Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 aprile 2017, n. 9747

Imposte dirette - IRPEF - Accertamento - Contenzioso tributario - Procedimento - Ricorso per cassazione

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 20 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto da S.M. avverso la sentenza n. 431/2/14 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo che ne aveva respinto il ricorso contro gli avvisi di accertamento IRPEF ed altro 2007-2008. La CTR osservava in particolare che la sentenza appellata non meritava le censure mossegli e specificamente argomentava circa la correttezza sostanziale del metodo accertativo utilizzato (ex art. 38, d.P.R. 600/1973), dunque la fondatezza della pretesa erariale.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo tre motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare al contradditorio orale.

Il ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. - il ricorrente lamenta vizio motivazionale, poiché la CTR non ha esaminato la sua eccezione di carenza di motivazione degli atti impositivi impugnati.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Trattandosi di "doppia conforme" sulla questione di fatto de qua ossia quella dell’adeguatezza della motivazione degli avvisi di accertamento impugnati il mezzo non è infatti proponibile.

In ogni caso la sentenza impugnata affronta specificamente e nella sostanza la questione della motivazione degli atti impositivi in oggetto, con riguardo sia agli indici di spesa sia agli incrementi patrimoniali, così giudicando espressamente e specificamente su tale punto controverso. Con il secondo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. - il ricorrente si duole di vizio motivazionale in ordine alla sua eccezione di invalidità degli atti impositivi impugnati per violazione del principio del contraddittorio.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Con motivazione sicuramente corrispondente al "minimo costituzionale" (cfr. Sez. U 8053/2014), la CTR infatti ha recepito e ribadito le valutazioni della CTP implicitamente anche sul punto decisionale de quo.

Trattandosi quindi anche su tale questione di fatto di una "doppia conforme" il mezzo non è proponibile.

Peraltro va soggiunto sia che, come in fatto da atto lo stesso contribuente, nel caso di specie il contraddittorio è stato formalmente attivato con l’invito a comparire e quindi con un incontro tra le parti, sia che comunque la sua omissione non avrebbe inficiato la validità degli atti impositivi impugnati.

Va infatti sotto tale secondo profilo ribadito che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi "armonizzati" di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentalc, pena l'invalidità dell'atto, mentre, per quelli "non armonizzati", non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l'accertamento sintetico in virtù dell'art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall'art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d'imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l'instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016, Rv. 639865 - 01).

Con il terzo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - il ricorrente denuncia violazione/falsa applicazione degli artt. 38, comma 4, d.P.R. 600/1973 applicabile ratione temporis, 115, cod. proc. civ., poiché la CTR non ha adeguatamente valorizzato le proprie allegazioni contro probatorie rispetto agli indici di capacità reddituale desunti dal redditometro.

La censura è infondata.

Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, il giudice di appello ha infatti puntualmente riscontrato le doglianze del S., con specifiche argomentazioni in fatto - che ovviamente non sono sindacabili in questa sede - sia con riguardo alle prove dallo stesso offerte sia con riguardo alla "biannualità" dello scostamento contestato.

In particolare ha preso in considerazione le allegazioni difensive riguardanti i prestiti di un congiunto (zio) ed i risparmi personali, adeguatamente giustificando l’affermazione della non concludenza delle prove correlative, quindi, sul punto, come detto, esprimendo una valutazione meritale non ulteriormente sindacabile in questa sede.

Va infatti ribadito che «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura e possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015) e che «Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l'apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell'ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

Il ricorso va dunque rigettato.

Nulla per le spese stante la mancata difesa dell’Agenzia fiscale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.