Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 aprile 2017, n. 10327

Inps - Omissione contributiva - Opposizione a cartella esattoriale - Rateizzazione del debito

 

Fatti di causa

 

Con sentenza n. 262/2011 la Corte d'appello di L'Aquila, riformata la statuizione di primo grado, rigettava l'opposizione a cartella esattoriale riferita ai contributi omessi da dicembre 1994 a novembre 1996 negando il diritto della L.L. s.r.l, a fruire degli sgravi contributivi di cui al d.l. 5/8/1994.

La Corte territoriale rilevava che il termine ultimo per fruire degli sgravi nella Regione Abruzzo era stato fissato dalla L. n. 451 del 1994, di conversione del D.L. n. 299 del 1994, alla data del 30 giugno 1994, riservando ad appositi decreti ministeriali la possibilità di fruizione degli sgravi oltre tale termine. Indi, sia il D.M. 5 agosto 1998, sia quello 24 dicembre 1997, che disponevano la proroga, erano stati annullati dal giudice amministrativo; successivamente, la L. n. 176 del 1998, art. 1 comma 2 ter, di conversione del D.L. n. 78 del 1998, aveva disciplinato le modalità per il recupero dei contributi non versati dalle aziende operanti in Abruzzo e Molise dal primo dicembre 1994 al 30 novembre 1996, dal che emergeva che gli sgravi non erano dovuti e che quindi esisteva il credito vantato dall'Inps. Il termine prescrizionale, inoltre, era stato interrotto per effetto della presentazione della domanda di rateizzazione e del pagamento delle rate almeno sino al giugno 2006 e, poi, dalla notifica della cartella avvenuta nel marzo 2010.

Avverso detta sentenza L.L. s.r.l. propone ricorso con quattro motivi illustrati da memoria.

L'Inps resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso L.L. s.r.l. lamenta la nullità della sentenza impugnata o del procedimento in relazione agli artt. 112 e 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sull'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dall'INPS derivante dalla genericità dei motivi di impugnazione ai sensi dell'art. 434 c.p.c.

1.1. La ricorrente deduce il vizio riferendolo alla circostanza che l'INPS non aveva specificamente contrastato, nei motivi d'appello, l'eccezione di nullità dell'iscrizione a ruolo per violazione dell'art. 24 comma terzo del d.lgs. 46/1999 sollevata dalla società in primo grado in relazione alla mancanza del provvedimento esecutivo del giudice in pendenza di giudizio sulla legittimità dell'iscrizione sulla quale la sentenza del Tribunale di Chieti non si era pronunciata pur dichiarando il diritto della parte a fruire degli sgravi.

1.2. Con il terzo motivo, che qui si richiama per la stretta connessione al primo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento in relazione agli artt. 112 e 360 comma primo n. 4 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine all'eccezione di illegittimità dell'iscrizione a ruolo per violazione dell'art. 24 comma terzo del d.lgs. 46/1999 ed a tal fine richiama l'atto d'appello dell'INPS affermando che lo stesso doveva intendersi riferito anche a tutte le ragioni fatte valere con il ricorso in opposizione alla cartella esattoriale e, quindi, anche a tale eccezione.

1.3. I motivi, che devono trattarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati. Questa Corte ha da tempo chiarito che, nel giudizio d'appello, l'art. 342 c.p.c. per il rito ordinario e l'art. 434 c.p.c. nel rito del lavoro, pongono il principio della necessaria specificità dei motivi di appello, per il quale è onere dell'appellante contrapporre le proprie argomentazioni critiche al fondamento logico-giuridico su cui è fondata la decisione impugnata. Tale onere non richiede particolare rigore di forme, esigendosi solo che al giudice siano esposte le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, e che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano anche indicate, oltre ai punti e ai capi formulati e seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure (Cass. 20 marzo 2013, n. 6978).

1.4. E', dunque, richiesta l'esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice di gravame, sia delle ragioni della doglianza, all'interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, devono essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione (Cass. 24 agosto 2007, n. 17960; 1 aprile 2004, n. 6403).

1.5. In sostanza, deve potersi ravvisare la critica adeguata e specifica della decisione impugnata, la quale consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure in riferimento ad una o più delle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. 29 novembre 2011, n. 25218; 23299/2011; 28057/2008).

1.6. Nel caso in cui, pertanto, sussista l'omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su di un punto della domanda autonomo rispetto alla pronuncia espressa, occorre distinguere, ai fini della specificità del motivo di gravame, la posizione della parte impugnante in ordine al capo omesso.

Invero, la questione può porsi solo se tale parte è soccombente rispetto al capo omesso in quanto, in caso diverso, l'appellante non avrebbe interesse ad impugnare l'omissione di pronuncia a sé potenzialmente sfavorevole.

Spetterebbe, semmai, alla parte che si è vista omettere la pronuncia richiesta, al fine di evitare che l'eccezione o la domanda si intendano rinunciate, reiterare la richiesta non esaminata in prime cure ai sensi dell'art. 346 c.p.c.

1.7. La ricorrente, con ciò incorrendo in difetto di autosufficienza, non precisa se e dove abbia riproposto in appello la questione che si assume omessa dal Tribunale per cui non è possibile verificare l'effettiva devoluzione della questione in appello. Anzi dalla rappresentazione delle vicende processuali contenuta in ricorso si trae il contrario convincimento poiché la parte richiama esclusivamente il ricorso di primo grado quale sede processuale di formulazione dell'eccezione.

1.8. Sotto altro profilo, poi, anche a voler ritenere effettivamente riproposta la questione, il motivo sarebbe comunque infondato in quanto, accogliendo l'appello dell'INPS, la Corte territoriale ha implicitamente deciso anche sull'eccezione relativa all'improcedibilità o inammissibilità del gravame, rigettandola (cfr., Cass. n. 17956/15, nel senso che la decisione di accoglimento della domanda della parte comporta anche la reiezione dell'eccezione d'inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla controparte, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l'eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia). Lo stesso deve dirsi con riferimento alla questione dell'illegittimità dell'iscrizione a ruolo della pretesa contributiva che è incompatibile con la declaratoria di rigetto dell'opposizione a cartella.

1.9. D'altronde, nemmeno potrebbe rilevare il vizio di omessa motivazione, poiché questa è irrilevante qualora il giudice non abbia fornito alcuna giustificazione su una questione di diritto (quale è quella dell'ammissibilità del gravame o dell'illegittimità dell'iscrizione a ruolo), in quanto il vizio di motivazione rileva come motivo di ricorso per cassazione soltanto quando involga questioni di fatto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 del d.l. 465/1993 conv. in I. n.21/1994, dell'art. 19 del d.l. 299/1994 conv. in I. 451/1994 dei dd. mm . 5 agosto 1994 e 24 dicembre 1997. Lamenta, in sostanza, che dalle sentenze del Consiglio di Stato n. 1331 del 1996 e n. 66 del 2006 non era derivato l'intero annullamento del d.m. 8 maggio 1994, come confermato dal d.l. n. 78/1998 conv. in I. 176/1998, per cui non può ritenersi esistente alcun obbligo di restituzione di sgravi illegittimi, come preteso dall'INPS per il triennio 1994/1996, non esistendo alcun vuoto normativo.

2.1. Il motivo è infondato per le ragioni più volte espresse da questa Corte (Cass., nn. 7297/2016; 25762/2009; 26053/2009, 9532/2013), oltre che dal Consiglio di Stato (sentenza n. 66 del 2006) rispetto alle quali non emergono ragioni per discostarsi. Ed invero, come si evince anche dalle pronunce sopra indicate, il diritto agli sgravi per le imprese abruzzesi non è mai stato affermato dall'ordinamento nei termini pretesi dalla ricorrente, tanto meno dalla parte non caducata dei decreti ministeriali citati. E se è vero che tali decreti sono stati annullati perché non dettavano adeguata giustificazione alla limitazione temporale ivi stabilita è pure vero che in nessun' altra parte del decreto, come di altre norme superiori, si prevede il diritto agli sgravi per come preteso in ricorso.

2.2 Va ribadito pertanto che in materia di sgravi contributivi a favore delle imprese operanti nella Regione Abruzzo, la possibilità di fruire del beneficio oltre il termine del 30 giugno 1994, previsto dall'art. 19 della legge n. 451 del 1994, trova la sua fonte esclusiva nei d.m. 27 dicembre 1997 e 5 agosto 1998. Ne consegue che, a seguito dell'annullamento di detti decreti da parte del giudice amministrativo, deve ritenersi venuto meno il diritto all'attribuzione degli sgravi, in quanto l'annullamento giudiziale - non limitato alla sola parte relativa al termine di fruizione degli sgravi, ma relativo all'intero contenuto dei decreti - ha comportato la caducazione della disposizione di vantaggio in essi contenuta. Non si può certo sostenere che l'annullamento dei decreti ministeriali ad opera del giudice amministrativo abbia comportato la caducazione solo della parte del decreto medesimo che limitava nel tempo il beneficio pregiudicando le aziende dell'Abruzzo rispetto a quelle collocate in altri territori meridionali, giacché l'annullamento investiva il decreto nella sua interezza e non valeva certo, in senso positivo, ad ampliare nel tempo la disposizione di vantaggio, ciò esulando dalla pronunzia giudiziale.

2.3 Del resto ciò è stato affermato dal Consiglio di Stato proprio con la sentenza n. 1530 del 10 novembre 1998, di annullamento del D.M. 24 dicembre 1997: "Rientra nella competenza territoriale del TA.R. Lazio con sede in Roma la controversia avente ad oggetto l'annullamento del D.M 24 dicembre 1997, contenente integrazioni al D. M. 5 agosto 1994 in ordine al nuovo regime degli sgravi degli oneri sociali nel Mezzogiorno, relativamente alle determinazioni concernenti la Regione Abruzzo; ciò in quanto l'eventuale accoglimento del gravame comporta la caducazione in toto dell'impugnato decreto, giacché la misura percentuale e la durata degli sgravi, fissate per ciascuna Regione, vanno considerate nell'ambito dei tetti massimi stabiliti dal D.L. 16 maggio 1994, n, 299, art. 19, convertito dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, con la conseguenza che ogni variazione in aumento del trattamento riservato alla Regione Abruzzo non può non riflettersi, in senso peggiorativo, su quello riconosciuto alle altre Regioni considerate nel suddetto decreto ministeriale".

2.4 La tesi sostenuta dalla ricorrente — secondo cui l'annullamento parziale dei decreti avrebbe rimosso i limiti originari relativi alle imprese abruzzesi - contrasta con la ricostruzione adottata dal Consiglio di Stato con sentenza 66/2006 allorché ha pure affermato che " Resta, evidentemente, inteso che all'annullamento del decreto ministeriale in data 24 settembre 1997 non consegue automaticamente l'inserimento dell'Abruzzo nell'elenco delle Regioni destinatarie del beneficio, ma solo l'obbligo delle autorità competenti di verificare la sussistenza dei presupposti per la concessione alla predetta Regione dell'aiuto di cui all'art. 92, paragrafo 3, lett. a) del Trattato CE".

2.5 Correttamente il giudice d'appello ha affermato che la legge n.176 del 1998, nel riconoscere un sistema agevolato di recupero dei contribuiti non corrisposti, per il periodo dal 1.12.1994 al 30 .11.1996 ha confermato l'esclusione del preteso diritto agli sgravi. Il recupero, inoltre, non può essere impedito per effetto dall'annullamento dei più volte citati d.m. (ritenuto dalla ricorrente presupposto applicativo del recupero regolato dalla legge). Al contrario, come più volte affermato, il disposto annullamento non ha determinato né la nascita né l'espansione di un diritto allo sgravio per le imprese destinatarie della normativa che sono rimaste pertanto obbligate — nonostante l'annullamento — ed in mancanza di esplicito riconoscimento, al pagamento dei medesimi contributi (dovuti, non certo in base a questa normativa, ma, in base ai generali obblighi contributivi stabiliti dall'ordinamento).

2.6 Infine la stessa mancanza di un diritto allo sgravio attuale, azionabile - ed opponibile da parte della ricorrente all'INPS - risulta pure nell'ordinamento in base all'art.1 comma 754 della legge n. 296/2006 (c.d. L. Finanziaria del 2007) il quale prevede che "le modalità di regolazione del debito e credito relativi agli sgravi" di cui ai citati decreti, sarebbero stati regolati da un ulteriore decreto ministeriale. Appare altresì corretta la tesi espressa nella sentenza gravata laddove sostiene che la rispondenza degli sgravi per le imprese abruzzesi alla normativa comunitaria (in particolare al reg. CEE n. 2081/93 art. 8 laddove ha previsto che nella regione Abruzzo sono ammissibili gli aiuti a titolo di obbiettivo n. 1 per il periodo che va dal 1 gennaio 1994 al 31 dicembre 1996") non comporta un obbligo del legislatore di disporre gli sgravi; né tanto meno la previsione appena citata può comportare un diritto pieno già insorto da azionare in giudizio, in mancanza di un riconoscimento interno.

3. Con il quarto motivo di ricorso L.L. s.r.l. denuncia violazione dell'art. 1362 c.c. unitamente ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'efficacia interruttiva della prescrizione nonché violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2944 c.c. e dell'art. 3 comma nono della legge n. 335/1995 in relazione all'art. 360 nn.3 e 5 cod. proc. civ. Tali plurime ragioni di doglianza sostengono l'unica questione relativa all'affermata erroneità della sentenza impugnata in punto di efficacia interruttiva riconosciuta alla richiesta di rateizzazione ricevuta dall'INPS 7.1.1999 ed al successivo pagamento periodico di rate sull'intero dovuto sino al giugno del 2006, cui era conseguita la negazione della prescrizione della pretesa contributiva oggetto della cartella esattoriale opposta.

3.1. Anche questo motivo è infondato in applicazione del principio espresso da questa Corte di legittimità (Cass. 24555/2010) secondo cui il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all'intento pratico di riconoscere il credito, e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore. Peraltro, l'indagine diretta a stabilire se una dichiarazione costituisca riconoscimento, ai sensi dell'articolo 2944 cod. civ., rientra nei poteri del giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ.).

3.2. Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata e priva di vizi logici, ha rinvenuto il comportamento oggettivamente incompatibile con la volontà di non riconoscere la pretesa dell'INPS non solo nella domanda di rateizzazione ma anche nei singoli pagamenti trimestrali posti in essere dalla società sino al mese di giugno 2006 in adesione alle previsioni della legge n. 176/1998 art. 1 comma 2 ter che, lungi dal realizzare un condono, ha solo previsto modalità agevolate di estinzione dell'intero debito. Dunque la Corte d'appello ha espressamente motivato in ordine alla natura di riconoscimento del debito dei singoli pagamenti connettendo a ciascuno di essi il valore di atto interruttivo del termine quinquennale di prescrizione. Nel mese di marzo 2010, poi, fu notificata la cartella opposta, dunque, nessuna prescrizione si è determinata. E' stato valorizzato, come dirimente - nella sostanza - l'accertamento del fatto che, a seguito della richiesta della debitrice - anche se contenente la formula di salvezza dei diritti connessi agli esiti degli accertamenti giudiziali in corso - le parti avevano convenuto una rateizzazione del debito, per cui la prescrizione del diritto alle relative rate non avrebbe potuto decorrere prima della scadenza di ciascuna di esse, non essendo in precedenza esigibile il relativo credito a seguito dell'accordo di rateizzazione. Questa Corte di cassazione, fermo restando il limite al proprio sindacato sulle valutazioni di merito operate dalla sentenza impugnata in ordine all'interpretazione della condotta delle parti, ha ritenuto corretta tale ricostruzione giuridica fondata sull'interpretazione dell'art. 2935 cod. civ. (cfr. Cass. 29 settembre 2008 n. 24280; 17518/2010).

4. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.