Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 dicembre 2017, n. 28979

Licenziamento per raggiungimento dei requisiti utili per la pensione di anzianità - Illegittimità - Reintegra nel posto di lavoro - Insussistenza del requisito dimensionale - Onere della prova a carico del datore di lavoro - Libro matricola prodotto in appello - Questione di fatto - Sostanziale richiesta di una diversa ricostruzione della vicenda storica - Ricorso inammissibile in sede di legittimità

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza pubblicata in data 11 dicembre 2014, ha respinto l'impugnazione proposta dalla Q.C. Srl avverso la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato il 31 luglio 2006 a L.F. per asserito raggiungimento dei requisiti utili per la pensione di anzianità, con reintegra nel posto di lavoro e pronunce patrimoniali conseguenziali.

Rispetto al primo motivo di appello, con cui la società eccepiva la nullità della notificazione del ricorso introduttivo perché effettuata presso una sede della società non corrispondente né alla sede legale né alla sede effettiva, la Corte territoriale ha ritenuto che correttamente il primo giudice avesse disatteso l'eccezione "posto che la notificazione era stata efficacemente eseguita presso la sede legale e sull'assorbente rilievo che la costituzione in giudizio aveva sanato ogni eventuale vizio di notifica".

Quanto al merito, accertato che il F. all'epoca del licenziamento non aveva ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, in punto di tutela applicabile la Corte napoletana ha considerato la "correttezza dell'iter motivazionale seguito dal primo giudice secondo il quale sul datore di lavoro incombe la prova del requisito dimensionale e lo stesso non aveva offerto prova tranquillizzante dell'insussistenza del predetto requisito non depositando alcuna documentazione (idonea, vi è da aggiungere) ovvero articolando alcuna prova".

Circa l'ammontare del risarcimento la Corte territoriale ha affermato che da esso non poteva essere detratto l'importo di quanto eventualmente percepito dal licenziato a titolo di pensione.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con cinque motivi. Ha resistito L. F. con controricorso.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 18 della I. n. 300 del 1970 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del requisito dimensionale, nonostante nell'atto introduttivo il lavoratore non avesse fatto riferimento ad esso e, comunque, avverso una memoria difensiva in cui la società affermava che l'istante aveva lavorato in una unità locale con meno di 15 dipendenti, controparte non aveva mai contestato tale circostanza; si aggiunge che l'insussistenza del requisito dimensionale emergeva dal libro matricola prodotto in grado di appello. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 18 I. n. 300/70 e degli artt. 421, 437 c.p.c. e 2727 c.c. assumendo che la Corte di Appello, avvalendosi dei poteri officiosi, avrebbe dovuto ammettere la produzione del libro matricola come richiesta dalla società, onde superare la situazione di incertezza su di un fatto determinante e decisivo ai fini dell'entità del risarcimento del danno.

Tali motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non possono trovare accoglimento in quanto, attenendo alla prova della sussistenza o meno del requisito dimensionale, investono pienamente una quaestio facti, travalicando i limiti - nonostante l'invocazione solo formale della violazione e falsa applicazione di legge - imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), nella sostanza richiedendo una diversa ricostruzione della vicenda storica, anche mediante il riesame del libro matricola, inammissibile in questa sede di mera legittimità.

2. Con il terzo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 145 c.p.c. e 46 c.c. posto che la notifica del ricorso introduttivo, "come comprovato documentalmente mediante apposita visura camerale", non era stata effettuata né presso la sede legale né presso la sede effettiva della società.

Il motivo, così come formulato, è inammissibile per violazione del disposto di cui all'art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., in quanto non riporta nell'illustrazione di esso il contenuto del documento sul quale si fonda, violando un requisito di natura contenutistica (v. Cass. SS. UU. n. 28547 del 2008) che per essere assolto postula non solo che si dettagli in quale sede processuale risulti prodotto il documento (cfr. Cass. SS. UU. n. 7161 del 2010) ma anche che se ne indichi il contenuto (tra le altre v. Cass. n. 6937 del 2010; Cass. sez. VI n. 4220 del 2012), quanto meno nei suoi testuali aspetti di rilevanza (Cass. n. 17168 del 2012).

Circa la trascrizione dei contenuti si è detto in generale che "l'onere di specificazione non concerne solo il cd. contenente, cioè il documento o l'atto processuale come entità materiale, ma anche il cd. contenuto, cioè quanto il documento o l'atto processuale racchiudono in sé e fornisce fondamento al motivo di ricorso. Sotto questo profilo l'onere di indicazione si può adempiere trascrivendo la parte del documento su cui si fonda il motivo o almeno riproducendola indirettamente in modo da consentire alla Corte di cassazione di esaminare il documento o l'atto processuale proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo, sì da scongiurare un inammissibile soggettivismo della Corte nella individuazione di quella parte del documento o dell'atto su cui il ricorrente ha inteso fondare il motivo" (in termini: Cass. n. 22303 del 2008; conformi: Cass. n. 2966 del 2011; Cass. n. 15847 del 2014; Cass. n. 18024 del 2014).

Mancando nel motivo la "specifica indicazione" del contenuto della visura camerale richiamata, in modo tale da verificare quale fosse la sede legale della società e se vi fossero o meno sedi secondarie, il medesimo risulta inammissibile, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il fondamento sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso diretto agli atti del giudizio di merito (tra le tante: Cass. n. 8569 del 2013; Cass. n. 3158 del 2003; Cass. n. 12444 del 2003; Cass. n. 1161 del 1995).

3. Dal mancato accoglimento del terzo motivo deriva il rigetto anche del quarto mezzo di gravame, con cui si deduce violazione a falsa applicazione degli artt. 153, 184 bis, 294 e 101 c.p.c., 3 e 24 Cost., censurando l'assunto della sentenza impugnata secondo il quale la costituzione della società non era avvenuta al solo fine di eccepire la nullità, bensì per espletare una compiuta difesa nel merito, facendo venire meno l'interesse alla richiesta di remissione in termini, interesse che, peraltro, sarebbe stato enunciato solo genericamente, senza evidenziare il pregiudizio concreto che la società avrebbe subito dal punto di vista istruttorio.

Invero, una volta che il capo della decisione impugnata, con cui la Corte territoriale ha ritenuto che "la notificazione era stata efficacemente eseguita presso la sede legale" della società, ha resistito all'impugnazione in sede di legittimità, tale statuizione è sufficiente a decretare la rituale instaurazione del contraddittorio in primo grado, rendendo ultronea ogni verifica sull'altra ratio decidendi espressa dalla Corte napoletana circa la costituzione in giudizio della convenuta che avrebbe "sanato ogni eventuale vizio di notifica".

4. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1227 c.c. per non avere la Corte di Appello considerato l'inerzia del lavoratore nel ricollocare sul mercato la propria attività lavorativa, ai fini della determinazione dell'ammontare del risarcimento.

Poiché la questione non risulta affrontata nella sentenza della Corte territoriale il motivo è inammissibile in quanto, secondo giurisprudenza consolidata, qualora una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004). Oneri in alcun modo rispettati nella specie dalla ricorrente.

5. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto altresì della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.