Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 gennaio 2017, n. 1486

Accertamento fiscale - Avviso - Notifica personale - Truffa consumata in sito danno dal precedente consulente

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale sulla relazione ex art. 380-bis c.p.c., letta la memoria difensiva di parte controicorrente, osserva quanto segue.

1. Con unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce la "violazione dell’art. 21 del D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 7 del D.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 184 c.p.c.", per avere la C.T.R. annullato l’intimazione di pagamento, e rimesso in termini la contribuente per l’impugnazione dell’avviso di accertamento notificatole personalmente (la cui impugnazione era stata respinta con sentenza della CIP divenuta definitiva), in considerazione della "truffa consumata in sito danno dal precedente consulente", essendo invece necessario a tal fine "un evento non imputabile alla parte, come avviene nelle ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore", mentre nel caso di specie sarebbe revvisabile una culpa in vigilando nei confronti del professionista incaricato.

2. La censura - peraltro non precisa nella indicazione delle norme violate - è infondata.

3. Invero, l’istituto della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c. - pacificamente applicabile anche al processo tributario, ed anche con riferimento alle decadenze ad esso esterne, come l'impugnazione degli atti impositivi (Cass. nn. 11664/16, 12544/15, 8715/14, 3277/12) - presuppone un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e quindi non imputabile, della cui prova essa è onerata (Cass. nn. 23323/13, 19836/11), avente carattere di assolutezza, e non di impossibilità relativa, né tantomeno di mera difficoltà, in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Cass. 8216/13).

4. Da tali principi non si è discostato il giudice d’appello, che ha specificamente valorizzato, nello scrutinio di merito delle circostanze allegate dalla contribuente, la truffa perpetrata in suo danno, e segnatamente il fatto che costei non avesse in realtà conferito alcun mandato al precedente consulente, il quale "aveva falsamente attestato di aver definito l'avviso nonché la successiva cartella", ed aveva addirittura (come si riferisce anche in ricorso) "impugnato la cartella esattoriale apponendo la firma falsa della ricorrente".

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

4. Non ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, in quanto per l’amministrazione pubblica opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. S.U. n. 9338/14; conf. Cass. sez. IV-L, n. 1778/16 e VI-T n. 18893/16).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.600,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre rimb. forf.. Iva e Cp come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, co. 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pan a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.