Giurisprudenza - CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 20 giugno 2019, n. C-404/18

"Rinvio pregiudiziale - Politica sociale - Direttiva 2006/54/CE - Parità di trattamento fra uomini e donne - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Articolo 24 - Vittimizzazione - Rigetto della candidatura a un impiego a causa della gravidanza della candidata - Lavoratore intervenuto a favore di detta candidata - Licenziamento del lavoratore"

 

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 24 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).

2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato,Jamina Hakelbracht, Tine Vandenbon e l’Instituut voor de Gelijkheid van Vrouwen en Mannen (Istituto per la parità tra donne e uomini) (in prosieguo: l’"Istituto") e, dall’altro, la WTG Retail BVBA in merito alla concessione di un risarcimento alla sig.ra Vandenbon in conseguenza al suo licenziamento.

 

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3. I considerando 23, 29 e 32 della direttiva 2006/54 così recitano:

"(23) Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella presente direttiva.

(...)

(29) L’esistenza di procedure giudiziarie o amministrative adeguate, dirette a far rispettare gli obblighi imposti dalla presente direttiva, è essenziale per l’effettiva attuazione del principio della parità di trattamento.

(...)

(32) Vista la natura di diritto fondamentale della tutela legale effettiva, è opportuno garantire che i lavoratori continuino a godere di tale tutela anche dopo la fine del rapporto che ha dato origine alla presunta violazione del principio della parità di trattamento. La stessa tutela andrebbe assicurata a ogni dipendente che difenda una persona tutelata ai sensi della presente direttiva, o che testimoni in suo favore".

4. L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato "Scopo", è così formulato:

"Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:

a) l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;

b) le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;

c) i regimi professionali di sicurezza sociale.

Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate".

5. A norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), di detta direttiva:

"Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende:

(...)

c) qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE [del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU 1992, L 348, pag. 1)]".

6. L’articolo 14 della medesima direttiva, rubricato "Divieto di discriminazione", così dispone:

"1. È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

(...)".

7. L’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2006/14, intitolato "Tutela dei diritti", prevede quanto segue:

"Gli Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere, eventualmente dopo essersi rivolte ad altre autorità competenti o dopo aver esperito le eventuali procedure di conciliazione, a procedure giurisdizionali finalizzate all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva anche dopo la cessazione del rapporto nell’ambito del quale si sarebbe prodotta la discriminazione".

8. L’articolo 24 di tale direttiva, rubricato "Vittimizzazione", così dispone:

"Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori, inclusi i rappresentanti dei dipendenti previsti dalle leggi e/o prassi nazionali, dal licenziamento o da altro trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro, quale reazione ad un reclamo all’interno dell’impresa o ad un’azione legale volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento".

 

Diritto belga

9 L’articolo 22 del wet ter bestrijding van discriminatie tussen vrouwen en mannen (legge sulla lotta alla discriminazione tra donne e uomini), del 10 maggio 2007 (Belgisch Staatsblad, 10 maggio 2007, pag. 29031) (in prosieguo: la "legge sul genere") è così formulato:

"1. Quando un reclamo è presentato da o a favore di una persona a causa di una violazione della presente legge intervenuta nel settore dei rapporti di lavoro e dei regimi previdenziali integrativi, il datore di lavoro non può adottare una misura pregiudizievole nei confronti di tale persona, salvo che per motivi estranei a tale reclamo.

2. Ai sensi del presente articolo, per misura pregiudizievole si intende in particolare la cessazione del rapporto di lavoro, la modifica unilaterale delle condizioni di lavoro o una misura pregiudizievole intervenuta dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

3. Ai fini dell’applicazione del presente articolo si intende per reclamo:

- un reclamo motivato presentato dall’interessato a livello dell’impresa o dell’ufficio in cui esso è impiegato, ai sensi delle procedure applicabili;

- un reclamo motivato presentato dalla direzione generale del controllo sulle leggi sociali presso l’ufficio federale per l’occupazione, il lavoro e il dialogo sociale, a favore dell’interessato, nei confronti dell’impresa o dall’ufficio che lo impiega;

- un reclamo motivato presentato a favore dell’interessato da un’associazione di interessi o dall’Istituto dinanzi all’impresa o all’ufficio che lo impiega;

- un ricorso avviato dall’interessato;

- un ricorso avviato a favore dell’interessato dall’Istituto o da un’associazione di interessi.

Il reclamo motivato di cui al primo comma, trattini da uno a tre, consiste in una lettera raccomandata datata, sottoscritta e notificata per posta in cui sono esposte le censure nei confronti dell’autore dell’asserita discriminazione.

(...)

9. La tutela di cui al presente articolo si applica anche a persone che intervengono come testimoni in quanto esse, nel contesto dell’esame del reclamo di cui al paragrafo 3, notificano alla persona presso la quale il reclamo viene presentato, in un documento sottoscritto e datato, i fatti da loro visti o sentiti relativi alla situazione oggetto del reclamo, o in quanto intervengono in giudizio come testimoni

(...)".

 

Procedimento principale e questione pregiudiziale

10. La sig.ra Vadenbon era impiegata presso la WTG Retail in quanto store manager di uno dei negozi di abbigliamento gestiti da tale impresa. In tale veste, il 24 giugno 2015 la sig.ra Vandenbon ha sottoposto a colloquio di assunzione la sig.ra Hakelbracht per un posto di commessa addetta alle vendite con decorrenza dal 1° agosto 2015. Nel corso di tale colloquio, la sig.ra Hakelbracht ha affermato di essere incinta di tre mesi.

11. Il 5 luglio 2015 la sig.ra Vandenbon ha informato la WTG Retail di aver trovato una candidata idonea nella persona della sig.ra Hakelbracht. Tuttavia, la responsabile delle risorse umane di tale impresa le ha comunicato, con messaggio di posta elettronica del 6 luglio 2015, di non voler assumere la sig.ra Hakelbracht a causa della sua gravidanza.

12. Con messaggio di posta elettronica del 7 luglio 2015, la sig.ra Vandenbon ha segnalato alla WTG Retail che tale rifiuto di assunzione a causa della gravidanza era vietato dalla legge. Ciononostante, il 12 agosto 2015, ella ha appreso che la WTG Retail confermava il rifiuto di assumere la sig.ra Hakelbracht per lo stesso motivo.

13. Lo stesso giorno, la sig.ra Vandenbon ha informato la sig.ra Hakelbracht che la sua candidatura non era stata accolta a causa della sua gravidanza.

14. In seguito, la sig.ra Hakelbracht ha contattato la WTG Retail in merito alla sua mancata assunzione, comunicandole che intendeva presentare reclamo contro tale impresa dinanzi all’Istituto. Poiché la WTG Retail non ha successivamente modificato la sua posizione, la sig.ra Hakelbracht ha presentato reclamo, informandone tale impresa il 26 settembre 2015.

15. Il 5 ottobre 2015, la sig.ra Vandenbon ha avuto un colloquio con la responsabile della WTG Retail, in merito alla mancata assunzione della sig.ra Hakelbracht, in occasione del quale si è vista contestare di essere la causa del reclamo presentato da quest’ultima.

16. Il 12 novembre 2015, l’Istituto ha comunicato alla WTG Retail di aver ricevuto il reclamo della sig.ra Hakelbracht. Con messaggio di posta elettronica inviato all’Istituto l’11 dicembre 2015, tale impresa ha contestato formalmente di aver rifiutato di assumere la sig.ra Hakelbracht a causa della sua gravidanza.

17. Il 6 aprile 2016, la WTG Retail ha risolto il contratto di lavoro della sig.ra Vandenbon. Il 13 aprile 2016 quest’ultima ha presentato reclamo dinanzi all’Istituto. Interrogata dalla sig.ra Vandenbon sui motivi del suo licenziamento, la WTG Retail glieli ha comunicati in modo circostanziato con lettera del 10 giugno 2016. Tali motivi comprendevano, in particolare, lo svolgimento carente dei compiti affidati, l’inosservanza delle norme di sicurezza, l’insufficiente manutenzione del negozio e una mancanza di ordine. Il sindacato al quale la sig.ra Vandenbon era iscritta ha contestato detti motivi.

18. Sia la sig.ra Hakelbracht che la sig.ra Vandenbon hanno ingiunto alla WTG Retail, con lettera di diffida del 10 ottobre 2016, di pagare a ciascuna un’indennità di licenziamento forfettaria di importo pari a sei mesi di stipendio. Non essendo riuscite a giungere a un accordo su tale punto, esse hanno chiesto all’arbeidsrechtbank Antwerpen (Tribunale del lavoro di Anversa, Belgio) di condannare tale impresa al pagamento di detta indennità.

19. Come risulta dalla decisione di rinvio, è pacifico procedimento principale che la sig.ra Hakelbracht è stata effettivamente vittima di una discriminazione diretta fondata sul sesso, ragion per cui il giudice del rinvio le ha concesso un risarcimento a tale titolo.

20. Per quanto riguarda la domanda della sig.ra Vandenbon, che è la sola pertinente nell’ambito del presente rinvio, la sig.ra Vandenbon intende avvalersi della protezione contro le misure di ritorsione, garantita dall’articolo 22, paragrafo 9, della legge sul genere, facendo valere il fatto di essere intervenuta in veste di testimone nell’istruttoria del reclamo presentato dalla sig.ra Hakelbracht. Orbene, secondo il giudice del rinvio, le condizioni previste a tal fine dalla legge non sarebbero soddisfatte, nel caso di specie, dato che la sig.ra Vandenbon non può presentare alcun documento sottoscritto e datato relativo alla sua testimonianza.

21. Tuttavia, il giudice del rinvio si chiede se la protezione prevista dall’articolo 22, paragrafo 2, della legge sul genere non sia più limitata di quella prevista dall’articolo 24 della direttiva 2006/54, in quanto tale protezione non dovrebbe, a suo avviso, essere limitata ai soli testimoni ufficiali, ma dovrebbe anche estendersi alle persone che difendono o sostengono la persona che ha presentato un reclamo per discriminazione fondata sul sesso.

22. In tali circostanze l’Arbeidsrechtbank Antwerpen (Tribunale del lavoro di Anversa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

"Se il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 24 della direttiva [2006/54], debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che offre tutela contro le ritorsioni nei confronti di persone che intervengono come testimoni solo alla persona che, nel contesto dell’esame di un reclamo, notifichi alla persona presso la quale il reclamo è presentato, in un documento sottoscritto e datato, i fatti da essa visti o sentiti relativi alla situazione in oggetto del reclamo, o che interviene in giudizio come testimone".

 

Sulla questione pregiudiziale

23. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24 della direttiva 2006/54 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, in una situazione in cui una persona che si ritiene vittima di una discriminazione fondata sul sesso abbia presentato una reclamo, un lavoratore che l’abbia sostenuta in tale contesto è tutelato contro le misure di ritorsione adottate dal datore di lavoro soltanto se è intervenuto in qualità di testimone nell’ambito dell’istruttoria di tale reclamo e se la sua testimonianza risponde a requisiti formali previsti da detta normativa.

24. In via preliminare, occorre rilevare, da un lato, che, come risulta dalla decisione di rinvio, la WTG Retail ha licenziato la sig.ra Vandenbon quasi nove mesi dopo che quest’ultima si era opposta al rifiuto di tale impresa di assumere la sig.ra Hakelbracht, rifiuto motivato dalla gravidanza di quest’ultima. Mentre la WTG Retail afferma di aver proceduto a tale licenziamento per ragioni oggettive non aventi alcun nesso con tale opposizione, il giudice del rinvio pare invece partire dal presupposto contrario.

25. Dall’altro lato, il fatto di non assumere una candidata perché è incinta deve essere considerato un trattamento meno favorevole di una donna legato alla gravidanza, il quale costituisce, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54, una discriminazione diretta fondata sul sesso, come sottolinea, inoltre, il considerando 23 di tale direttiva.

26. Per quanto riguarda la tutela istituita dal legislatore dell’Unione all’articolo 24 della direttiva 2006/54, occorre ricordare che tale disposizione impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per tutelare i lavoratori, ivi compresi i rappresentanti di questi ultimi, dal licenziamento o da qualsiasi altro trattamento sfavorevole che il datore di lavoro abbia messo in atto quale reazione a un reclamo all’interno dell’impresa o ad un’azione legale volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

27. Dalla formulazione stessa di detto articolo 24 risulta che la categoria dei lavoratori che possono beneficiare della protezione ivi prevista deve essere intesa in senso ampio e comprende tutti i lavoratori che possono essere oggetto di misure di ritorsione adottate dal datore di lavoro come reazione a un reclamo presentato a titolo di discriminazione fondata sul sesso, senza che tale categoria sia peraltro delimitata.

28. In tal senso, risulta dal tenore letterale dell’articolo 24 della direttiva 2006/54 che quest’ultimo non limita la tutela ai soli lavoratori che abbiano presentato reclamo o ai loro rappresentanti, né a quelli che rispettino determinati requisiti formali che condizionano il riconoscimento di un determinato status, come quello di testimone, come quelli previsti dalla legge sul genere che è oggetto della causa principale.

29. Occorre inoltre osservare che, conformemente al considerando 32 della direttiva 2006/54, "la stessa tutela [offerta alla persona tutelata] andrebbe assicurata a ogni dipendente che difenda una persona tutelata ai sensi della presente direttiva, o che testimoni in suo favore", anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Tale considerando conferma, pertanto, che la suddetta direttiva mira a circoscrivere la categoria di lavoratori, diversi dal soggetto discriminato, che deve poter beneficiare della tutela contro le ritorsioni, non sulla base di criteri formali, bensì sulla base del ruolo che tali lavoratori possono aver svolto a favore della persona protetta e che può aver indotto il datore di lavoro ad adottare misure sfavorevoli nei loro confronti.

30. Peraltro, una siffatta interpretazione ampia dell’articolo 24 della direttiva 2006/54 è avvalorata dallo scopo di quest’ultima, che consiste nel garantire l’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di occupazione e di impiego, per quanto riguarda, in particolare, l’accesso al lavoro, come risulta dall’articolo 1 di detta direttiva.

31. A tal riguardo, occorre precisare che l’effettiva attuazione del principio della parità di trattamento perseguita dalla direttiva 2006/54 richiede, come evidenziato dal considerando 29 di tale direttiva, la predisposizione di procedure giudiziarie o amministrative adeguate dirette a far rispettare gli obblighi imposti da tale direttiva. L’articolo 17, paragrafo 1, di detta direttiva, prescrive a tal riguardo che siffatte procedure devono essere accessibili a tutte le persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento.

32. Quest’ultima disposizione costituisce un’espressione specifica, nel contesto della stessa direttiva, del principio di tutela giurisdizionale effettiva, che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 1998, Coote, C‑185/97, EU:C:1998:424, punto 21), principio ormai riaffermato dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

33. Per quanto riguarda la direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU 1976, L 39, pag. 40), che ha preceduto la direttiva 2006/54, la Corte ha già dichiarato che il principio di un controllo giurisdizionale effettivo sarebbe privato del nucleo essenziale della sua efficacia se la tutela che esso conferisce non includesse quei provvedimenti che il datore di lavoro potrebbe essere indotto ad adottare come reazione ad un’azione giudiziaria promossa da un dipendente al fine di ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento. Infatti, il timore di siffatti provvedimenti, contro i quali non sarebbe esperibile alcun ricorso, rischierebbe di dissuadere i lavoratori che si ritengano vittime di una discriminazione dal far valere i loro diritti in sede giurisdizionale e, pertanto, potrebbe compromettere gravemente la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva (sentenza del 22 settembre 1998, Coote, C‑185/97, EU:C:1998:424, punto 24).

34. Analogamente, l’effettività della tutela richiesta dalla direttiva 2006/54 contro la discriminazione fondata sul sesso non sarebbe garantita se quest’ultima non ricomprendesse le misure che un datore di lavoro potrebbe essere indotto ad adottare nei confronti di lavoratori che abbiano, in modo formale o informale, preso le difese della persona protetta o testimoniato a suo favore. Infatti, tali lavoratori, che si trovano nella posizione ideale per sostenere tale persona e per venire a conoscenza di casi di discriminazione commessa dal loro datore di lavoro, potrebbero allora essere scoraggiati dall’intervenire a favore di detta persona per timore di vedersi privati di tutela se non soddisfacessero determinati requisiti formali, come quelli di cui al procedimento principale, il che potrebbe compromettere gravemente la realizzazione dello scopo perseguito dalla direttiva 2006/54, riducendo la probabilità che siano individuati e risolti casi di discriminazione fondata sul sesso.

35. Pertanto, si deve interpretare l’articolo 24 della direttiva 2006/54 nel senso che i lavoratori ivi menzionati, diversi dalla persona che sia stata oggetto di una discriminazione fondata sul sesso, devono essere tutelati in quanto possano essere svantaggiati dal loro datore di lavoro a causa del sostegno da loro fornito, in modo formale o informale, alla persona che è stata oggetto di tale discriminazione.

36. Nei limiti in cui la WTG Retail afferma, in sostanza, che i requisiti previsti all’articolo 22, paragrafo 9, della legge sul genere sono giustificati in quanto istituiscono un semplice regime probatorio equilibrato quanto all’esistenza e alla datazione delle testimonianze, occorre constatare che tale disposizione, considerata nel suo insieme, non enuncia semplici norme procedurali o probatorie, ma tende, o tende anche, a delimitare la categoria di lavoratori protetti dalle misure di ritorsione in modo più restrittivo di quanto previsto all’articolo 24 della direttiva 2006/54, escludendo, in particolare, i lavoratori che abbiano sostenuto informalmente la persona che è stata oggetto di discriminazione.

37. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 24 della direttiva 2006/54 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, in una situazione in cui una persona che si ritiene vittima di una discriminazione fondata sul sesso ha presentato un reclamo, un lavoratore che l’abbia sostenuta in tale contesto è tutelato contro le misure di ritorsione adottate dal datore di lavoro soltanto se è intervenuto in qualità di testimone nell’ambito dell’istruttoria di tale reclamo e se la sua testimonianza risponde ai requisiti formali previsti da detta normativa.

 

Sulle spese

38. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

P.Q.M.

 

Dichiara:

L’articolo 24 della direttiva 2006/54/CEdel Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, in una situazione in cui una persona che si ritiene vittima di una discriminazione fondata sul sesso ha presentato un reclamo, un lavoratore che l’abbia sostenuta in tale contesto è tutelato contro le misure di ritorsione adottate dal datore di lavoro soltanto se è intervenuto in qualità di testimone nell’ambito dell’istruttoria di tale reclamo e se la sua testimonianza risponde ai requisiti formali previsti da detta normativa.