Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 settembre 2017, n. 44451

Tributi - Reati tributari - Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte - Costituzione di nuova società - Simulazione atti - Condanna dei soci

Ritenuto in fatto

1. Con decreto in data 21/07/2015, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lucca aveva applicato il sequestro preventivo delle quote sociali della P. S.r.l. in relazione al reato, contestato a M.P., R.A.T., S.C., A.P. e M.B., di cui all'art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per avere commesso atti simulati e/o fraudolenti al fine di sottrarre la garanzia patrimoniale del pagamento di un debito tributario contratto nei confronti dell'Amministrazione finanziaria.

2. Il provvedimento di sequestro era stato confermato con ordinanza in data 18/09/2015 del Tribunale del riesame di Lucca, la quale era stata annullata, per difetto di notifica, con sentenza n. 35290 di questa Corte in data 7/04/2016, depositata il 23/08/2016.

3. Pronunciandosi, in sede di rinvio, con ordinanza in data 27/10/2016, il Tribunale del riesame di Lucca ha nuovamente rigettato la richiesta di riesame.

4. Avverso la suddetta pronuncia hanno presentato ricorso per cassazione gli stessi indagati, a mezzo del difensore fiduciario, avv. L.G.V., deducendo due distinti motivi di censura, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti hanno lamentato, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed c) cod. proc. pen., la inosservanza e falsa applicazione della legge penale e processuale e la violazione di disposizioni processuali previste a pena di nullità, inutilizzabilità e inammissibilità in relazione agli artt. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, 125 e 321 cod. proc. pen., 14 d.lgs. n. 472 del 1997, 1414 e 2560 cod. civ.. In particolare, i ricorrenti hanno dedotto: che nel giudizio di rinvio erano stati addotti nuovi elementi, consistenti nella sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di M.P. in relazione al delitto di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, nonché nella attestazione, da parte della Agenzia delle Entrate, dell'avvenuto pagamento di alcuni ratei dell'accordo di pagamento; che l'ammontare del debito, indicato nell'avviso di accertamento, sarebbe pari a 975.730,44 euro e, dunque, sarebbe assai inferiore rispetto a quello indicato nell'imputazione. Sotto altro profilo, la ristrutturazione societaria e il conferimento contestati, asseritamente riconducibili a operazioni simulate, non sarebbero idonei a impedire le azioni di recupero da parte dell'Amministrazione finanziaria, concretizzando trasferimenti effettivi di beni e non la creazione di uno schermo volto ad occultare il patrimonio e la sua riconducibilità, pur dopo l'operazione simulata, all'originario debitore. Infatti, tutti i rapporti giuridici, ivi compresi i debiti tributari, sarebbero stati trasferiti dalla P.M. S.r.l. alla P. S.r.l., sicché l'annotazione, compiuta nel bilancio di liquidazione, secondo cui la prima società non aveva debiti, sarebbe del tutto veridica; ed anzi la società cessionaria, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, sarebbe responsabile in solido di tutti i debiti relativi al periodo di imposta in cui sia avvenuta la cessione e per i due anni precedenti, nonché per le violazioni contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. Inoltre, ai sensi dell'art. 2560 cod. civ., il cessionario è in ogni caso obbligato in relazione ai debiti che, pur non risultando dal bilancio, siano comunque da lui conosciuti o conoscibili con l'ordinaria diligenza. E del resto, avendo la P. S.r.l. aderito all'accertamento svolto dall'Agenzia dell'entrate ed avendo concordato un piano di rientro rateale, accollandosi il pagamento del debito, nessun pregiudizio sarebbe derivato, per l'Amministrazione finanziaria, dalla realizzazione dell'operazione asseritamente simulata; tanto più che, come detto, con l'atto di conferimento la cessionaria si era impegnata a pagare tutti i debiti, compresi quelli tributari, della cedente.

Sotto altro profilo, il puntuale pagamento dei canoni di affitto dei vari rami d'azienda e del prezzo di acquisto (a favore della cessionaria, da parte della terza società, del ramo d'azienda venduto) dimostrerebbe il carattere non simulato dell'operazione complessiva (costituta dalla cessione di un ramo di azienda e dall'affitto di altri due rami), atteso in particolare che i rami in affitto rimarrebbero, comunque, nella formale titolarità della società cedente e che, pertanto, potrebbero essere aggrediti facilmente dall'Erario, il quale in ogni caso si gioverebbe dei canoni annualmente corrisposti dalle società affittuarie, con ciò non depauperando, ma anzi migliorando, l'originaria garanzia patrimoniale. Ed anche la vendita del ramo di azienda relativo alla commercializzazione di vini e prodotti alcolici, pur determinando una riduzione del valore dell'attivo patrimoniale, avrebbe ridotto maggiormente il passivo patrimoniale della società cedente.

Né alcun indizio del carattere simulato dell'operazione potrebbe essere tratto dalla clausola, contenuta nell'atto di conferimento, volta a rendere vana l'eventuale procedura esecutiva, trattandosi di garanzia posta a tutela del cessionario nei confronti del cedente, cui il primo potrebbe sempre rivolgersi anche in sede risarcitoria, anche a tutela dei creditori. Pertanto, dall'operazione descritta non sarebbe desumibile alcun concreto elemento idoneo a configurare una ipotesi di simulazione, in particolare ove si prenda in considerazione la definizione civilistica dell'istituto.

Infine, il tribunale del riesame non avrebbe risposto alla specifica censura mossa nell'atto di gravame, secondo la quale non sarebbe stato determinato il soggetto che avrebbe dovuto essere identificato come "contribuente", ovvero come il soggetto attivo del delitto contestato e, corrispondentemente, quale tra gli altri soggetti avrebbe dovuto essere identificato come "concorrente" nel reato contestato.

4.2. Con il secondo motivo, i ricorsi censurano, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale e delle disposizioni previste a pena di nullità, inutilizzabilità e inammissibilità in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. sotto il profilo del periculum in mora. La sottoscrizione dell'accordo al pagamento rateale del debito dimostrerebbe la volontà della società cessionaria di adempiere e, dunque, l'assenza di un reale pericolo circa l'eventuale soddisfacimento del credito da parte dell'Amministrazione finanziaria; profilo sul quale i giudici della cautela non avrebbero fornito alcuna puntuale motivazione.

5. Con requisitoria scritta depositata il 3/03/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di M.P. e di R.A.T. e l'inammissibilità delle altre impugnazioni.

6. In data 5/05/2017, l'avv. L.G.V. ha depositato, nell'interesse degli indagati, una memoria con la quale, oltre a riproporre le questioni già dedotte con il ricorso introduttivo, ha esposto una serie di argomentazioni volte a confutare le osservazioni svolte dal Procuratore generale. In particolare, quanto al difetto di legittimazione di S.C., A.P. e M.B., la difesa ha sottolineato   come agli stessi fosse stata ascritta la partecipazione alle condotte simulate, sicché essi avrebbero interesse a interloquire per dimostrare la complessiva regolarità delle loro scelte imprenditoriali; e, quanto alla procura speciale, ha prodotto copia delle relative procure in precedenza rilasciate. Inoltre, si è posto in luce come la adesione della società cessionaria alla procedura di rateizzazione del debito e l'effettivo versamento delle rate dimostrerebbero l'assenza di dolo specifico, ovvero di un intento fraudolento dell'intera operazione.

 

Considerato in diritto

 

1. I ricorsi sono infondati.

2. Giova preliminarmente ricordare come il ricorso per cassazione in materia cautelare reale possa essere esaminato soltanto in relazione al profilo della eventuale violazione di legge, non essendo consentita, nella subiecta materia, la deduzione del vizio di motivazione (cfr. le pronunce di questa Corte, rese nell'ambito del medesimo procedimento: Sez. 2, n. 1437 del 9/01/2014, P.M. c. Bongiovanni; Sez. 2, n. 1438 del 9/01/2014, P.M. c. Cali).

Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). In tale caso, difatti, considerato l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell'atto, sicché, in definitiva, la motivazione mancante o meramente apparente finisce per integrare gli estremi della violazione di legge di cui all'art. 125 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 40731 in data 11/07/2006, Magrone e altro, Rv. 235758).

Soltanto alle condizioni indicate, dunque, è possibile censurare, sotto forma di violazione di legge, il vizio di motivazione, mentre non sono pacificamente censurabili l'adeguatezza o la coerenza logica dell'iter giustificativo della decisione, che possono denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico motivo di ricorso di cui alla lettera e) dell'art. 606 cod. proc. pen..

Sempre in premessa, osserva il Collegio che deve essere affermata la piena legittimazione di tutti i ricorrenti, avuto riguardo alla loro posizione di indagati nel procedimento principale e alla titolarità di situazioni giuridiche soggettive concernenti i beni sequestrati in capo alle società di cui gli indagati sono amministratori o delle cui quote sono intestatari.

2.1. Fermo quanto precede, il primo motivo di ricorso deve ritenersi, in punto di violazione di legge, certamente infondato.

2.1.1. In proposito, giova rilevare, innanzitutto, che l'art. 11, D.Igs. 10 marzo 2000, n. 74, rubricato "sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte", punisce "con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva". Inoltre, qualora l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi sia "superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni".

Sotto il profilo oggettivo è, dunque, necessario che il soggetto attivo realizzi uno o più operazioni attraverso cui "alieni simulatamente" determinati beni o compia, comunque, "altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni"; operazioni idonee "a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva".

La norma incriminatrice, pertanto, se da un lato tipizza, in maniera sufficientemente precisa, attraverso il riferimento agli "atti simulati", una modalità della condotta (l'alienazione simulata di beni del contribuente, realizzata sia nelle forme della simulazione assoluta e relativa, ad es. sotto forma della veridicità e congruità del prezzo pattuito, che in quelle della c.d. interposizione fittizia di persona: cfr., sul punto, Sez. 3, n. 14720 del 6/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239972), dall'altro lato, riferendosi al compimento di "altri atti fraudolenti", utilizza una formula di chiusura che definisce un ambito assai ampio di condotte rilevanti, comprensivo di tutte le condotte attraverso le quali il contribuente intenda far apparire, contrariamente al vero, che i suoi beni non possano soddisfare la pretesa esecutiva erariale. Si pensi, per rimanere agli esempi dalla casistica giurisprudenziale, alla costituzione di un fondo patrimoniale (v. Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007, Soldera, Rv. 238821); o alla messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessione di azienda e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (cfr. Sez. 3, n. 19595 del 9/02/2011, Vichi, Rv. 250471, secondo cui "nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario"); o, ancora, alla accensione di un'ipoteca su un immobile a garanzia di un credito fittizio ovvero al caso di alienazione simulata dei beni ad una società di leasing con l'obbligo di cederli in locazione ad una società di persone in cui erano soci i figli del contribuente, secondo lo schema del c.d. sale and lease back (cfr. Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239972). 0 si, pensi, infine, alla alienazione simulata dell'avviamento commerciale dell'azienda, finalizzata a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva (cfr. Sez. 3, n. 37389 del 16/05/2013, P.M. in proc. Ravera, Rv. 257589).

Tali atti, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, non presuppongono "come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva", non essendo questa espressamente prevista diversamente dall'omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui all'art. 97, comma 6, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Sez. 3, n. 14720 del 6/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239971; Sez. 5, n. 7916 del 10/01/2007, Cutillo, Rv. 236053). Deve ritenersi, invece, sufficiente l'idoneità della condotta, da valutare con giudizio ex ante, "a rendere in tutto o in parte inefficace l'attività recuperatoria dell'Amministrazione finanziaria" (così Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013, Barei e altro, Rv. 256376).

La fattispecie in esame, dunque, è oggi costruita dal legislatore non come reato di danno, ma come semplice reato di pericolo (Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251076) rispetto "all'interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva" (Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, Cepparo, Rv. 266133). Ne consegue che, a fortiori, l'idoneità a vanificare il  soddisfacimento della pretesa erariale connessa all'obbligazione tributaria sussiste pacificamente quando si sia realizzata "una diminuzione, anche non totale, della garanzia patrimoniale generica offerta dal patrimonio del debitore fiscale" (così Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, Arosio, Rv. 266134).

Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie in esame si connota per la presenza del dolo specifico, consistente nella finalizzazione dell'alienazione simulata o del compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, alla sottrazione "al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrativi relativi a dette imposte" (Sez. 3, n. 27143 del 22/04/2015, Noviello, Rv. 264187; Sez. 3, n. 14720 del 6/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970).

Quanto, poi, al superamento della soglia stabilita dalla norma incriminatrice deve rilevarsi come esso costituisca una delle finalità della condotta cui deve rivolgersi il dolo specifico dell'agente. Costui deve, dunque, rappresentarsi e volere non soltanto l'evasione dell'imposta, ma anche il superamento del limite stabilito dalla legge, senza che, peraltro, entrambi gli obiettivi debbano necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente l'idoneità della condotta a conseguirli.

2.2. Discende dalle considerazioni appena svolte, che non possono essere condivise le deduzioni dei ricorrenti in ordine all'effetto depauperatorio degli atti simulati o fraudolenti, che nella specie sarebbe mancato e che non sarebbe nemmeno configurabile. Infatti, la natura del delitto in esame come fattispecie di pericolo non impone che dall'atto - in ipotesi anche solo apparentemente - dispositivo consegua una effettiva erosione nell'area di garanzia dei crediti erariali costituita dal patrimonio del debitore, essendo sufficiente che si determini la semplice probabilità, da valutare al momento del compimento dell'atto stesso, che l'attività recuperatoria dell'Amministrazione finanziaria possa essere impedita. Nella stessa prospettiva, la circostanza che l'evasione di imposta rappresenti una mera finalità della condotta comporta, logicamente, che il superamento della soglia non debba essere stato necessariamente realizzato, purché la condotta sia, anche in tal caso, idonea a determinarlo. Tanto premesso, l'ordinanza impugnata ha indicato il complesso degli elementi fattuali che secondo i giudici del riesame dovevano ritenersi indicativi della realizzazione di un'operazione dalle finalità fraudolente, finalizzate a rendere meno agevole la possibilità di una effettiva riscossione del credito tributario da parte dell'Amministrazione finanziaria.

2.2.1. Sotto un primo profilo l'ordinanza ha ricordato come dal 2005 al 2012 la società P.M. S.r.I., di cui erano soci M.P. e R.A.T., avesse accumulato consistenti debiti tributari (pari a € 1.932.149,36, comprensivi di imposte evase, interessi e sanzioni) e come, successivamente alla verifica fiscale effettuata dall'Agenzia delle entrate, detta società avesse costituito, con atto notarile rogato il 16/01/2013, un'altra società, la P. S.r.l., il cui unico socio era la stessa società costituente, cui aveva conferito la sua azienda, stimandola per un valore di € 263.500,00. Contestualmente, ma con atto separato, la P.M  S.r.l. era stata posta in liquidazione, rappresentando falsamente nel bilancio di liquidazione che la stessa non aveva debiti; ed essa era stata quindi sciolta il 31/03/2013, con ripartizione del suo capitale sociale tra gli stessi T. e P..

Sempre in data 16/01/2013, erano state, poi, costituite la P.T. S.r.l. (ad opera di A.P., figlia dei coniugi T. e P., e di S.C., amministrata da quest'ultimo) e la P.D. S.r.l. (costituita sempre da A.P., nominata amministratore e da A.P.), entrambe controllate dai P.-T., alle quali erano stati ceduti, ancora in pari data, due dei tre rami di azienda acquistati lo stesso giorno, mentre il terzo era stato ceduto, sempre il 16/01/2013, alla società la C.L. S.r.l. (amministrata da M.B.), il cui capitale sociale era ripartito tra la P. S.r.l. e la P.M..

La P.M. S.r.l. era stata, quindi, sciolta il 31/03/2013, con ripartizione del suo capitale sociale tra gli stessi T. e P..

Sulla base degli elementi indiziari testé riassunti i giudici del riesame hanno compiuto una operazione di ricostruzione fattuale, niente affatto illogica, che li ha condotti a ritenere sussistente la ricordata finalità fraudolenta. Dunque, l'ordinanza impugnata ha puntualmente motivato, secondo cadenze argomentative del tutto logiche, che come tali si sottraggono, in ogni caso, a qualunque forma di sindacato da parte del giudice di legittimità, le ragioni per le quali è stato nella specie ravvisato il fumus commissi delicti in relazione alla fattispecie contestata.

2.2.2. Non corretta deve, infatti, ritenersi la prospettazione difensiva laddove essa afferma che l'area di garanzia non sarebbe stata in alcun modo incisa in quanto la nuova società avrebbe assunto gli obblighi incombenti sulla società cedente.

Sul punto, infatti, deve osservarsi che le disposizioni normative all'uopo richiamate dalla difesa dei ricorrenti non consentono di escludere una situazione di pericolo circa la effettiva riscossione da parte dell'Amministrazione tributaria.

Secondo la previsione generale dell'art. 2560 cod. civ., rubricato "debiti relativi all'azienda ceduta", se è vero che l'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito, è anche vero che ove l'azienda abbia ceduto i propri beni e sia stata posta successivamente in liquidazione, come avvenuto nel caso di specie, tale garanzia rischia di diventare soltanto formale. Quanto, poi, alla responsabilità dell'acquirente dell'azienda commerciale,, il successivo comma 2 la circoscrive al solo caso in cui i debiti dell'azienda ceduta risultino dai libri contabili obbligatori (laddove, come detto, nel bilancio di liquidazione era stata indicata la inesistenza di debiti).

Peraltro, la disciplina fin qui ricordata viene integrata, e in parte derogata, dalle disposizioni speciali dettate, con riferimento ai rapporti tributari, dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (recante "Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662"), il cui art. 14, rubricato "Cessione di azienda", stabilisce, al comma 1, che "il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore"; fermo restando che "la responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni" (comma 4) e che "la frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante" (comma 5).

Come anticipato, l'art. 14 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 introduce una normativa speciale rispetto all'art. 2560, comma 2, cod. civ., dettata per la tutela dei crediti tributari e diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, dei beni costituenti il complesso aziendale, venga ad essere sottratta al Fisco la originaria garanzia patrimoniale dei crediti tributari vantati nei confronti del cedente, con pregiudizio all'interesse pubblico concernente la riscossione delle entrate finanziarie. Infatti, la particolare natura del credito tributario ha indotto il Legislatore delegato a differenziare la disciplina normativa tributaria da quella civilistica: da un lato prescidendo dalla condizione formale richiesta dall'art. 2560 cod. civ. della iscrizione del debito fiscale nelle scritture obbligatorie contabili della società cedente ed attribuendo, invece, efficacia liberatoria alla eventuale attestazione negativa della esistenza di debiti rilasciata dagli Uffici finanziari su richiesta della parte interessata (v. art. 14, comma 3), in modo da estendere la disciplina del d.lgs. n. 472 del 1997, art. 14 anche alle  imprese non commerciali; dall'altro distinguendo nettamente la ipotesi lecita di cessione d'azienda (art. 14, commi 1, 2 e 3) dal negozio di cessione d'azienda in frode al Fisco (art. 14, commi 4 e 5): nel primo caso conformando la responsabilità del soggetto cessionario come sussidiaria attraverso il bene ficium excussionis e come limitata sia nel quantum (entro il valore della cessione della azienda o del ramo di azienda) che nell'oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni "commesse" dal soggetto cedente nel triennio anteriore il trasferimento dell'azienda o del ramo, ovvero relative a violazioni commesse anche anteriormente, per sanzioni od imposte "già irrogate o  contestate" nel triennio, ovvero entro i limiti del "debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi"); nel secondo caso escludendo espressamente le precedenti limitazioni (art. 14, comma 4) ed introducendo (v. art. 14, comma 5) una presunzione legale iuris tantum di cessione in frode "quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante" (così Cass. civ., Sez. 5, n. 5979 del 14/03/2014, Rv. 630640 - 01; Cass. civ., Sez. 6 - 5, ordinanza n. 9219 del 10/04/2017, Rv. 643953 - 01).

In questa prospettiva, dal momento che nel caso di specie l'accertamento, almeno da quanto emerge dal provvedimento impugnato, è stato effettuato nel 2014 e in relazione all'anno di imposta 2009, deve ritenersi esistente il rischio che il debito tributario potesse non essere opponibile alla società cessionaria, in quanto non rientrante nel ricordato lasso temporale. Ciò che, pertanto, ha certamente determinato, anche tenuto conto del carattere cautelare della procedura che ha dato origine al presente giudizio, una situazione di pericolo in ordine alla possibilità, per l'Amministrazione finanziaria, di addivenire ad una effettiva riscossione dei propri crediti. E questo a prescindere da ogni questione sulla congruità della valutazione relativa al valore dell'azienda ceduta, su cui è mancato un approfondimento istruttorio e che, pertanto, non può essere qui preso in considerazione in quanto non contestato.

2.2.3. Sotto altro profilo, non può condividersi la tesi difensiva secondo cui, nel caso in esame, difetterebbe il requisito del dolo specifico, costituto da un intento fraudolento dell'intera operazione, in quanto la società cessionaria aveva aderito alla procedura di rateizzazione del debito, provvedendo, quindi, all'effettivo versamento delle rate. Ciò per l'evidente ragione che, in ogni caso, si tratta di condotte successive alla realizzazione dell'ipotizzato reato, sicché la circostanza appare, allo stato, priva di univoco significato indiziario. Consegue, conclusivamente, alle considerazioni più sopra espresse, l'infondatezza del primo motivo di ricorso.

3. Quanto al secondo motivo di impugnazione, è appena il caso di rilevare che, in ogni caso, la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (e, dunque, anche per i delitti contemplati dall'art. 10-quater), così come della relativa confisca per equivalente, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena, secondo quanto stabilito dall'art. 12-bis, comma 2, del predetto D.Lgs., introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha sostanzialmente riprodotto l'art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogato dall'art. 14 del citato D.Lgs. n. 158 del 2015; art. 1 che a sua volta richiamava la fattispecie prevista dall'art. 322-ter cod. pen. (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, dep. 28/11/2016, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 268386; Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, dep. 22/08/2016, D'Agapito, Rv. 267764; in termini anche Sez. 3, n. 19461 del 11/03/2014, dep. 12/05/2014, P.G. in proc. Stefanelli, Rv. 260599). Ne consegue che, in ipotesi siffatte, deve ritenersi irrilevante sia la valutazione del periculum in mora - che attiene ai requisiti del sequestro preventivo di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc.  pen. - sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni (cfr., in tema di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263408; Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014, Borda, Rv. 260367; nonché, in tema di confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 6 D.L. n. 172 del 2008, conv. in legge n. 210 del 2008, Sez. 3, n. 43945 del 25/06/2013, dep. 28/10/2013, Liccardi, Rv. 257418); così come è irrilevante, ai fini della valutazione sulla legittimità del vincolo, la circostanza, dedotta dai ricorrenti, che sia stato sottoscritto un accordo per il pagamento rateale del debito, atteso che il progressivo assottigliarsi del debito nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, da parte della società cessionaria, può assumere significato unicamente sotto il profilo di una eventuale riduzione del quantum del sequestro da parte del giudice della cautela.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.