Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 aprile 2017, n. 10332

Dirigente medico - Attività extra moenia - Retribuzione di risultato - Pagamento del lavoro straordinario

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Brescia ha confermato con diversa motivazione la sentenza del Tribunale di Bergamo con la quale la Azienda Ospedaliera B. di Seriate era stata condannata al pagamento in favore del dirigente medico D.V. di 557 ore di lavoro straordinario.

2. La Corte territoriale, per quel che qui rileva, ha respinto l'appello principale del V., volto ad ottenere il pagamento anche dello straordinario prestato nel periodo antecedente al 23 novembre 2001, perché nelle conclusioni del ricorso di primo grado la domanda era stata limitata all'arco temporale novembre 2001/15 maggio 2003.

3. Ha, poi, ritenuto infondato l'appello incidentale della Azienda perché l'art. 65, comma 3, del CCNL per l'area della dirigenza medica e veterinaria relativo alla quadriennio 1994-1997, pur non essendo affetto dalla nullità dichiarata dal primo giudice, non poteva paralizzare la pretesa del ricorrente il quale, in quanto autorizzato a svolgere attività extra moenia, non aveva percepito la retribuzione di risultato. La Corte territoriale ha aggiunto che la Azienda, per sottrarsi all'obbligo di pagamento del lavoro straordinario non poteva fare leva sul fatto che le prestazioni non fossero necessarie, poiché in tal caso avrebbe dovuto diffidare espressamente il proprio personale medico, non potendo pretendere, in difetto di detta previa diffida, di sottrarsi all'obbligo del pagamento di prestazioni rese in suo favore.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Azienda Ospedaliera B. di Seriate sulla parte di due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. D.V. è rimasto intimato.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. Con il primo motivo l'Azienda Ospedaliera denuncia «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 65, comma terzo, del C.C.N.L. dell'area della Dirigenza Medica e Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale sottoscritto 5 dicembre 1996, 72, comma 5, della legge 23 dicembre 1998 n. 448, 15, comma sesto, e 47, comma quarto del C.C.N.L. quadriennio 1998-2001 dell'area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale sottoscritto l'8 giugno 2000; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione». Sostiene in sintesi la ricorrente che il C.C.N.L. richiamato in rubrica ha escluso il diritto del dirigente medico al pagamento del lavoro straordinario, prevedendo un trattamento globale onnicomprensivo e stabilendo che l'eventuale superamento dell'orario di lavoro è comunque compensato dalla retribuzione di risultato. Aggiunge che erroneamente la Corte territoriale ha attribuito rilievo alla circostanza della mancata corresponsione al V. di detta retribuzione, poiché a quest'ultima lo stesso aveva liberamente rinunciato, optando per il regime di non esclusività.

1.2. La seconda censura è formulata per «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 97 della Costituzione, 2697 c.c., 115 c.p.c., 17 e 65, comma terzo, del C.C.N.L. dell'area della Dirigenza Medica e Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale sottoscritto il 5 dicembre 1996; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione». Rileva la ricorrente che la prestazione di lavoro straordinario non era stata autorizzata dalla Azienda e non era neppure necessaria in quanto l'organico della Unità di Chirurgia Generale dell'ospedale di Lovere era stato sempre coerente con i criteri di accreditamento regionale e l'indice di occupazione dei posti letto era stato così basso da determinare l'accorpamento nell'anno 2001 con l'unità di Urologia e successivamente con quella di Ortopedia e Traumatologia. Aveva, quindi, errato la Corte territoriale nell'affermare la irrilevanza delle circostanze dedotte dall'appellante e nel sostenere che quest'ultima, qualora avesse voluto impedire la prestazione di lavoro straordinario, avrebbe dovuto diffidare il personale medico dall'effettuarlo.

2. Il ricorso è fondato.

Occorre premettere che il legislatore, nel modificare con il d.lgs n. 80 del 31 marzo 1998 l'art. 68 del d.lgs 3.2.1993 n. 29, ha inteso attribuire a questa Corte una funzione nomofilattica nella interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale nel settore dell'impiego pubblico contrattualizzato, tendenzialmente modellata ad immagine del sindacato sulle norme di legge, giustificata dalla necessità di assicurare la esegesi uniforme di disposizioni che, pur avendo natura negoziale, per effetto delle disposizioni contenute nel d.lgs 165 del 2001, sono destinate a realizzare la regolamentazione omogenea dei rapporti di lavoro con la P.A. e costituiscono un vincolo per il datore di lavoro pubblico, al quale è fatto divieto anche di attribuire ai propri dipendenti trattamenti di miglior favore in materie che siano riservate alla contrattazione nazionale.

La funzione che l'interpretazione diretta realizza e la particolare natura dei contratti collettivi del settore pubblico sono state valorizzate dalle Sezioni Unite di questa Corte per affermare da un lato la inapplicabilità dell'art. 369 n. 4 cod. proc. civ. dall'altro la autonomia interpretativa del giudice di legittimità, che non può essere vincolato dalle prospettazioni delle parti né dall'opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, ma ha, al contrario, il potere/dovere di ricercare anche in altre disposizioni contrattuali elementi utili per verificare la correttezza della interpretazione accolta nella sentenza impugnata (in tal senso in motivazione Cass. S.U. 4.11.2009 n. 23329, che richiama Cass. S.U. ord. 21568/2009, e Cass. S.U. 23.9.2010 n. 20075).

Detto principio rileva nella fattispecie perché la questione controversa, che la Corte territoriale ha risolto facendo principalmente leva sulla non spettanza della retribuzione di risultato al dirigente medico con rapporto di lavoro non esclusivo, va risolta esaminando il complesso delle disposizioni contrattuali che regolano l'orario di lavoro e il trattamento economico accessorio spettante ai dirigenti medici.

3. Il CCNL 5/12/1996 per l'area della dirigenza medica e veterinaria del comparto sanità disciplina all'art. 17 l'orario di lavoro e, dopo aver previsto al comma 1 che «nell'ambito dell'assetto organizzativo dell'azienda o ente, i dirigenti medici di I e II livello assicurano la propria presenza in servizio ed organizzano il proprio tempo di lavoro, articolando, con le procedure individuate dagli artt. 6 e 7, in modo flessibile l'orario di lavoro per correlarlo alle esigenze della struttura cui sono preposti ed all'espletamento dell'incarico affidato, in relazione agli obiettivi e programmi da realizzare», al secondo comma aggiunge che «l'orario di lavoro dei dirigenti di cui al comma 1 è confermato in 38 ore settimanali, al fine di assicurare il mantenimento del livello di efficienza raggiunto dai servizi sanitari e per favorire lo svolgimento delle attività gestionali correlate all'incarico affidato nonché quelle di didattica, ricerca ed aggiornamento».

3.1. Detta disposizione contrattuale è stata poi in parte trasfusa nell'art. 16 del CCNL 8.6.2000 che, ribadito il principio della flessibilità dell'impegno di servizio e della necessaria correlazione con le esigenze proprie della struttura, ha precisato, al comma 1, che «l'impegno di servizio necessario per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali eccedenti l'orario dovuto di cui al comma 2 è negoziato con le procedure e per gli effetti dell'art. 65, comma 6» del CCNL 5.12.1996. La disciplina contrattuale, inoltre, prevede espressamente, al comma 7, che «i dirigenti con rapporto di lavoro non esclusivo già di I o II livello dirigenziale sono tenuti al rispetto dei commi 1 e 2 del presente articolo».

4. Gli articoli sopra richiamati nulla dicono sulle conseguenze dell'eventuale superamento dell'orario imposto ai dirigenti, sicché gli stessi devono essere interpretati alla luce delle altre clausole del contratto che, nel disciplinare il trattamento accessorio, richiamano espressamente l'impegno orario.

Rileva, in particolare, l'art. 65, avente ad oggetto la disciplina della retribuzione di risultato, sostitutiva dell'istituto della incentivazione previsto dagli artt. 123 e seguenti del d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384. La norma contrattuale, al comma 3, prevede che «La retribuzione di risultato compensa anche l'eventuale superamento dell'orario di lavoro di cui agli artt. 17 e 18 per il raggiungimento dell'obiettivo assegnato».

Le parti collettive, inoltre, nel disciplinare il «trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro», hanno previsto, all'art. 62, la costituzione di un fondo «finalizzato alla remunerazione di compiti che comportano oneri, rischi o disagi particolarmente rilevanti, collegati alla natura dei servizi che richiedono interventi di urgenza o per fronteggiare particolari situazioni di lavoro» (comma 2) e al comma 3 hanno stabilito che «per quanto attiene i compensi per lavoro straordinario e le indennità per servizio notturno e festivo si applicano le disposizioni di cui agli artt. 80 e 115 del D.P.R. 384/1990».

A sua volta l'art. 80 richiamato nel CCNL, dopo avere enunciato il principio secondo cui «il lavoro straordinario non può essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro» aggiunge, al secondo comma, che «le prestazioni di lavoro straordinario hanno carattere eccezionale, devono rispondere ad effettive esigenze di servizio e debbono essere preventivamente autorizzate».

5. Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate ad interpretare l'art. 65 del c.n.n.I. 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria, hanno evidenziato che la disposizione «nel prevedere la corresponsione di una retribuzione di risultato compensativa anche dell'eventuale superamento dell'orario lavorativo per il raggiungimento dell'obiettivo assegnato, esclude in generale il diritto del dirigente, incaricato della direzione di struttura, ad essere compensato per lavoro straordinario, senza che, dunque, sia possibile la distinzione tra il superamento dell'orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri ed immancabili dell’incarico affidatogli» (Cass. S.U. 17/4/2009 n. 9146).

Il principio è stato poi ribadito in successive pronunce con le quali si è precisato che lo stesso si applica anche al personale dirigente in posizione non apicale «rispondendo ad esigenze comuni all'intera dirigenza e ad una lettura sistematica delle norme contrattuali, che, ove hanno inteso riconoscere (come per l'attività connessa alle guardie mediche) una compensazione delle ore straordinarie per i medici-dirigenti, lo hanno specificamente previsto. Ne consegue che non è possibile distinguere tra il superamento dell'orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario» (Cass. 4/6/2012 n. 8958 e Cass. 16/10/2015 n. 21010).

6. Il principio affermato, che va qui ribadito, tiene conto, oltre che delle peculiarità proprie del lavoro dirigenziale, della diversità fra il sistema di incentivazione basato sul criterio del plus orario e quello legato al conseguimento degli obiettivi.

Dallo stesso, peraltro, non deriva, quale conseguenza automatica, che il lavoro eccedente l'orario normale debba essere sempre e comunque compensato qualora il dirigente, in quanto non tenuto all'obbligo di esclusività, non percepisca la retribuzione di risultato.

Interpretando, infatti, le clausole contrattuali sopra richiamate le une per mezzo delle altre si perviene alla conclusione che le parti collettive, anche al fine di armonizzare la disciplina della dirigenza medica con i principi che regolano nel settore pubblico il rapporto dirigenziale, fra i quali assume particolare rilievo quello della onnicomprensività del trattamento economico, hanno reso del tutto residuale la possibilità del compenso del lavoro straordinario, limitata alle sole ipotesi in cui il superamento sia reso necessario da fattori eccezionali e, comunque, condizionata alla previa autorizzazione dell'ente datore.

7. Quanto a quest'ultimo aspetto va evidenziato che nell'ambito dell'impiego pubblico contrattualizzato rilevano tuttora quei principi che avevano indotto la giurisprudenza amministrativa ad escludere che le prestazioni esulanti dal normale orario di lavoro potessero essere compensate in assenza di autorizzazione. Attraverso la autorizzazione, infatti, la P.A., nel rispetto dei principi costituzionali dettati dall'art. 97 Cost., persegue gli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa di cui all'art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs n. 165 del 2001, perché la autorizzazione medesima implica innanzitutto la valutazione sulla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che rendono necessario il ricorso a prestazioni straordinarie e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio, compatibilità dalla quale non si può prescindere anche in tema di costo del personale, come reso evidente dalle previsioni dettate dagli artt. 40 e seguenti del d.lgs. n. 165 del 2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo.

8. L'art. 62 del CCNL 5.12.1996, non modificato sul punto dai successivi contratti, attraverso il richiamo all'art. 80 del d.P.R. n. 384 del 1990, pone come condizione imprescindibile per la compensabilità del lavoro straordinario la previa autorizzazione da parte dell'azienda ed anche il primo comma dell'art. 16 del CCNL 8.6.2000, applicabile ai dirigenti medici con rapporto non esclusivo ai sensi del comma 7 dello stesso articolo, stabilisce che, ove l'obiettivo prestazionale richieda un impegno di servizio eccedente l'orario stabilito dal comma 2, lo stesso debba essere espressamente negoziato.

9. La Corte territoriale ha, quindi, errato nel ritenere che il lavoro straordinario dovesse essere comunque compensato, pur essendo pacifica la mancanza della necessaria autorizzazione e delle procedure di negoziazione sopra richiamate. La sentenza impugnata, pertanto, va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la domanda di D.V. deve essere rigettata nel merito ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ.

10. Il ricorso di primo grado è stato proposto in data antecedente alle pronunce di questa Corte che hanno interpretato le disposizioni contrattuali qui rilevanti e ciò giustifica l'integrale compensazione fra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito. Vanno, invece, poste a carico del V. le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda di pagamento del lavoro straordinario.

Compensa integralmente fra le parti entrambi i gradi del giudizio di merito e condanna D.V. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.