Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 novembre 2017, n. 28253

Nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro - C.C.N.L. comparto regioni-enti locali - Conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato

 

Rilevato che

 

1. la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza di prime cure che aveva parzialmente accolto il ricorso, ha respinto tutte le domande proposte da C.G. la quale, nel convenire in giudizio la Città di Torino, aveva domandato: la dichiarazione di nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati nel periodo compreso fra il 21.2.2002 ed il 26.7.2002 e, in subordine, della clausola di durata inserita nel contratto del 5.11.2002; la condanna dell'amministrazione resistente al risarcimento del danno quantificato in misura pari alle retribuzioni maturate sino al 10 settembre 2007 (in caso di accoglimento della domanda di stabilizzazione) o al 16 gennaio 2010, data della pronuncia della sentenza di primo grado; l'annullamento della determina dirigenziale n. 1624 del 16/8/2007 di esclusione dalla procedura di stabilizzazione ex lege n. 296/2006 e la condanna dell'ente a stipulare il contratto di lavoro individuale a tempo indeterminato, al pagamento delle retribuzioni maturate dal 10/9/2007, al versamento dei contributi previdenziali;

2. la Corte territoriale, quanto alla impugnativa dei contratti a termine, ha ritenuto che le assunzioni decorrenti dal 21 febbraio 2002, 17 aprile 2002, 3 giugno 2002 fossero avvenute nel rispetto dell'art. 7, comma 1, del C.C.N.L. comparto regioni-enti locali del 14/9/2000 che aveva mantenuto efficacia in via transitoria ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, sicché l'unico contratto non rispondente ai requisiti richiesti dal richiamato d.lgs. era quello relativo al periodo 5 novembre 2002/luglio 2003, stipulato per far fronte ad esigenze non temporanee in quanto la stessa causale, tra l'altro non specifica, richiamava la carenza di organico;

3. il giudice di appello, accogliendo l'impugnazione incidentale della Città di Torino e respingendo quello principale della G., ha escluso che a quest'ultima potesse essere riconosciuto il risarcimento del danno perché il pregiudizio non poteva essere ravvisato nella mancata conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato e doveva essere provato, tanto più che nella fattispecie era risultata affetta da nullità la clausola appositiva del termine del solo contratto del 5 novembre 2002 e quindi non poteva essere invocata la normativa eurounitaria;

4. la Corte territoriale ha rigettato anche il motivo d'appello relativo alla procedura di stabilizzazione ed ha rilevato che la G. legittimamente era stata esclusa, non essendo in possesso del requisito del triennio richiesto dal bando in quanto non poteva essere incluso nel calcolo il periodo 1° luglio 2005/24 aprile 2006, successivo alla scadenza dell'ultimo contratto, in relazione al quale I' appellante aveva percepito la indennità di maternità;

5. avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.G. sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese il Comune di Torino che ha proposto ricorso incidentale affidato ad un'unica censura;

6. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ..

 

Considerato che

 

1. il primo motivo del ricorso principale denuncia «violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'art. 36 d.lgs. 165/2001 e alla clausola 5 dell'Accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato 18/3/1999 allegato alla direttiva 1999/70/CE» perché la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto dei principi affermati dalla Corte di Giustizia e riconoscere il risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate dalla scadenza del contratto sino alla pronuncia della sentenza di primo grado, posto che, altrimenti, la misura non sarebbe effettiva, dissuasiva ed equivalente a quella riconosciuta ai lavoratori del settore privato;

2. la seconda censura lamenta la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 1, comma 558, I. 296/2006; artt. 22, commi 3 e 5, e art. 24 d.lgs. 151/2001; art. 25, comma 2, d.lgs. 197/2008» ed insiste sull'utilità del periodo di maternità, anche se successivo alla scadenza del termine, ai fini della maturazione del triennio necessario per la stabilizzazione perché la lavoratrice madre non può essere pregiudicata dal punto di vista reddituale e nella carriera;

3. il ricorrente incidentale con l'unico motivo si duole della «violazione ovvero falsa applicazione delle seguenti norme di diritto e di contratto collettivo: artt. 36 e 70 d.lgs. 165/2001; legge 3 maggio 1999 n. 124; art. 9 comma 18 del d.l. 70/11 convertito nella legge 12 luglio 2011 n. 106; artt. 1362 c.c. in combinato disposto art. 12 preleggi, artt. 1363, 1367 e 1424 c.c.: artt. 7 comma 3 e 31 CCNL 14 settembre 2000» e deduce che l'educatore di asilo nido, anche se assunto con mansioni di economo, rientra nel settore del personale scolastico e, quindi, allo stesso è applicabile la disciplina richiamata in rubrica, che esclude espressamente l'applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001 e che non può essere derogata dalle parti;

3.1. aggiunge il ricorrente incidentale che la causale, tutt'altro che generica, indicava espressamente le ragioni dell'assunzione, disposta per ragioni temporanee, rese evidenti dal termine di durata al quale le parti si erano attenute;

4. non è stato oggetto di censura il capo della decisione relativo alla ritenuta legittimità dei contratti a termine stipulati per esigenze sostitutive in date 21.2.2002, 17.4.2002, 3.6.2002, sicché non è configurabile nella fattispecie alcuna abusiva reiterazione del rapporto a tempo determinato, avendo la Corte territoriale ritenuto, tra l'altro solo in motivazione, affetta da nullità la clausola di durata apposta al solo contratto relativo al periodo 5 novembre 2002/luglio 2003;

4.1. conseguentemente non possono essere estesi al caso di specie i principi affermati dalla Corte di Giustizia con l'ordinanza del 12 dicembre 2013 in causa C- 50/13, perché la clausola 5 dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 CE non è applicabile nell'ipotesi in cui venga in rilievo un unico contratto (Corte di Giustizia 23.4.2009 in cause riunite da C-378/07 a C-380/07, punto 90) ;

4.2. per le medesime ragioni non può operare l'agevolazione probatoria di cui alla sentenza n. 5076/2016 in quanto il principio di diritto è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte per adeguare la norma interna alla direttiva eurounitaria, nella parte in cui impone l'adozione di misure idonee a sanzionare la illegittima reiterazione del contratto (in tal senso Cass. 2.3.2017 nn. 5315 e 5319);

4.3. la richiamata sentenza delle Sezioni Unite, la cui motivazione deve intendersi qui trascritta ex art. 118 cod. proc. civ., dopo avere ribadito che nell'impiego pubblico contrattualizzato il ricorso alle forme di lavoro flessibile in assenza dei presupposti richiesti dalla legge non può mai comportare la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'ente pubblico, ha evidenziato che il danno ingiusto risarcibile non consiste nella mancata conversione, sicché destituita di fondamento è la pretesa della ricorrente di vedersi corrispondere, pur in assenza di prestazione, tutte le retribuzioni maturate dalla scadenza del contratto;

4.4. le Sezioni Unite hanno rimarcato che nel nostro ordinamento il danno deve essere allegato e provato dal soggetto che assume di avere subito un pregiudizio, per cui grava sul lavoratore che agisce in giudizio dimostrare le conseguenze pregiudizievoli derivate dalla stipulazione del contratto affetto da nullità, che essenzialmente consistono nella perdita di chance di un'occupazione migliore;

4.5. a detti principi di diritto si è correttamente attenuta la Corte territoriale, che nel respingere la domanda risarcitoria ha rilevato, da un lato, la totale carenza di allegazione e di prova quanto alla natura ed all'entità del danno subito e, dall'altro, la inapplicabilità all'unico contratto a termine non validamente stipulato della giurisprudenza sovranazionale relativa alla diversa ipotesi della reiterazione abusiva del contratto;

4.6. non si ravvisa necessità alcuna del sollecitato rinvio pregiudiziale giacché sull'interpretazione della clausola 5 dell'accordo quadro e sul concetto di equivalenza la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata e proprio su dette pronunce le Sezioni Unite di questa Corte hanno fondato il principio di diritto affermato con la sentenza n. 5072 del 2016 (Cass. S.U. 24.5.2007 n. 12067 e Cass. 16.6.2017 n. 15041);

5. è infondato anche il secondo motivo del ricorso principale perché la Corte territoriale ha correttamente interpretato l'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006 nella parte in cui richiede, per la partecipazione alle procedure di stabilizzazione, il servizio, anche non continuativo, di durata triennale;

5.1. ai fini del computo del servizio effettivo non si può tenere conto del periodo, successivo alla scadenza del contratto a termine, in cui la lavoratrice ha goduto dell'indennità di maternità ex art. 24 del d.lgs. n. 151 del 2001, perché detta disposizione, come è reso evidente già dal titolo dell'articolo, prolunga il diritto alla corresponsione del trattamento economico nelle ipotesi di disoccupazione, di sospensione e di assenza senza retribuzione, ma non estende le altre garanzie previste per il congedo di maternità in costanza di rapporto dall'art. 22, garanzie fra le quali rientra quella della computabilità del congedo nell'anzianità di servizio (art. 22, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001);

5.2. non si ravvisa l'ipotizzata discriminazione perché la lavoratrice gestante riceve il medesimo trattamento riservato al lavoratore di sesso maschile, per il quale si computa la sola durata del contratto a termine, durata che viene calcolata per intero anche in favore della lavoratrice nell'ipotesi in cui l'astensione per maternità cada nel periodo di esecuzione del rapporto a tempo determinato;

5.3. è conseguentemente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006 perché la maternità non pregiudica in alcun modo la lavoratrice rispetto alle prospettive di stabilizzazione, dovendo comunque essere apprezzata l'intera durata del contratto a tempo determinato, durata che è quella che rileva anche per i lavoratori di sesso maschile, rispetto ai quali vi è assoluta parità di trattamento;

6. il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile per difetto del necessario interesse all'impugnazione perché il dispositivo della sentenza impugnata è di integrale rigetto di tutte le domande proposte dalla G.;

6.1. è, quindi, applicabile alla fattispecie il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui «la parte risultata totalmente vittoriosa non può impugnare la sentenza a sé favorevole per far valere motivi attinenti alla motivazione della stessa, neppure lamentando un pregiudizio derivante dal formarsi del giudicato su di essa, trattandosi di evenienza non idonea ad integrare l’interesse ad impugnare» (Cass. 7.4.2015 n. 6894, Cass. 16.1.2015 n. 658, Cass. 23.5.2008 n. 13373);

7. l'esito delle opposte impugnazioni integra soccombenza reciproca che giustifica l'integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

7.1. non sussistono ratione temporis le condizioni di cui all'art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.