Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 aprile 2017, n. 10439

Licenziamento - Sequestro dell’azienda - Amministrazione giudiziale - Crediti

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso del 6.5.15, la S. s.r.l. in amministrazione giudiziaria, proponeva reclamo avverso la sentenza n. 896\15 del Tribunale di Palermo con la quale era stata respinta l'opposizione avverso l'ordinanza emessa il 29.9.14 dallo stesso Tribunale e venne annullato il licenziamento intimato dalla società nei confronti di A.C. in data 8.7.13, condannandola alla reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, dedotto l'aliunde perceptum. Resisteva il C.

Con sentenza depositata il 24 luglio 2015, la Corte d'appello di Palermo rigettava il reclamo compensando le spese.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi.

Resiste il C. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia il difetto di giurisdizione del giudice a quo ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 57 e ss. ed all'uopo rileva che la S. s.r.l. è in amministrazione giudiziaria giusta provvedimento del Tribunale di Palermo, Sezione misure di prevenzione, del 20.7.2012, reso ai sensi della detta "normativa antimafia", con conseguente temporaneo difetto di giurisdizione del giudice civile ordinario, tale da rendere improponibile od improseguibile la domanda, dovendo applicarsi la specifica e dettagliata procedura, prevista dagli artt. 57 e ss. del citato D.Lgs., per l'accertamento dei crediti dei terzi interamente devoluta al Tribunale che ha emesso il provvedimento di sequestro.

L'eccezione di difetto di giurisdizione è ammissibile, stante l'assenza di giudicato implicito formatosi sulla pronuncia di merito, ove la questione non sia stata sollevata nei gradi anteriori di giudizio" (v. Cass. 26-9- 2013 n. 22097, Cass. 10-7-2013 n. 17056, Cass. S.U. 22-4-2013 n. 9693).

Essa è tuttavia infondata.

Deve infatti considerarsi che la questione relativa all'attribuzione al giudice ordinario penale o civile della "potestas iudicandi" su di una determinata controversia non pone un problema di riparto di giurisdizione, cioè di delimitazione della giurisdizione ordinaria nei confronti di quella amministrativa o speciale, ma investe la suddivisione delle competenze tra diversi giudici ugualmente esercitanti la giurisdizione ordinaria (Cass. S.U. n. 18189\13).

Sotto il profilo di giurisdizione denunciato, la censura è dunque infondata.

Anche a volerla qualificare come una questione di competenza, dovrebbe pregiudizialmente rilevarsi che essa verrebbe per la prima volta sollevata, inammissibilmente, in sede di legittimità (Cass. n. 3753\02).

In ogni caso, per completezza espositiva, deve rilevarsi che non è ravvisabile neppure un difetto di competenza funzionale rispetto alla predetta sezione misure di prevenzione del Tribunale penale di Palermo, posto che non vi è alcuna norma, nell'ambito del citato d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che consenta di ritenere che, oltre all'autorizzazione per l'esercizio dell'impresa (art. 41) sottoposta, come nella specie, al sequestro previsto dal capo I del titolo II, con nomina di un giudice delegato alla procedura e un amministratore giudiziario (art. 35, comma 1), sussista, oltre al parere (nella specie già espresso) del giudice delegato sulla opportunità del recesso da parte dell'amministratore giudiziario dai rapporti di lavoro instaurati, una ulteriore competenza (tanto meno esclusiva) del giudice delegato in ordine alle controversie che possano instaurarsi a seguito del detto recesso.

L'art. 41 dispone infatti solo che: "L'amministratore giudiziario provvede agli atti di ordinaria amministrazione funzionali all'attività economica dell'azienda. Il giudice delegato, tenuto conto dell'attività economica svolta dall'azienda, della forza lavoro da essa occupata, della sua capacità produttiva e del suo mercato di riferimento, può con decreto motivato indicare il limite di valore entro il quale gli atti si ritengono di ordinaria amministrazione...".

Del resto gli artt. 56 e 57 del cd. codice antimafia, invocati dalla ricorrente, riguardano, il primo, i rapporti contrattuali pendenti al momento dell'esecuzione del sequestro (nella specie irrilevante essendo stato il Curiale assunto prima del sequestro), mentre l'art. 57 riguarda, sulla falsariga della procedura fallimentare, la disciplina dei crediti vantati nei confronti dell'azienda sottoposta ad amministrazione giudiziale.

Non vi è dunque alcuna norma che consenta di ritenere sussistente una competenza funzionale esclusiva della sezione misure di prevenzione del Tribunale penale in ordine al recesso, da parte dell'amministratore giudiziario, nei confronti di un dipendente di impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria ai sensi del ridetto d.lgs n. 159\11.

Il motivo è dunque infondato.

2.- Con il secondo motivo la società denuncia la violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 35 e 56, e degli artt. 7 e 18 della L. n. 300 del 1970. La ricorrente, in sostanza, lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato la normativa del codice antimafia, in quanto, pur riconoscendo la natura speciale e di ordine pubblico della stessa ("stante la fonte iure imperii del fatto risolutivo occorso nella vicenda in esame"), ritenne poi nella specie violato il detto art. 7 della L. n. 300\70, per l'avvenuta consumazione del potere disciplinare (considerate precedenti contestazioni sanzionate con sanzioni conservative) e l'assenza di contestazione per la mancanza più grave consistente nel "comportamento ostruzionistico tenuto nei confronti dell'Amministrazione giudiziaria", in contrasto col d.lgs. n. 159 del 2011, art. 56. In particolare la ricorrente rileva che tale ultima norma trova applicazione anche ai rapporti di lavoro ed in specie a quei rapporti che in virtù della previsione di cui all'art. 35 dello stesso D.Lgs., non possono essere proseguiti, per cui l'amministratore giudiziario può risolverli, come è avvenuto nel caso in esame, su autorizzazione del Giudice.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n.14467\15) che il D.Lgs. n. 159 del 2011, all'art. 41, comma 4, stabilisce che "I rapporti giuridici connessi all'amministrazione dell'azienda sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente disposto" e all'art. 56, ("Rapporti pendenti") dispone che "1. Se al momento dell'esecuzione del sequestro un contratto relativo al bene o all'azienda sequestrata è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto." Lo stesso D.Lgs. all'art. 35, comma 3 stabilisce, poi, che "Non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione. Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell'amministratore giudiziario". Essendo evidente il carattere speciale della normativa e la finalità di ordine pubblico, che non può che comprendere tutti i contratti relativi al bene e all'azienda sequestrata, nonché tutti i rapporti di collaborazione con le persone indicate, deve affermarsi la applicabilità della normativa speciale anche ai rapporti di lavoro, per i quali, quindi (al di là di quanto previsto dalla normativa ordinaria, che resta applicabile "ove non espressamente disposto"), è prevista, tra l'altro, una risoluzione del rapporto con recesso da parte dell'amministratore giudiziario, autorizzato dal giudice, nei confronti dei soggetti indicati dall'art. 35, tra cui rientra il C.

In tal caso è la stessa legge speciale che, in ragione della finalità di ordine pubblico, prevede la giustificazione del licenziamento, che, del resto, non ha natura disciplinare.

Nella specie la Corte di merito, seppure correttamente ha ritenuto "la fonte iure imperii (recte: di ordine pubblico) del fatto risolutivo occorso", non ha applicato compiutamente la normativa speciale ed ha erroneamente ritenuto che nella specie sia stato violato l'art. 7 L. n. 300\70.

Ciò basta ad accogliere il ricorso con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte con il rigetto dell'originaria domanda proposta dal C.

La particolarità della questione consiglia la compensazione delle spese afferenti la fase di merito, mentre quelle del presente giudizio di legittimità, considerato il recente arresto di questa Corte in materia, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ala censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda proposta dal C.. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite inerenti il giudizio di merito e condanna il C. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a.