Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 ottobre 2017, n. 23784

Tributi - Accertamento - Imposte accertate - Riscossione - Sanzioni

 

Fatti di causa

 

1. A seguito della notifica alla E. s.p.a. di due avvisi di accertamento per recupero a tassazione di maggiore IVA, IRES ed IRAP, con applicazione di sanzioni ed interessi, emessi dall'Agenzia delle entrate con riferimento agli anni di imposta 2002 e 2003, la società contribuente ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano provvedendo alla definizione delle sanzioni ai sensi dell'art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997, nonché al pagamento del 50% della imposte accertate a seguito di iscrizione a ruolo a titolo provvisorio ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973, quindi, a seguito di pronunce di rigetto dei ricorsi di primo grado, al pagamento dei due terzi delle imposte accertate, al netto di quanto già versato, ex 68 d.lgs. n. 546 del 1992, di cui alla cartella di pagamento oggetto di sgravio parziale relativamente alle sanzioni erroneamente iscritte a ruolo perché precedentemente definite ai sensi dell'art. 17 d.lgs. citato; infine, senza attendere l'iscrizione a ruolo e previo accordo con l'ufficio finanziario, provvedeva al pagamento diretto dell'importo residuo, maggiorato degli interessi e delle sanzioni IVA per complessivi € 267.312,30, corrispondente al 30% della maggiore imposta accertata e non versata entro il termine di sessanta giorni dalla notifica degli atti impositivi.

1.1. Successivamente, in data 21 luglio 2011, la società contribuente avanzava istanza all'amministrazione finanziaria con la quale chiedeva, in via principale, il rimborso dell'importo versato a titolo di sanzioni (per complessivi € 267.312,30) o, in subordine, il rimborso delle sanzioni versate in relazione agli importi pagati a titolo di IVA in pendenza di giudizio (pari ad € 178.208,20).

1.2. Il provvedimento dell'Agenzia delle entrate che accoglieva la richiesta avanzata dalla società contribuente in via subordinata, negando la restituzione della differenza (pari ad € 89.104,10), corrispondente alla sanzione dovuta in relazione all'IVA non iscritta a ruolo, in quanto oggetto di pagamento diretto, veniva impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che accoglieva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall'Ufficio dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che con la sentenza n. 6395 del 4 dicembre 2014 rigettava l'appello, sostenendo che nel caso di specie non si verte nella fattispecie disciplinata dall'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, bensì di versamento diretto eseguito dal contribuente in modo irrituale ma con il consenso dell'amministrazione finanziaria, che l'adozione di un procedimento irrituale non può comportare una sanzione aggiuntiva per esso non previsto e, infine, che l'ufficio, consentendo tale modalità di versamento, aveva conseguito il vantaggio di ottenere rapidamente la somma dovuta senza sopportare i costi di riscossione.

2. Avverso tale statuizione l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui replica la società contribuente con controricorso e ricorso incidentale affidato a nove motivi.

3. Il ricorso perviene da rinvio della sesta sezione di questa Corte disposto per novità della questione che esso pone.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, commi 1 e 2, d.lgs. n. 471 del 1997, in combinato disposto dall'art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, sostenendo che la CTR aveva erroneamente escluso l'applicabilità della sanzione prevista dal secondo comma dell'art. 13 d.lgs. citato all'ipotesi di pagamento diretto, e quindi senza previa iscrizione a ruolo, dell'imposta che era residuata all'esito dei versamenti frazionati effettuati dalla contribuente in pendenza di giudizio.

2. Premessa preliminarmente l'infondatezza dell'eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del motivo proposto dalla difesa erariale per vizio di autosufficienza e di specificità, in quanto, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso, nello stesso sono ben esattamente individuate le censure rivolte alla sentenza impugnata e vengono esaurientemente argomentate le ragioni della denunciata violazione di legge attribuita ai giudici di appello, essendo del tutto irrilevante che tali ragioni coincidano con quelle già mosse alla sentenza di primo grado nel ricorso in appello, non condivise dal giudice di secondo grado.

3. Deve, quindi, passarsi all'esame del motivo di ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate che impone il preliminare esame delle disposizioni normative in materia di riscossione provvisoria e frazionata delle imposte accertate.

4. Il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che disciplina la riscossione delle imposte sui redditi (art. 1), al comma 1 dell'art. 15 disponeva, nel testo applicabile ratione temporis, che de imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertata (frazione ridotta ad un terzo dal comma 2 quinquies dell'art. 7 del d.l. n. 70 del 2011, introdotto dalla legge di conversione n. 106 del 2011, con decorrenza dal periodo successivo al 13 luglio 2011, data di entrata in vigore della predetta legge).

4.1. La citata disposizione è applicabile anche all'imposta sul valore aggiunto in forza del d.lgs. n. 193 del 2001, art. 4, comma 3, che ha previsto che «L’articolo 15, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall'articolo 4 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, si applica all'imposta sul valore aggiunto con riferimento ai ruoli da rendere esecutivi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto», ovvero dal 9 giugno 2001.

4.2. Per l'ipotesi in cui il ricorrente avesse proposto ricorso dinanzi alle commissioni tributarie, la riscossione provvisoria degli «ammontari [...] accertati» ai fini delle imposte dirette era disciplinata dal secondo comma del predetto art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973 secondo gli esiti delle decisioni emesse nei vari gradi di giudizio.

La norma prevedeva, infatti, l'iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte «a) dopo la decisione della commissione tributaria di primo grado, fino alla concorrenza della metà [elevato a due terzi dall'art. 5, comma 7, d.l. n. 90 del 1990, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 165 del 1990], dell'imposta corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile deciso dalla commissione stessa; b) dopo la decisione della commissione tributaria di secondo grado, fino alla concorrenza dei due terzi [elevato a tre quarti, dal citato art. 5 d.l. 90 del 1990] dell'imposta corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile deciso da questa; c) dopo la decisione della commissione centrale o la sentenza della corte d'appello, per l'ammontare corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile da queste determinato».

4.3. Tale disposizione, abrogata dall'articolo 37, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, poneva un problema di compatibilità con le modalità di riscossione graduata introdotte dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 68 che prevede, «anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni» che «il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali» venga pagato secondo la seguente scansione: «a) [...] i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) [...] l'ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) [...] il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale» e, a seguito di modifica apportata dall'art. 9, comma 1, lettera ff), numero 1), del d.lgs. n. 156 del 2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016, «c-bis. [...] l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l'intero importo indicato nell'atto in caso di mancata riassunzione».

4.4. Il prospettato profilo di incompatibilità tra le citate disposizioni è stato superato da questa Corte cha al riguardo ha affermato che «la nuova disposizione dell’art. 68 non interviene sulla disciplina della riscossione graduata del tributo nella fase amministrativa regolata dall'art. 15, co. 1, del D.P.R. n. 602/1973, sicché quest'ultima disposizione non potrebbe dirsi in contrasto o incompatibile con la disposizione di cui all'art. 68 del D. Lgs. n. 546/1992, in quanto si tratta di norme che fanno riferimento ad ambiti diversi di disciplina della riscossione del tributo. Non è così, invece, per quanto concerne la disposizione di cui al co. 2 dell'art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, la quale - facendo riferimento allo stesso ambito di disciplina della riscossione del tributo sul quale interviene la nuova normativa dettata dall'art. 68 del D. Lgs. n. 546/1992 - si palesa in contrasto con quest'ultima disposizione e può ritenersi implicitamente abrogata ai sensi dell'art. 71, co. 2, del medesimo decreto, a norma del quale è inoltre abrogata ogni altra norma di legge non compatibile con le disposizioni del presente decreto» (Cass. n. 7339 del 2003; conf. Cass. n. 12791 del 2011 e n. 23321 del 2014).

5. Quanto all'IVA, la riscossione frazionata dell'imposta in ipotesi di proposizione del ricorso giurisdizionale contro l'accertamento era prevista dal secondo comma dell'art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, con modalità non dissimili da quanto previsto in materia di imposte dirette dal citato art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973. Tale disposizione è stata però abrogata, unitamente ai successivi terzo, quarto e quinto comma, dall'art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 193 del 2001, con decorrenza dal 9 giugno 2001 (data di entrata in vigore del predetto decreto), con la conseguenza che è venuto meno il contrasto che si registrava anche in materia di IVA tra l'art. 60, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 e l'art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992, peraltro risolvibile alla stregua del principio espresso da questa Corte nelle pronunce da ultimo citate.

6. Quanto, invece, alle sanzioni, ricordato che, ai sensi dell'art. 11, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973, l'iscrizione a ruolo comprende, oltre alle imposte e agli interessi, anche le sanzioni, il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 19, comma 1, prevede che «in caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dall'articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario» e, pertanto, deve ritenersi che la riscossione provvisoria delle sanzioni sia possibile solo dopo la sentenza di primo grado che respinge il ricorso, essendo consentita nel termine per proporre ricorso la sola definizione agevolata ex art. 17, secondo comma, d.lgs. n. 472 del 1997.

7. Ragioni di completezza espositiva inducono a ricordare che il disposto del comma 1 dell'art. 68 cit., che prevede che «anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato» secondo le scansioni di poi previste, «deve leggersi nel senso che il pagamento del tributo deve essere effettuato nelle forme e nei limiti di cui alle disposizioni dell'articolo citato in tutti i casi, ed "anche in deroga" alla disposizioni di leggi speciali concernenti i singoli tributi che prevedano forme di frazionamento diverse, per il caso di pendenza di giudizio tributario, da quelle previste dai commi successivi del medesimo art. 68, che regola appunto tale fattispecie» (Cass. n. 7831 del 2010; conf. n. 17904 del 2010). In buona sostanza, l'art. 68 cit. disciplina la riscossione frazionata del tributo controverso in relazione alla progressione dei diversi gradi di giudizio, trovando applicazione nella fase "post decisimi" e non in quella ''ante decisum" (così in Cass. n. 20669 del 2014), che resta invece sottoposta alle disposizioni speciali regolanti le modalità di riscossione proprie di ciascun tributo.

8. Orbene, dal quadro normativo sopra delineato discende che, a seguito della notifica di avviso di accertamento, il contribuente è tenuto a pagare:

- un mezzo (attualmente un terzo) di imposte ed interessi, ex art. 15, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 (dettato specificamente per le imposte sul reddito ed applicabile anche all'IVA ex art. 4, comma 3, d.lgs. n. 193 del 2001), dopo la notifica dell'avviso di accertamento ma entro 60 giorni, come espressamente previsto per l'IVA dall'art. 60, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972; ovvero l'intero, come previsto per l’ICI (ex art. 12 d.lgs. n. 504 del 1992), la TARSU (ex art. 72 d.lgs. n. 507 del 1993), l'imposta di pubblicità (art. 9, comma 5, stesso d.lgs. e 68 d.P.R. n. 43 del 1988), anche quando il contribuente abbia impugnato in sede giudiziaria l’avviso di accertamento (cfr., ex multis, Cass. n. 15473 del 2010; conf. n. 19015 del 2015);

- i due terzi di imposte (di qualsiasi natura siano) ed interessi, dopo la sentenza di rigetto della commissione tributaria provinciale, o quanto da questa stabilito (art. 68, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 546 del 1992), nonché i due terzi delle sanzioni irrogate con l'atto impugnato (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997);

- il residuo terzo di imposte, interessi e sanzioni dopo la sentenza di rigetto della commissione tributaria regionale, o quanto da questa stabilito.

In caso di omesso o ritardato pagamento delle frazioni sopra indicate, il contribuente è tenuto al pagamento della ulteriore sanzione («pari al trenta per cento di ogni importo non versato») prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, che si applica sia all'ipotesi in cui vi sia stata iscrizione a ruolo (comma 1), sia nell'ipotesi in cui ciò sia mancato (comma 2).

9. Per quanto riguarda le modalità di pagamento, deve osservarsi che:

- l'art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di <pagamento delle imposte accertate>, al comma 5 prevedeva che <i pagamenti previsti nel presente articolo devono essere fatti all'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto nei modi indicati nel quarto comma dell'art. 38>, ovvero mediante versamento diretto all'ufficio IVA in contanti o mediante assegni circolari non trasferibili o assegni bancari a copertura garantita;

- il citato comma 5 dell'art. 60 è stato abrogato dall'art. 37 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera f), d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, di riordino dell'intero sistema delle riscossioni delle imposte;

- con decorrenza dal 9 giugno 2001 (data di entrata in vigore del citato d.lgs. n. 193 del 2001) le somme - imposte, interessi e sanzioni amministrative - dovute in base agli avvisi di accertamento sono riscosse soltanto a mezzo ruolo, ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973, dettato in materia di imposte sul reddito, applicabile, per espressa previsione contenuta nell'art. 4 d.lgs. n. 193 del 2001, anche all'imposta sul valore aggiunto, con la medesima decorrenza (arg. da Cass. n. 9540 del 2011, n. 15030 e n. 25754 del 2014).

Va altresì precisato che l'attività di riscossione degli atti impositivi emessi a partire dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, è regolata dall'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle entrate devono contenere l'intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all 'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall'articolo 15 d.P.R. n. 602 del 1973 e che l'intimazione ad adempiere al pagamento è contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, con la conseguenza che non è più necessaria l'iscrizione a ruolo.

10. Così ricostruita la normativa di settore, va verificata la corretta applicazione della stessa al caso di specie al fine di verificare la fondatezza della tesi di parte ricorrente circa il mancato rispetto da parte della società contribuente degli obblighi di versamento delle imposte e la conseguente applicabilità alla medesima delle sanzioni per ritardato versamento.

11. Secondo quanto risulta dalla prospettazione di parte ricorrente (pag. 3 del ricorso), la società contribuente ha proposto ricorso giurisdizionale avverso gli avvisi di accertamento, ha definito le sanzioni ai sensi dell'art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997 ed ha altresì tempestivamente versato:

la metà delle imposte e degli interessi che l'Agenzia delle entrate ha iscritto a ruolo a titolo provvisorio, in pendenza del giudizio, ex art. 15 d.lgs. n. 602 del 1973;

- l'ulteriore importo, fino ai due terzi di quanto complessivamente risultante dagli avvisi di accertamento per maggiori imposte ed interessi, successivamente al rigetto dei ricorsi da parte della commissione tributaria provinciale, a seguito di nuova iscrizione a ruolo (ex art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992).

Ha, quindi, versato a mezzo F24 l'ulteriore importo (pari al residuo terzo) dovuto a saldo degli avvisi di accertamento, prima della definitività degli stessi conseguente al passaggio in giudicato, per mancata impugnazione, delle sentenze di primo grado (di rigetto degli originari ricorsi).

11.1. E' evidente, pertanto, che la riscossione è avvenuta secondo le disposizioni vigenti ratione temporis e senza alcuna omissione o ritardo, con l'ovvia conseguenza che, diversamente da quanto pretende di fare l'Agenzia ricorrente, non possono applicarsi alla società contribuente le sanzioni di cui all'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 per un insussistente ritardo nel pagamento del saldo di quanto dovuto all'esito del giudizio di primo grado e cioè della frazione di un terzo dell'intero che residuava dopo che la contribuente aveva effettuato il pagamento dei due terzi con le due precedenti iscrizioni a ruolo, ovvero quella ex art. 15 d.P.R. 602 del 1973 e quella successiva effettuata ai sensi dell'art. 68, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 546 del 1992. Infatti, anche per il pagamento dell'ultima tranche l'Agenzia delle entrate avrebbe dovuto procedere ad iscrizione ruolo una volta divenute definitive le sentenze di primo grado (per scadenza del termine per impugnarle) che avevano rigettato i ricorsi avverso gli atti impositivi impugnati, divenuti a loro volta definitivi. E ciò in quanto all'epoca, come si è detto sopra, era vigente il d.lgs. n. 193 del 2001 che prevedeva la riscossione delle imposte, degli interessi e delle sanzioni amministrative dovute in base agli avvisi di accertamento, soltanto a mezzo ruolo.

11.2. A ben vedere, la tesi sostenuta dall'Agenzia delle entrate è anche contraddittoria giacché, da un lato, esclude l'applicabilità della sanzione ex art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 agli importi pagati a seguito delle due iscrizioni a ruolo effettuate una a titolo provvisorio e l'altra in pendenza di giudizio, e, dall'altro, l'applica all'importo pagato prima della doverosa iscrizione a ruolo e, quindi, prima ancora che l'Agenzia delle entrate potesse pretenderne il pagamento. D'altro canto neppure è ipotizzabile, come sembra fare l'Agenzia ricorrente, che nella specie la sanzione amministrativa pecuniaria sarebbe applicabile in quanto il pagamento della frazione residua di quanto dovuto in base agli avvisi di accertamento sarebbe dovuta avvenire entro il termine di 60 giorni dalla notifica degli avvisi di accertamento, trattandosi di termine applicabile solo nell'ipotesi, diversa da quella in esame, in cui l'atto impositivo non sia impugnato dinanzi al giudice tributario, giacché in quest'ultimo caso il ricorrente è tenuto al pagamento delle somme secondo la graduazione prevista dall'art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992.

12. L'infondatezza del motivo di ricorso, che discende dalle considerazioni sopra svolte, comporta l'assorbimento dei motivi di ricorso incidentale proposti dalla società controricorrente con riferimento alla nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. (primo motivo), degli artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992 (secondo motivo) e 53 d.lgs. n. 546 del 1992 (terzo motivo), per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull'eccezione di inammissibilità del ricorso in appello proposto dall'Ufficio finanziario per mancata allegazione della ricevuta di spedizione dell'atto di impugnazione a mezzo raccomandata postale; con riferimento alla nullità della sentenza per la mancata rilevazione del giudicato interno formatosi in conseguenza dell'inammissibilità dell'appello dell'Ufficio per la mancata allegazione di quella ricevuta (quarto motivo), per <omessa motivazione sub specie di motivazione apparente> sull'eccezione di tardività dell'appello (quinto motivo), per mancata rilevazione del giudicato interno formatosi in conseguenza dell'inammissibilità dell'appello dell'Ufficio per tardività dello stesso (sesto motivo); nonché con riferimento alla nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull'inammissibilità dell'appello dell'Ufficio per difetto di specificità dei motivi, ex art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 (settimo motivo), per violazione degli artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, per omessa motivazione sull'eccezione di inammissibilità dell'appello per in comprensibilità dei motivi (ottavo motivo), nonché per mancata rilevazione del giudicato interno formatosi in conseguenza dell'inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi proposti dall'Ufficio (nono motivo).

13. Al rigetto del motivo di ricorso principale consegue la condanna dell'Agenzia ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

14. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il motivo di ricorso principale, assorbiti i motivi di ricorso incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.