Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 aprile 2017, n. 10018

Datore di lavoro agricolo - Contributi - Cartella esattoriale - Esibizione dei libri paga e matricola

Fatti di causa

La Corte d'appello di Bari, riformando con sentenza n. 3122/2010 la decisione di primo grado, ha rigettato l'opposizione a cartella esattoriale proposta da O.M. di M.G. & Figli s.n.c. nei confronti dell'I.N.P.S. - anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a. - e della S.ES.I.T. Puglia concessionaria del Servizio della Riscossione, notificata il 3.3.2003, con la quale era stato richiesto il pagamento, a titolo di contributi e somme aggiuntive dovuti quale datore di lavoro agricolo per l'anno 2001, della somma di Euro 138.758,10.

La Corte ha accertato che l'INPS aveva adempiuto al proprio onere probatorio allegando la documentazione proveniente dai propri uffici che riproduceva le denunzie della datrice di lavoro riferite al numero dei dipendenti impiegati dalla O.M. s.n.c. per ogni mese dell'anno 2001, sulla quale non era stata mossa alcuna contestazione dalla controparte.

La società non aveva neppure esibito, dopo la formale richiesta della Corte d'appello, i libri paga e matricola del periodo in contestazione.

Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la O.M. s.n.c. con cinque motivi illustrati da memoria.

L'INPS resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 112, 416, 434 e 437 cod. proc. civ. evidenziando che la Corte di merito avrebbe accolto l'impugnazione per ragioni estranee a quanto devoluto con i motivi d'appello; era stato scelto un proprio ordine di idee basato sulla valorizzazione dei dati numerici e nominativi relativi ai rapporti di lavoro oggetto delle denunzie presentate dalla società per l'anno 2001 che erano si contenuti nei documenti allegati dall'INPS, ma che erano assenti nel testo della memoria di costituzione in primo grado dell'Istituto.

2. Con il secondo motivo, in stretta correlazione con il primo, si deduce la violazione dell'art. 183 cod. proc. civ. per aver omesso di stimolare il contraddittorio sulla circostanza della mancanza di contestazione sul contenuto della citata documentazione, oggetto di rilievo d'ufficio.

3. Con la terza doglianza, proseguendo nell'impostazione tracciata dal primo motivo, si denuncia la violazione dell'art. 416 cod. proc. civ. per aver la Corte d'appello di Bari deciso l'impugnazione avvalendosi dei contenuti di documenti non utilizzabili in quanto non richiamati nel corpo della comparsa di costituzione dell'INPS in primo grado e dai quali, dunque, non poteva farsi discendere alcun onere di contestazione in capo alla società opponente.

4. Il quarto motivo prospetta una ulteriore violazione dell'art. 416 cod. proc. civ. derivante dalla scorretta applicazione del principio di non contestazione che non può scaturire da una allegazione generica o addirittura mancante di fatti storicamente identificati solo attraverso la produzione di documenti.

5. Il quinto motivo lamenta la violazione degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ. con riferimento all'ordinanza emessa dalla Corte d'appello il 24 giugno 2008. Si sostiene, in particolare, che l'ordine di esibizione dei libri paga e matricola, disposto al fine dichiarato di ricercare la verità materiale e di confermare quanto desumibile dalla mancata contestazione dei fatti contenuti nella documentazione allegata dall'INPS, era illegittimo ed aveva determinato un ulteriore effetto pregiudizievole sulla posizione dell'opponente in quanto doveva ritenersi falso il presupposto della non contestazione.

6. Con un sesto punto di discussione, non articolato in alcuno dei motivi indicati dall'art. 360 cod. proc. civ. e non contenente alcuna censura diversa dalle precedenti, la ricorrente sintetizza le precedenti doglianze concludendo con l'affermazione che, con l'accoglimento del ricorso, l'opposizione a cartella dovrebbe essere accolta per difetto di prova dei fatti costitutivi della pretesa contributiva ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ.

7. Nessuno dei motivi nei quali si articola il ricorso indica a quale delle cinque tipologie previste dal primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ. si intenda fare riferimento, limitandosi a sostenere la violazione di uno o più articoli del codice civile o di procedura civile.

Questa Corte Suprema, a composizione di un contrasto, ha precisato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.

Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, di domanda o di eccezione proposte in primo grado, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all'art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. SS.UU. 17931/2013; 24247/2016; 24553/2013).

7. Applicando tali principi al caso di specie, va osservato che seppure la richiamata violazione degli artt. 112, 416, 434 e 437 c.p.c. e con essi dei principi di corrispondenza tra devoluto ed appellato siano sufficientemente evocativi dell'errore sulla norma processuale e, quindi, possa non ritenersi essenziale la formale classificazione del vizio fatto valere nel numero 4) del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., non vi è dubbio che la ragione posta a sostegno del motivo non consente di ritenere integrato nella sostanza il tipo di errore previsto dalla disposizione medesima posto che dall'affermata violazione della normativa processuale la parte non fa discendere la nullità della sentenza ma solo l'erroneità della motivazione e giunge addirittura a chiedere la decisione nel merito del ricorso che è logicamente incompatibile con la nullità della sentenza che deriva dalla violazione dell'art. 112 c.p.c. Il motivo è, dunque inammissibile.

8. Anche il secondo motivo presenta prevalenti profili di inammissibilità. Invero, anche in questo caso si prospetta la violazione di una norma processuale senza fare riferimento al tipico motivo di cui all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. ed anche in questo caso piuttosto che inferirne la nullità della sentenza, si prospetta un vizio incidente solo sulla necessità di motivare la decisione sulla base delle difese assunte dalle parti a seguito dell'invito - che si ritiene la Corte avrebbe dovuto rivolgere alle parti - a prendere posizione sui profili esterni alla materia devoluta in appello.

Altra ragione di inammissibilità risiede nel difetto di specifica indicazione dei precisi contenuti degli atti processuali dai quali trae origine l'errore che si addebita alla Corte territoriale. Infatti, per rendere possibile a questa Corte di legittimità di verificare il vizio imputato alla sentenza, senza violare i limiti del sindacato di legittimità sull'interpretazione degli atti di parte da parte del giudice di merito, è necessario che il motivo di ricorso riproduca integralmente gli atti del processo attraverso i quali è possibile apprezzare la violazione della legge processuale. Peraltro, l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un "error in procedendo ", presuppone comunque l'ammissibilità del motivo, sicché, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del "tantum devolutum quantum appelatum", è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell'atto d'appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. 24247/2016).

Nel caso di specie, essendo stato prospettato addirittura uno straripamento della sentenza d'appello su questioni estranee alla materia di primo grado e non solo a quella devoluta in appello, la parte avrebbe dovuto riprodurre i contenuti per intero sia del ricorso introduttivo di primo grado che soprattutto - della memoria di costituzione in primo grado dell'INPS - in tal modo rendendo possibile verificare se davvero la lettura della memoria di costituzione ed i suoi riferimenti a documenti allegati potesse supportare l'interpretazione seguita dalla Corte d'appello.

9. Il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente perché accomunati dalla affermazione, anche qui senza alcun riferimento ad uno dei motivi tipici del ricorso per cassazione, secondo cui sarebbe stato violato l'art. 416 cod. proc. civ. perché si sarebbe dato per allegato alla memoria di costituzione dell'INPS, che invece ne era priva, il contenuto specifico della documentazione d'ufficio appartenente all'INPS, relativo ai nomi ed alla durata dei singoli rapporti di lavoro asseritamente denunciati dalla ricorrente per via telematica, così innescando il meccanismo della necessità di espressa contestazione su basi giuridiche inesistenti.

10. Anche in questo caso il rispetto del principio di sufficiente specificità del motivo avrebbe imposto la riproduzione per intero del contenuto della memoria di costituzione dell'INPS in primo grado, soprattutto in ragione del fatto che la sentenza impugnata espressamente richiama per stralcio la memoria ed i suoi allegati. La ricorrente, tuttavia, non ha adempiuto a tale onere per cui devono ritenersi non incrinati in alcun modo dal motivo di ricorso i passaggi logici della sentenza impugnata che dopo aver riprodotto - tra virgolette alle pagine 3 e 4 - buona parte del contenuto dell'appello dell'INPS, nel quale si legge che l'Istituto aveva allegato e depositato documenti che riproducevano gli estremi dei singoli rapporti di lavoro denunciati per l'anno 2001 in via informatica, ha valutato i loro contenuti come valide allegazioni integrative della memoria di costituzione che avrebbero dovuto essere contestati espressamente ex art. 115 c.p.c.

11. Il quinto motivo va, pure, rigettato in considerazione della corretta motivazione esplicitata dalla sentenza impugnata, ispirata alla ricerca della verità materiale da parte del giudice in ipotesi di supporto probatorio non del tutto sufficiente. Così la Corte territoriale ha valutato quanto emerso dalla mancata contestazione dell'opponente in ordine agli elementi identificativi dei rapporti di lavoro presenti nei tabulati dell'NPS che costituivano fonti dell'obbligo contributivo.

12. Ciò costituisce corretta applicazione del principio espresso da questa Corte Suprema (vd. Cass. 19305/2016) secondo cui nel rito del lavoro, il potere istruttorio d'ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c., non è meramente discrezionale, ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicché il giudice (anche di appello), qualora reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati d'indagine, non può arrestarsi al rilievo formale del difetto di prova ma deve provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio idonei a superare l'incertezza sui fatti in contestazione, senza che, in tal caso, si verifichi alcun aggiramento di eventuali preclusioni e decadenze processuali già prodottesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta d'ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile ai fini del decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo.

13. Il ricorso va, dunque, rigettato e sulla ricorrente gravano le spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.