Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 settembre 2017, n. 20863

Tributi - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Notificazione - A mezzo posta - Convivente del destinatario

 

Rilevato che:

Con sentenza in data 16 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l'appello proposto da A.S. avverso la sentenza n. 23777/21/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro la cartella di pagamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 2005-2006.

La CTR osservava in particolare che erano infondate le eccezioni, riproposte quali motivi di appello, di nullità della notifica degli avvisi di accertamento "presupposti" dell'atto esattivo impugnato, di nullità della cartella esattoriale oggetto della lite per carenza del suo contenuto motivazionale (calcolo dei crediti erariali posti in esecuzione) ed infine di decadenza dal potere impositivo/esattivo.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo tre motivi.

Resistono con controricorso l'Agenzia delle entrate ed Equitalia Servizi di Riscossione spa, quale incorporante di Equitalia Sud spa.

Considerato che:

Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- il ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione degli artt. 60, primo comma, lett. b) bis, d.P.R. 600/1973, 24 Cost., 6, legge 212/2000 nonché vizio motivazionale, poiché la CTR ha affermato il rituale perfezionamento della procedura notificatoria degli atti impositivi "presupposti" della cartella di pagamento impugnata, in particolare evidenziando, per un verso la mancata prova della spedizione della "raccomandata informativa" non essendo avvenuta la consegna/ricezione diretta di detti atti, appunto come specificamente previsto dalla prima disposizione legislativa evocata, per altro verso l'insussistenza della qualità di "familiare" della persona ricevente detti atti impositivi.

La censura è infondata.

Va anzitutto ribadito che «In tema di notificazione a mezzo del servizio postale, eseguita mediante consegna dell'atto a persona di famiglia che conviva, anche temporaneamente, con il destinatario, il rapporto di convivenza, almeno provvisorio, può essere presunto sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell'abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l'atto da notificare, onde non è sufficiente, per affermare la nullità della notifica, la mancata indicazione della qualità di convivente sull'avviso di ricevimento della raccomandata, il cui contenuto, in caso di spedizione diretta a mezzo piego raccomandato, ai sensi dell'art. 16, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è quello prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria e non già quello previsto dall'art. 139 cod. proc. civ.» (Sez. 5, Sentenza n. 15973 del 11/07/2014, Rv. 632118 - 01).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio di diritto, peraltro essendo in fatto ammesso dallo stesso ricorrente che la persona ricevente gli atti impositivi in questione era effettivamente la compagna convivente del figlio a sua volta pacificamente convivente del contribuente.

Peraltro risulta accertato in fatto, quindi non ulteriormente sindacabile in questa sede, che la previsione speciale di cui all'art. 60, primo comma, lett. b) bis, d.P.R. 600/1973 sia stata pienamente rispettata dal messo notificatore, il quale ha attestato, con validità probatoria fino a querela di falso, l'avvenuta spedizione della "raccomandata informativa" da questa disposizione legislativa prevista nel caso, come quello di specie, in cui l'atto notificando non sia stato consegnato direttamente al destinatario.

Va tuttavia sul punto precisato, in diritto, che tale disposizione prevede esclusivamente la spedizione di una «lettera raccomandata», non quindi di una raccomandata con avviso di ricevimento, sicché le prove valutate dal giudice tributario di appello ossia le attestazioni del messo notificatore correlative al punto di fatto de quo ne risultano pienamente adeguate.

Con il secondo mezzo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- il ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 3. legge 241/2000, 7, legge 212/2000 e vizio motivazionale, poiché la CTR ha escluso la sussistenza dell'eccepito "vizio proprio" della cartella esattoriale impugnata consistente nella mancata indicazione del criterio di calcolo dei crediti erariali esposti nella medesima.

La censura è infondata.

Vi è infatti da rilevare che, basandosi l'atto esattivo impugnato sulla rilevata rituale notificazione degli atti impositivi correlativi, la sua motivazione non può che essere riferita agli stessi, come del resto è pienamente legittimo (cfr. in senso analogo, Sez. 5, Sentenza n. 21177 del 08/10/2014, Rv. 632486 - 01), sicché dall'integrazione sostanziale di tale complesso di atti impositivi ed esattivi il contribuente ha potuto senz'altro esattamente apprendere i termini, anche quantitativi, della pretesa erariale e quindi è stato messo in grado di esercitare il suo diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Esprimendosi la sentenza impugnata in questo stesso senso è dunque corretta anche su tale punto.

Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- il ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione dell'art. 25, d.P.R. 602/1973 e di vizio motivazionale, poiché la Commissione tributaria regionale ha respinto la sua eccezione di decadenza dell'agenzia fiscale dal potere impositivo, peraltro fraintendendola ossia riferendola alla fase della riscossione e quindi ai termini decadenziali per l'emissione della cartella esattoriale, invece che alla fase dell'accertamento e pertanto agli analoghi termini legalmente fissati per la notifica degli atti impositivi "presupposti".

La censura è infondata.

Ancorché riferibile l'eccezione de qua non alla cartella di pagamento impugnata, bensì agli avvisi di accertamento, comunque la stessa si palesa preclusa dalla mancata impugnazione degli stessi, nonostante la loro rituale notificazione rilevatasi nei giudizi di merito e, per i profili di competenza, anche in questa sede di legittimità.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000 per ciascuna parte controricorrente oltre spese prenotate a debito per l’Agenzia delle entrate e oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge per l’Agente della riscossione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.