle Entrate, e, rivelando che i giudizi promossi della società, avverso gli accertamenti per maggiori ricavi emessi per gli stessi anni, erano stati tutti definiti con sentenze ormai passate in giudicato, con il rigetto dei ricorsi e la conferma della legittimità dell'operato dell'Ufficio, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, hanno, decidendo nel merito, respinto il ricorso introduttivo del contribuente.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c.,, è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il ricorrente ha depositato memoria ed il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, l'errore di fatto in cui è incorsa la Corte nel non avvedersi, decidendo nel merito, degli elementi di prova offerti dal contribuente in ordine alla mancata percezione dei maggiori utili, accantonati o reinvestiti, ovvero in ordine alla assegnazione, quale socio soccidario, di capi di bestiame in misura superiore a quanto spettante in base al contratto, che, concorrendo a determinare il reddito d'impresa, a seguito di rivendita, non dovevano formare oggetto di ulteriore tassazione.

2. La censura è inammissibile.

L'errore revocatorio, previsto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell'assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all'utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi. Questa Corte (Cass. 17443/2008) ha chiarito che "l'errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall'art. 391-bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali". Ancora è stato specificato da questa Corte (Cass. 22998/2013) che "il vizio con il quale si imputa alla sentenza un'erronea valutazione delle prove raccolte è, di per sé, incompatibile con l'errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio".

Ora, l'esistenza di elementi idonei ad integrare la prova contraria incombente sul contribuente, socio di società a ristretta base azionaria, circa la non percezione degli utili extra-contabili prodotti dalla società, costituiva il fatto principale controverso.

Inoltre, con un giudizio, non sindacabile in sede di revocazione, la Corte ha ritenuto che, alla luce dei giudicati formatisi nei confronti della società, vincolanti, stante lo stretto nesso di dipendenza tra l'accertamento effettuato a carico della società e quello a carico del socio, non vi era spazio per alcuna prova contraria da parte del socio contribuente.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositive, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi dall’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.