Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 settembre 2017, n. 23430

Diritto all’assunzione - Retribuzioni dovute - Aliunde perceptum - Proposizione di formale eccezione - Non necessaria - Poteri di ufficio del giudice

Rilevato

che con sentenza in data 2 ottobre 2012 la Corte d'appello di Palermo accoglie l'appello di G.D.P. avverso la sentenza n. 226/2010 del Tribunale di Sciacca e, in riforma di tale sentenza, dichiara il diritto del D.P. ad essere assunto dall'ASP di Agrigento, come dirigente medico presso l'UO di Medicina e Chirurgia d'Accettazione e d'Urgenza e, per l'effetto condanna l'Azienda: 1) ad adottare ogni consequenziale provvedimento; 2) al pagamento in favore del D.P. delle retribuzioni dovute, a partire dal 3 agosto 2006 (primo atto di costituzione in mora) fino all'effettiva assunzione, oltre agli interessi legali fino al soddisfo;

che avverso tale sentenza l'ASP di Agrigento propone ricorso, illustrato da memoria, affidato a tre, al quale oppone difese G.D.P. con controricorso, illustrato da memoria;

 

Considerato

 

che, il ricorso è articolato in tre mortivi, con i quali l'ASP di Agrigento denuncia, da diversi punti di vista, la mancata considerazione, da parte della Corte d'appello, della propria eccezione relativa all'aliunde perceptum, basata sulla  circostanza - pacifica e risultante, oltre che dai propri atti difensivi, sia dalla disposta CTU sia dal ricorso in appello del D.P. (p. 16) - dello svolgimento da parte dell'attuale controricorrente di attività lavorativa, come dirigente medico, nel periodo preso in considerazione dalla sentenza;

che, in particolare, la ricorrente:

1) con il primo motivo prospetta la suddetta censura come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) per non avere la Corte territoriale tenuto conto dell'aliunde perceptum nella parte finale della sentenza in cui ha determinato l'entità del risarcimento del danno patrimoniale dovuto al D.P.;

2) con il secondo motivo denuncia nullità della sentenza e omessa pronuncia su eccezione di parte (art. 360, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all'art. 112 cod. proc. civ.), per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, derivante dalla mancata pronunzia sull'eccezione di aliunde perceptum che era processualmente acquisita fin dal primo grado;

3) con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), perché la Corte d'appello non ha considerato che il D.P., avendo prestato da quindici anni attività lavorativa nello stesso profilo rivendicato, non ha subito alcuna perdita ne alcun mancato guadagno;

che ritiene il Collegio che il secondo e il terzo motivo del ricorso - da esaminare congiuntamente, visto che si riferiscono alla medesima questione - devono essere accolti;

che in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) l'eccezione con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente illegittimamente estromesso dall'azienda ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione (aliunde perceptum) ovvero deduca la colpevole astensione del lavoratore da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno (aliunde percipiendum) non fa valere alcun diritto sostanziale di impugnazione, né l'eccezione stessa è identificabile come oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte, sicché, allorquando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possano ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d'ufficio - anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte - tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal dipendente (vedi, per tutte: Cass. SU 3 febbraio 1998, n. 1099 e successiva giurisprudenza conforme);

b) tuttavia, ai fini della sottrazione dell'aliunde perceptum dalle retribuzioni dovute al lavoratore, è necessario che risulti la prova, il cui onere grava sul datore di lavoro, non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di quanto percepito, essendo questo il fatto che riduce l'entità del danno presunto e non potendo il datore di lavoro limitarsi a richiedere al giudice l'ordine di esibizione documentale nei confronti del lavoratore per verificarne eventuali diversi redditi percepiti, in quanto allegazione e richiesta di prova non possono essere avanzate in via meramente esplorativa (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2499; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21919; Cass. 12 luglio 2012, n. 11795; Cass. 10 aprile 2012, n. 5676; Cass. 5 aprile 2004, n. 6668);

c) la suddetta prova può essere fornita anche con l'ausilio di presunzioni semplici, ma ne è onerato il datore di lavoro a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall'azienda in quanto deve escludersi che il lavoratore abbia l'onere di farsi carico di provare una circostanza, quale una nuova assunzione, riduttiva del danno patito (vedi, per tutte: Cass. 12 maggio 2015, n. 9616; Cass. 17 novembre 2010, n. 23226);

d) peraltro, l'eccezione del cosiddetto "aliunde perceptum" non integra un'eccezione in senso stretto e, pertanto, è rilevabile dal giudice anche in assenza di un'eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un'eccezione intempestiva, purché la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro (fra le tante: Cass. 21 aprile 2009, n. 9464; Cass. 25 luglio 2013, n. 18093;

e) inoltre ad essa si applica la regola generale secondo cui il rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato non solo non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ma è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati "ex actis", in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass. SU 7 maggio 2013, n. 10531; Cass. SU 27 luglio 2005, n. 15661);

f) ne consegue che può tenersi conto "dell’aliunde perceptum" - ove si configuri come fatto sopravvenuto - anche per la prima volta nel giudizio di rinvio se soltanto in occasione del suo svolgimento sia stato possibile rilevare una tale circostanza di fatto ed essa sia stata dedotta nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza del fatto stesso, dovendo il datore di lavoro fornire la prova del momento di acquisizione della notizia (vedi: Cass. 29 novembre 2013, n. 26828; Cass. 25 luglio 2008, n. 20500; Cass. 14 giugno 1999, n. 5893);

g) in ogni caso, trattandosi di eccezione in senso lato, nel rito del lavoro è nella facoltà del giudice, nell'esercizio dei suoi poteri d'ufficio ex art. 421 cod. proc. civ. ammettere la prova indispensabile per decidere la causa sul punto, con riferimento ai fatti ritualmente allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio (Cass. 25 novembre 2013, n. 26289; Cass. 23 maggio 2017, n. 12907);

che nel presente giudizio è pacifico l'avvenuto svolgimento da parte dell'attuale controricorrente di attività lavorativa, come dirigente medico, nel periodo preso in considerazione dalla sentenza impugnata, che risulta, oltre che da atti difensivi dell'ASP di Agrigento, anche dalla disposta CTU e dal ricorso in appello del D.P. (p. 16);

che, nel controricorso, non si nega tale circostanza ma si sostiene che non vi è stata la proposizione di "alcuna formale eccezione di aliunde perceptum";

che, invece, come si è detto, una simile formalizzazione non è necessaria e il giudice se, come nella specie, risultino in actis fatti rilevanti sul punto - e ritenga che essi siano stati ritualmente allegati e provati in conformità con i suindicati principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte - può trarne d'ufficio - anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte - tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal dipendente, potendo far seguire all'eventuale rilievo officioso la concessione, su istanza di parte, di un termine per controdedurre, secondo le esigenze anche istruttorie che il rilievo officioso fa insorgere;

che nella sentenza attualmente impugnata non viene affatto menzionata la suddetta pacifica circostanza (dell'avvenuto svolgimento dell'attività di dirigente medico da parte del D.P.) e, quindi, non risultano esaminate la questione della sua rituale allegazione e prova nonché quella del mancato esercizio dei poteri d'ufficio ex art. 421 cod. proc. civ., sicché neppure sono prese in considerazione le eventuali conseguenze di tale problematica sulla quantificazione del danno da risarcire all'interessato;

che, pertanto, il secondo e il terzo motivo di ricorso devono essere accolti, con conseguente assorbimento del primo motivo;

che la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Palermo, in diversa composizione.