Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 novembre 2017, n. 26377

Cartella esattoriale - Contributi Inps e relative somme aggiuntive - Lavoratori non regolarizzati - Deposizioni rese dai lavoratori - Dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di accertamento ispettivo - Maggiore credibilità rispetto alle deposizioni testimoniali - Valutazione della loro concludenza e attendibilità - Non censurabile in sede di legittimità - Unico limite di indicare le ragioni del proprio convincimento

 

Rilevato

 

che V.R. propose opposizione davanti al giudice del lavoro del Tribunale di Savona avverso la cartella esattoriale emessa dalla società S. s.p.a. su richiesta dell'Inps con la quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di € 8052,64 a titolo di contributi e relative somme aggiuntive per il periodo aprile - settembre 2003 in relazione alla posizione dei lavoratori C.R., C.R. e B.D.; che il Tribunale respinse l'opposizione e che tale decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Genova (sentenza 5 agosto 2011) a seguito di impugnazione da parte del V.;

che la Corte territoriale ha ritenuto che l'esame complessivo degli atti di causa aveva consentito di ritenere provato il fatto posto a base degli addebiti contestati dalla Guardia di Finanza di Alassio il 17.10.2003, vale a dire la presenza presso la pizzeria "A.P." dei summenzionati lavoratori non regolarizzati;

che per la cassazione della sentenza ricorre Raffaele V. con due motivi;

che l'INPS resiste con controricorso illustrato da memoria;

che il P.G. ha presentato le proprie conclusioni, chiedendo l'accoglimento del ricorso;

 

Considerato

 

che col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 421, ultimo comma, c.p.c. e per vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha omesso di argomentare sul motivo principale dell’impugnazione, ovvero se le deposizioni dei lavoratori, assunte come mere dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio, potessero avere o meno valore di prova e costituire l’unico motivo di convincimento del giudice;

che il motivo è infondato, in quanto la Corte d’appello si è semplicemente limitata ad affermare che le dichiarazioni liberamente rese dai lavoratori potevano essere assunte ai fini della decisione e tale affermazione è in linea con l’orientamento di questa Corte (Cass. sez. 2 n. 27407 del 29.12.2014) secondo cui "in tema di valutazione della prova, le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di alcun valore confessorio, in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia, ben possono costituire il fondamento del convincimento del giudice di merito, al quale è riservata la valutazione, non censurabile in sede di legittimità, se congruamente e ragionevolmente motivata, della loro concludenza e attendibilità" (conf. a Cass. sez. 1 n. 6510 del 2.4.2004);

che col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e per vizio di motivazione, il ricorrente si duole della maggiore credibilità attribuita dalla Corte di merito alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di accertamento ispettivo rispetto alle deposizioni testimoniali di G. V. e T.I.; che anche tale motivo è infondato;

che, invero, come si è già avuto occasione di precisare (Cass. sez. lav. n. 13910 del 9/11/2001) "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva (nella specie, con riferimento all'accertamento dell'omesso versamento di contributi previdenziali relativi a rapporti di lavoro subordinato, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva conferito attendibilità alle dichiarazioni rese da due testimoni agli ispettori dell'lnps rispetto a quelle rese in giudizio dagli stessi, avendo ritenuto le prime più veritiere e genuine in base alla considerazione di una serie di elementi di fatto);

che si è, altresì, affermato (Cass. sez. lav. n. 15073 del 6/6/2008) che "i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell'Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato, il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso d'altri elementi renda superfluo l'espletamento di ulteriori mezzi istruttori" (conf. a Cass. sez. lav. n. 3525 del 22/2/2005 e da ultimo v. Cass. sez. lav. n. 13054 del 10/6/2014 sulla insindacabilità, in sede di legittimità, del "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato);

che nella fattispecie la Corte d’appello ha motivato in maniera adeguata ed esente da vizi di natura logico-giuridica il proprio convincimento sulla ravvisata sussistenza delle irregolarità poste a base della pretesa contributiva oggetto di causa, allorquando ha dato rilievo preponderante alla genuinità delle dichiarazioni rese in sede ispettiva nell’immediatezza dei fatti dai lavoratori rispetto alle deposizioni dei suddetti testi, ritenendo queste ultime inidonee a confutare le risultanze delle prime;

che in definitiva la sentenza regge alle censure di parte ricorrente e sfugge ai rilievi di legittimità, per cui il ricorso va rigettato.

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore dell’lnps che ha resistito anche in nome e per conto della società di cartolarizzazione S.C.C.I s.p.a.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 2200,00, di cui € 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.