Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 marzo 2018, n. 7426

Evasione fiscale cd. "a carosello" - Rapporto di lavoro dirigenziale - Licenziamento per giusta causa - Proporzionalità tra infrazione e sanzione -Amministratore delegato di società del gruppo - Provvedimento di revoca - Separazione delle domande proposte

 

Fatti di causa

 

1. Con ricorso al Tribunale di Milano, quale Giudice del lavoro, la C. S.p.A., la T & C.C. N.O. s.r.l. e la T & C.C. H. s.r.l. (già T & C.C. N.E. s.r.l.), società del gruppo C., convenivano in giudizio G.R. - assunto dalla C. S.p.A. il 3 gennaio 2005 con qualifica di dirigente e funzioni di direttore vendite T & C Italia s.r.l., quindi nominato amministratore delegato delle altre due società, poi licenziato dalla C. S.p.A. in data 19 maggio 2009 - per sentire accertare le sue responsabilità per violazione dei doveri di buona fede e correttezza connessi al suo rapporto di lavoro dirigenziale e l'inadempimento delle obbligazioni assunte in qualità di amministratore delegato, nonché per ottenere il risarcimento del danno.

G.R. si costituiva in giudizio per resistere alle domande e proponeva a sua volta domanda riconvenzionale in ordine alla mancanza di giustificatezza del licenziamento, nonché in ordine all'illegittimità della sua revoca quale amministratore delegato. Contestualmente formulava eccezione d'incompetenza funzionale del Giudice del lavoro quanto alle domande relative alle sue responsabilità quale amministratore delegato della T & C.C. N.O. s.r.l. e della T & C.C. H. s.r.l..

Il Tribunale, con ordinanza del 7/16 febbraio 2011, separava le cause e rimetteva dinanzi al Giudice ordinario quelle aventi ad oggetto le responsabilità del R. quale amministratore delegato e quelle introdotte con la domanda riconvenzionale volte a far accertare l'illegittimità dei provvedimenti di revoca da amministratore delegato. Quindi, con sentenza n. 4485/2011 del 10 ottobre 2011 dichiarava l'incompetenza funzionale del Giudice del lavoro in relazione alle domande già oggetto di provvedimento di separazione di cui alla precedente ordinanza; riteneva, poi, il licenziamento non sorretto da giusta causa e condannava la C. Italia S.p.A. al pagamento in favore del R. dell'indennità sostitutiva del preavviso, dell'indennità supplementare nella misura di 21 mensilità e mezzo, delle differenze a titolo di t.f.r. per l'incidenza del preavviso, del risarcimento del danno per la mancata corresponsione del bonus retention in relazione ad un progetto a lungo termine.

Proposto appello da parte della C.I. S.p.A., la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, riteneva il licenziamento sorretto non da giusta causa ma da giustificato motivo soggettivo e, per l'effetto, dichiarava non dovuti l'indennità supplementare ed il risarcimento del danno per la mancata percezione del bonus retention; confermava la decisione di primo grado quanto all'indennità sostitutiva del preavviso. I giudici del gravame così argomentavano: - non era stata specificamente impugnata la statuizione sulla competenza; - era inammissibile in appello la deduzione della sussistenza di un 'distacco’ del R. presso le altre società del gruppo quale titolo da porre a fondamento della valutazione dei fatti a base del licenziamento; - non c'era la prova della riconducibilità al solo R. delle operazioni commerciali con le società del G.P. e quindi della garanzia fideiussoria prestata dalla C. Italia a favore della M. S.p.A. (necessaria affinché quest'ultima concedesse i finanziamenti alle predette società); - egualmente non c'era la prova della riconducibilità al solo R. della decisione di accettare un rischioso piano di rientro cambializzato di ingente importo da parte della O.S. s.r.l. (che avrebbe determinato una esposizione finanziaria della T & C C. N.E. s.r.l. ed un danno per quest'ultima) dovendosi anzi escludere, in relazione a tale operazione, un'autonoma iniziativa del dirigente; - non era stato dimostrato che il R. avesse preso contatti all'inizio di aprile 2009 in occasione della fiera V. di Verona con il sig. A.R. (amministratore delegato della Sparkling & c. s.r.l.) per svolgere un'attività in concorrenza con il Gruppo C.; - era pure da escludersi che il predetto avesse partecipato a società svolgenti attività concorrenziale rispetto alla C. Italia S.p.A. (tale non essendo l'attività della R. D. S.a.s. di R.G. & C. né l'attività della J. S.r.l.); - tuttavia gli elementi emersi in sede di istruttoria e gli accertamenti svolti in sede penale, pur non consentendo la risoluzione in tronco del rapporto di lavoro, costituivano giustificato motivo soggettivo di licenziamento; - a tal fine erano rilevanti la partecipazione del R. alla gestione rivelatasi fallimentare dell'insolvenza del G.P. ed il ruolo svolto dal medesimo quale amministratore delegato delle altre società del gruppo C. (e così, in particolare, il coinvolgimento della capogruppo in una vicenda penale di evasione fiscale c.d. ‘a carosello’ volta a raggirare il meccanismo di funzionamento dell'IVA in cui il R. era imputato); - con riguardo a tale ultimo ruolo evidenziavano che i comportamenti ascrivibili al R. quale amministratore delegato di società controllate al 100% da C.I. S.p.A., anche al di là della sussistenza o meno di un distacco, non potessero non avere riflessi sulla valutazione del datore di lavoro in ordine alla permanenza di un rapporto di carattere dirigenziale.

2. Contro la sentenza d'appello ricorre G.R. con due motivi.

3. Resiste la C.I. S.p.A. con controricorso e propone altresì ricorso incidentale affidato a quattro motivi cui il R. resiste con controricorso.

4. La società ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1.1 Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell'art. 360, nn. 2 e 3, cod. proc. civ., la violazione delle norme sulla competenza, in relazione allo svolgimento di attività di amministratore delegato oltre che di dirigente, per il mancato rispetto da parte dei giudici d'appello del giudicato formatosi sul punto per la mancata impugnazione della sentenza del Tribunale di Milano in merito alla separazione delle domande proposte dalle società attrici (art. 409 cod. proc. civ., 413, co. 1, cod. proc. civ., 40, co. 3, cod. proc. civ. in relazione all'art. 144 ter disp. att. cod. proc. civ. ed all'art. 50 bis, co. 1 n. 5, cod. proc. civ., artt. 31, 32, 34 e 35 cod. proc. civ., artt. 2392 e 2393 cod. civ.). Sostiene che, a fronte di una disposta separazione delle cause per ragioni d'incompetenza funzionale non impugnata dalla C. Italia S.p.A., non avrebbe potuto la Corte territoriale porre a fondamento della propria decisione circostanze relative all'attività del R. quale amministratore delegato delle società T & C C. N.O. s.r.l. e T & C C. N.E. s.r.l. (poi T & C C. H. s.r.l.), facendo così entrare surrettiziamente nel giudizio rimasto dinanzi al giudice del lavoro l'attività del R. quale amministratore delegato che invece doveva formare oggetto del giudizio transitato davanti al Tribunale ordinario.

1.2 Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. n. 300/70, 27 co. 2 Cost., 2697, co. 1, cod. civ., 30 d.lgs. n. 276/2000 e 40, co. 3, cod. proc. civ.. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe preso in considerazione, come validi addebiti al lavoratore, fatti e circostanze non accertati, ancora nella fase delle indagini o dedotti da brogliacci della p.g. di intercettazioni telefoniche non passate al vaglio della magistratura e neppure oggetto di specifica contestazione disciplinare, avrebbe ignorato la presunzione d'innocenza nonché il principio dell'onere della prova a carico del datore di lavoro.

2.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale la società denuncia la violazione dell'art. 2119 cod. civ. e dell'art. 2104 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. civ.. Sostiene che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che il dirigente che consenta il coinvolgimento di società controllate al 100% dalla sua datrice di lavoro in processi penale e accertamenti amministrativi per gravi fatti di frode fiscale, addirittura con l'aggravante di risultare direttamente individuato negli atti penali quale concorrente nel reato, non possa essere licenziato per giusta causa; del pari erroneo era l'aver escluso che una "grave negligenza o incapacità nello svolgimento dell'attività di amministratore delegato", prestata in qualità di dirigente apicale della società capogruppo, potesse configurare una giusta causa di licenziamento.

2.2 Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione dell'art. 2119 cod. civ. e dell'art. 2104 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; assume che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che il dirigente che abbia posto in essere 'operazioni finanziarie molto rischiose' contravvenendo a plurime procedure aziendali concernenti l'esposizione finanziaria della società, anche ove in concorso con altri dipendenti, non possa essere licenziato per giusta causa.

2.3 Con il terzo motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione dell'art. 2104 cod. civ., dell'art. 2105 cod. civ. e dell'art. 2119 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; ad avviso della società la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere non fondati gli addebiti contestati al dirigente (anche) in merito a comportamenti in concorrenza rispetto alla società datrice ed altresì nel ritenere che alcune società riconducibili al R. non svolgessero attività concorrenziale.

2.4 Con il terzo motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione dell'art. 2119 cod. civ., dell'art. 2104 cod. civ. e dell'art. 2015 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; secondo la società la sentenza impugnata avrebbe errato là dove non ha ravvisato la violazione dell'obbligo di fedeltà, di riservatezza e di non concorrenza nella diffusione a soggetti terzi concorrenti di notizie riguardanti gli accordi di stabilità sottoscritti dal dirigente e da altri dipendenti e che avrebbe altresì errato nel non ritenere che tali comportamenti integrassero una giusta causa di licenziamento.

3.1 Ragioni di ordine logico impongono l'esame prioritario del ricorso incidentale.

3.2 I motivi di tale ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione dell'intrinseca connessione, non sono fondati.

Trasversale ai rilievi è la denunciata violazione dell'art. 2119 cod. civ. che però non sussiste.

E' pure vero che è sindacabile, da parte della Corte di cassazione, l'attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito con riferimento ad una norma cd. 'elastica’, che indichi solo parametri generali e che necessiti di attribuzione di concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico-sociale. Tale principio (come ancora recentemente ritenuto da Cass. 15 aprile 2016, n. 7568, cui adde: Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095) trova applicazione in tema di giusta causa di licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare, nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla oggettività da regolare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la disposizione di cui all'art. 2119 cod. civ. tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica, ma contenga invece una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (v. Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

L'accertamento della concreta ricorrenza, nel singolo rapporto, degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, ovvero a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e sanzione, si pone, invece, sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

Nel caso in esame, le censure, in tutti i motivi in cui sono articolate, senza che siano adeguatamente isolati e specificati gli standards conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale asseritamente violati, consistono piuttosto in contestazioni meramente contrappositive, che sollecitano una rivisitazione critica della ricognizione e della valutazione probatoria, di competenza esclusiva del giudice di merito, cui esso ha provveduto con argomentata ed esauriente motivazione, esente da vizi logici e giuridici (cfr. le ragioni illustrate, ai fini della conclusiva ritenuta non ricorrenza, nella specie, del predetto parametro astratto, ai punti da 3 a 6 della sentenza ed alla selezione delle circostanze di fatto insuscettibili di integrare la giusta causa di licenziamento; v. infra, per il carattere assorbente, l'esame del secondo motivo del ricorso principale con riguardo a quanto evidenziato in sentenza al punto 7).

Com'è noto, l'accertamento del fatto ed il giudizio sulla prova integrano esercizio di un potere insindacabile dal giudice di legittimità, solo al quale appartiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (v. Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

E' sempre al giudice di merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge e così anche il compito di valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr., ex multis, Cass. 26 luglio 2010, n. 17514).

Così, nell'ipotesi in questione, non serve prospettare una diversa lettura dei fatti considerati dal giudice di secondo grado e ritenuti (per ragioni afferenti all'insussistenza della prova ovvero per la non esclusiva riconducibilità al R. della relativa responsabilità; v. infra, sempre per il carattere assorbente, l'esame del secondo motivo del ricorso principale con riguardo alla ‘grave negligenza o incapacità nello svolgimento dell'attività di amministratore delegato’, prestata dal R. in qualità di dirigente apicale della società capogruppo) non integranti una giusta causa di licenziamento.

4.1 Il primo motivo di ricorso principale supera innanzitutto il vaglio di ammissibilità (degli atti richiamati nel motivo è riprodotto il contenuto nella parte di interesse e gli stessi sono stati allegati al ricorso per cassazione).

Lo stesso è però infondato.

Ben poteva la Corte territoriale porre a fondamento della propria decisione circostanze di fatto relative all'attività del R. quale amministratore delegato delle società T & C C. N.O. s.r.l. e T & C C. N.E. s.r.l. (poi T & C C. H. s.r.l.), sebbene oggetto del giudizio transitato davanti al Tribunale ordinario.

Il motivo confonde la cognizione in via principale di tali fatti - rimessa al giudice civile - con la loro mera cognizione incidentale svolta al solo fine di contribuire ad accertare la sussistenza o meno d'un giustificato motivo soggettivo di recesso (accertamento proprio del giudice del lavoro).

Invero, diverso essendo il diritto dedotto in lite (in un giudizio il risarcimento dei danni per l'attività svolta dal R. quale amministratore delegato della T & C C. N.O. s.r.l. e della T & C C. H. s.r.l., nell'altro l'accertamento d'una giusta causa o d'un giustificato motivo di licenziamento), diversa è anche la portata dei relativi giudicati, tali da non correre il rischio di collisioni.

Infatti, in tanto può ipotizzarsi un contrasto fra giudicati in quanto uno dei due contenga statuizioni tali da sminuire o smentire la portata dell'altro e non è questo il caso, perché una cosa è l'eventuale diniego od accoglimento della domanda risarcitoria per i danni in ipotesi provocati nell'espletare attività di amministratore delegato, altro è - invece - aver tenuto condotte qualificabili come idonee ad integrare un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Né si obietti la regola per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, poiché essa non amplia i limiti oggettivi del giudicato, ma sta semplicemente a significare che il risultato d'un primo processo conclusosi con sentenza passata in giudicato non potrà essere rimesso in discussione (nel senso di essere sminuito o disconosciuto) deducendo in un secondo giudizio questioni - di diritto o di fatto, rilevabili d'ufficio o solo su eccezione di parte, di rito o di merito - rilevanti ai fini dell'oggetto del primo giudicato e che sono state proposte (dedotto) o che si sarebbero potute proporre (deducibile) nel corso del primo giudizio.

In altre parole, la regola per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile serve esclusivamente a rendere intangibile l'attribuzione del bene della vita (o il suo diniego) contenuta nella sentenza passata in cosa giudicata, non già a vincolare la cognizione giurisdizionale in altra controversia avente differente oggetto (cfr., in motivazione, Cass. 16 novembre 2017, n. 27208).

4.2 Il secondo motivo è fondato nei termini di seguito illustrati.

Il licenziamento è stato ritenuto sorretto da giustificato motivo soggettivo sulla base di due ragioni (v. punto 7 della sentenza): - la partecipazione del R., anche quando non era più amministratore delegato della T & C N.O., alla gestione rivelatasi fallimentare dell'insolvenza del G.P. (che, come cliente della C.I. S.p.A. era stato introdotto proprio dal R. ed aveva con lo stesso un rapporto privilegiato); - il ruolo svolto dal R. quale amministratore delegato delle altre società del gruppo C., al di là della sussistenza o meno di un distacco (e così, in particolare, il coinvolgimento della capogruppo in una vicenda penale di evasione fiscale c.d. 'a carosello’ volta a raggirare il meccanismo di funzionamento dell'IVA in cui il R. era imputato).

Quanto al primo addebito, i rilievi del ricorrente principale attengono ad una diversa valutazione del fatto e, quindi, sono inaccoglibili in sede di legittimità.

Quanto al ruolo del R. nella vicenda penale della frode 'a carosello’, effettivamente si trattava di circostanze, emerse sì dall'istruttoria ritualmente svolta (e rispetto alle quali il giudice civile aveva il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi in modo del tutto autonomo e svincolato dallo stato e dall'esito del procedimento penale), ma non oggetto di contestazione (si veda il contenuto delle contestazioni disciplinari del 30 aprile 2009 e 13 maggio 2009 richiamate in sede di ricorso e ritualmente prodotte in uno con lo stesso - all. 19 e 21 -). Peraltro si rileva dalla stessa sentenza impugnata che si trattava di fatti emersi e/o accertati successivamente alle lettere di contestazione.

Il giudice d'appello non ha fatto riferimento alla suddetta vicenda della frode ‘a carosello’ solo ad colorandum di un comportamento incidente sul vincolo fiduciario già altrimenti dimostrato, ma per fondare il proprio giudizio di giustificatezza del licenziamento.

Ed allora va richiamato il principio già affermato da questa Corte secondo il quale, in materia di rapporto di lavoro dirigenziale, ferma l'insussistenza di una piena coincidenza tra le ragioni di licenziamento di un dirigente e di un licenziamento disciplinare, per la peculiare posizione del predetto e il relativo vincolo fiduciario, le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, co. 2 e 3, della legge 20 maggio 1970, n. 300, in quanto espressione di un principio di generale garanzia fondamentale, trovano applicazione anche nell'ipotesi del licenziamento di un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa, qualora il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato, ovvero se, a base del recesso, siano poste condotte comunque suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti, sicché la loro violazione preclude le possibilità di valutare le condotte causative del recesso (Cass. 30 luglio 2013, n. 18270; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2553).

5. Conclusivamente va accolto il secondo motivo del ricorso principale e rigettati il primo ed il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'appello di Milano che, in diversa composizione, deciderà la causa facendo applicazione del principio da ultimo richiamato e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

6. Va dato atto, quanto alla posizione della ricorrente incidentale, dell'applicabilità dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis, dello stesso articolo 13.