Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 giugno 2019, n. 16834

Licenziamenti collettivi - Cessazione di un appalto mensa - Criteri di scelta - Determinazione

 

Fatti di causa

 

1) Con sentenza del 10.2.2017 n. 753 la corte d'Appello di Roma ha riformato la sentenza emessa in sede di opposizione, ai sensi dell'art. 1 comma 42 legge n. 92/2012, dal Tribunale di Cassino che aveva respinto le domande di R. T., e degli altri litisconsorti di cui in epigrafe, dirette a far dichiarare l'illegittimità dei licenziamenti collettivi comunicati il 14.5.2014 dalla società C. & C., per cessazione di un appalto mensa presso l'A. di Cassino, dove gli stessi erano stati impiegati.

2) La corte territoriale ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso di primo grado del lavoratore R. T., perché depositato oltre i termini previsti dall'art. 6 legge n. 604/66 come modificato dall'art. 32 della legge n.183/2010, ma ha accolto il reclamo promosso dagli altri lavoratori ritenendo fondato il motivo relativo alla violazione da parte del Tribunale degli art. 4 e 5 della legge n. 223/1991 con riferimento alla determinazione dell'ambito dei lavoratori coinvolti nel licenziamento ed ai criteri di scelta.

3) in particolare i giudici di merito hanno ritenuto che gravava integralmente sul datore di lavoro l'onere di prova della scelta dei lavoratori in un ambito più ristretto rispetto all'intero organico aziendale, non potendo ritenersi legittimo licenziare i dipendenti sol perché appartenenti al settore o al reparto - in questo caso all'appalto - interessato alla chiusura e che in particolare nel caso di specie la società non aveva fornito prova alcuna circa la diversità dei profili professionali dei dipendenti addetti all'altro appalto acquisito tre mesi prima di quello cessato.

4) Per la corte distrettuale la scelta dei lavoratori da licenziare andava effettuata con riguardo all'intero organico aziendale ed accertata pertanto l'illegittimità del licenziamento intimato ai lavoratori appellanti in violazione dei criteri di scelta di cui al comma 5° della legge n. 223/91, con conseguente applicazione dell'art. 18, 4° comma, come modificato dalla legge n. 92/2012. La corte ha quindi ordinato la reintegrazione dei lavoratori e condannato la società al risarcimento danno pari ad un'indennità di 12 mensilità di retribuzione globale di fatto.

5) Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia T. con un unico motivo, sia la società C. & C. con due motivi. I lavoratori C.A. e gli altri litisconsorti hanno resistito con controricorso. Sono state depositate memorie.

 

Ragioni della decisione

 

6) Con unico motivo di ricorso il T. ha dedotto la violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3.c.p.c., in tema di giudicato interno nonché in ordine all'erroneo rilievo d'ufficio della decadenza, e in relazione all'art. 1 comma 57 della legge n. 92/2012 e dell'art. 343 c.p.c.: il Tribunale di Cassino con l'ordinanza del 2015 della fase sommaria del procedimento ai sensi dell'art.1 comma 42 legge n. 92 citata, poi confermata in sede di opposizione, ha respinto nel merito il ricorso dei lavoratori, nonostante l'eccezione di inammissibilità del ricorso ritualmente sollevata dalla società, nulla disponendo sul punto. Ciò avrebbe comportato un implicito rigetto dell'eccezione di decadenza, su cui si sarebbe formato il giudicato, con l'effetto di rendere non più discutibili tutte le questioni logicamente anteriori a quella decisa.

Conseguentemente nella seconda fase del giudizio la società opposta avrebbe dovuto impugnare con autonomo atto di opposizione il capo di sentenza su cui si era formato il giudicato "implicito", ovvero avrebbe dovuto proporre reclamo incidentale per far valere la propria domanda in sede di gravame, non potendosi limitare semplicemente a riproporre l'eccezione ex art. 346 c.p.c.

7) Il motivo è infondato. Nel caso in esame non può ritenersi che si sia in presenza di un rigetto implicito dell'eccezione di decadenza, sollevata dalla società, da parte del giudice di primo grado, ma di un'omessa pronuncia sulla stessa, per avere il tribunale ritenuto assorbita detta eccezione dalli accertamento di infondatezza della identica domanda di illegittimità del licenziamento, svolta dal T. unitamente agli altri ricorrenti.

8) Questa corte ha rilevato che (cfr Cass. 24021/2010 , Cass. 24124/2016, e da ultimo Cass. S.U. n. 13195/2018) la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione "le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado", da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l'eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ.

Nel caso in esame non vi era quindi la necessità dell'appello incidentale da parte della società che si era comunque vista non esaminata l'eccezione di decadenza per tardività della domanda del T., comunque respinta nel merito dal tribunale che, in concreto, aveva considerato l'eccezione di decadenza semplicemente assorbita dalla pronuncia fondata sulla c.d. ragione più liquida.

8) quanto al ricorso della società C. & C. srl, con il primo motivo di gravame, articolato in due censure, si deduce:

8.1) Ia violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 n.4., avendo la corte di merito omesso di pronunciarsi su di un capo di sentenza del tribunale di Cassino che da solo era sufficiente per giustificare il rigetto del ricorso proposto dai lavoratori. In particolare la sentenza del Tribunale aveva respinto il ricorso sotto un duplice profilo: a) la delimitazione della scelta ai soli lavoratori addetti all'appalto cessato, b) la genericità della deduzione articolata dai ricorrenti, che si erano soltanto lamentati della mancata estensione della procedura di mobilità agli altri dipendenti della società.

La sentenza di primo grado aveva infatti precisato che "la generica deduzione non può certo ritenersi rispettosa degli oneri di allegazione dei presupposti in fatto della pretesa azionata, incombenti sulla parte ricorrente". Sul punto i ricorrenti avevano proposto specifico motivo di appello, mentre la società C. aveva reiterato l'eccezione di nullità del ricorso anche nella memoria di costituzione di appello. La corte di appello avrebbe pertanto omesso di pronunciarsi in ordine sia al motivo di appello dei lavoratori, sia all'eccezione reiterata di nullità del ricorso svolta dalla società.

8.2) l'omesso esame di un fatto decisivo consistente nella mancata valutazione della eccezione di nullità del ricorso, svolta nella memoria di costituzione di primo grado e reiterata nella memoria di costituzione in appello, peraltro non considerata neanche dalla sentenza di primo grado che aveva respinto nel merito le domande dei ricorrenti, pur affermando la genericità delle deduzioni contenute nel ricorso introduttivo. La corte d'appello avrebbe quindi dovuto motivare in ordine : a) alle ragioni per cui non riteneva generico il ricorso di primo grado, oppure b) alle ragioni per cui riteneva soddisfatto l'onere di allegazione da parte dei ricorrenti in primo grado. La corte invece ha erroneamente ritenuto gravare solo sulla società la prova dell'oggettiva limitazione delle esigenze di soppressione o ristrutturazione aziendale al solo reparto nel quale è caduta la scelta dei lavoratori da licenziare.

9) La prima censura è infondata. Come precisato dalla sentenza 9711/2011 l'onere di prova della limitazione ad un solo reparto è del datore di lavoro, atteso che l'art. 5 comma 1 legge n. 223/91 precisa che l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecniche, organizzative del complesso aziendale . Quindi è onere del datore di lavoro provare il fatto che legittima la limitazione.

10) Questa corte ha infatti precisato (cfr Cass. n. 9711/2011) che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, essendo onere del datore provare il fatto che determina l'oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata. Ne consegue che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.

11) Pertanto, solo ove il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda (ma non è questo il caso che ci occupa) la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve interessare necessariamente l'intera azienda, ma può essere effettuata, secondo una legittima scelta dell'imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell'ambito della singola unità produttiva (Cfr Cass. n. 14612/2006).

12) la seconda censura è inammissibile in primo luogo per mancata specificità, in violazione dell'art. 366 c. 1 n. 4 c.p.c., atteso che la società ricorrente prospetta in realtà un vizio di omessa pronuncia più che di omesso esame, atteso che lamenta che la corte di Appello abbia omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello con cui la società aveva reiterato l'eccezione di nullità del ricorso per genericità. L'omessa pronuncia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che va fatto valere come violazione dell'art. 112 c.p.c., configurando un error in procedendo e non una violazione di una norma di diritto sostanziale (cfr tra le tante Cass. n. 329/2016).

13) Ma il motivo è altresì privo di autosufficienza, in violazione dell'art. 366 c. 1 n. 6 c.p.c., non essendo state trascritte nel ricorso di legittimità le eccezioni e le conclusioni contenute sia nel ricorso che nella memoria di costituzione di primo grado che negli atti introduttivi del giudizio di appello che conterrebbero tali eccezioni.

14) con il secondo motivo di gravame si deduce la violazione dell'art. 7 comma 4 bis del DL n. 248/2007, conv. nella legge n. 223/2008 (ndr: legge n. 31/2008) e dell'art. 24 legge n. 223/2001 (ndr dell’art. 24 legge n. 223/1991): la corte di appello non ha considerato che gli altri lavoratori della società appartenenti al diverso appalto acquisito dalla C. spa- la quale era quindi subentrata come nuovo appaltatore per detti dipendenti, non potevano essere soggetti a mobilità, essendo esclusi dall'applicazione dell'art. 24 della legge n. 223 citata, sebbene fossero trascorsi tre mesi tra l'aggiudicazione di tale nuovo appalto e la risoluzione di quello che aveva indotto la società ad avviare la procedura di mobilità. Per la ricorrente tale disposizione comporterebbe che nei confronti dei lavoratori assunti dall'impresa subentrante nell'appalto e già dipendenti del precedente appaltatore non si applicano le disposizioni di cui all'art. 24 citato, quindi l'obbligo di applicare la procedura di cui agli artt. 4 e 5 della citata legge n. 223.

Il motivo è inammissibile atteso che, come eccepito dai controricorrenti, non risulta che la questione abbia formato oggetto di alcuna deduzione nei giudizi di merito. Si tratta pertanto di questione nuova proposta solo in questo grado di legittimità, mentre l'inapplicabilità dell'art. 24 della legge n. 223/2001 (ndr dell’art. 24 legge n. 223/1991), in ragione della situazione aziendale prospettata - lavoratori assunti dall'impresa subentrante nell'appalto e già dipendenti del precedente appaltatore- andava eccepita sin dalla prima fase del giudizio.

Questa corte ha statuito che "ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l'onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa "(cfr Cass. 14590/2005, Cass. n. 20518/2008 Cass. n. 24.1.2019).

Sia il ricorso del T. che il ricorso della società C. & C. vanno pertanto rigettati, nulla statuendo in ordine alle spese con riferimento al T., essendo rimasta solo intimata la società, che va invece condannata alla rifusione delle spese in favore dei contro ricorrenti , liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta entrambi i ricorsi e condanna la società ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 6000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.