Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LOMBARDIA - Sentenza 07 maggio 2018, n. 2050

Associazione Sportiva Dilettantistica - Riconoscimento del CONI - Accertamento dei presupposti

 

Motivazione

 

Con sentenza del 23 maggio 2017 la Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva, a spese compensate, il ricorso proposto da L.P. società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata avverso l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Monza e Brianza dopo la consegna di processo verbale di constatazione redatto dall'Ufficio controlli in merito all’imposta sul valore aggiunto per l’anno 2011 e con cui si addebitava, computati i precedenti versamenti, l’importo di euro 91.648,00 oltre accessori per un totale di euro 240.729,13 sulla premessa di un ravvisato esercizio di attività di natura esclusivamente commerciale e lucrativa e comportante perciò, in luogo della presunzione ex lege di non commercialità di cui all’articolo 148 comma terzo del DPR n. 917/1986, l’applicazione del regime ordinario di tassazione degli enti commerciali ai sensi dell’ articolo 73 primo comma, lettera b) - recte: lettera a) -, con decadenza dal regime previsto dalla legge n. 398/1991 e l’effetto derivantene del recupero a tassazione ai fini delle imposte dirette ed IVA dei vari imponibili implicati, ritenuti integrare redditi d’impresa.

Di contro la Commissione adita, affermando essere "del tutto carente" la motivazione dell’atto impugnato in relazione alla disconosciuta appartenenza della ricorrente alla categoria delle società sportive dilettantistiche, ed in particolare imputando all'Ufficio di non avere provato lo svolgimento da parte della ricorrente di attività diverse da quelle cui si accompagna tale status, giudicava ininfluente una mancata aderenza alle clausole statutarie ed alla concorrente normativa codicistica riscontrata in talune attività gestionali/amministrative, quali soprattutto (ma non solo) la cessione parziale effettuatasi dai tre familiari e soci amministratori delle loro quote ad un nuovo socio, e I’ omessa convocazione dell’organo assembleare per deliberare in materia.

Contro la pronunciata sentenza e per chiederne la riforma ha proposto appello il 21 luglio 2017 l’Agenzia delle entrate sunnominata, che a mezzo di tre motivi di gravame, ed anzitutto confutando il difetto di motivazione nell’avviso circa le omissioni e irregolarità Imputatene alla contribuente siccome ostative al godimento della disciplina di favore prevista per le società sportive dilettantistiche, ribadisce in questa sede la legittimità della revoca di conseguenza infine disposta mediante l’emesso avviso e le pregresse ragioni fondative del suo operato.

Resiste nel grado con controdeduzioni la società appellata.

Riferito quanto sopra, sarà preliminarmente opportuno rilevare come nell’avviso di accertamento in dibattito ricorresse una definizione della contribuente quale associazione, dal che, a parte il contrasto nominalistico con la veste invece possedutane di società di capitali, appare discendere il riferimento indebito talora colà contenuto, e di cui più oltre, alla disciplina non sempre coincidente che è invece propria delle associazioni sportive. Dato atto di ciò, l’Ufficio impostore ha dunque ravvisato nell’attività esercitata dalla società un esclusivo carattere commerciale, ovvero mirato ad uno scopo di lucro, per cui veniva e viene ad essere preclusa la fruizione delle particolari agevolazioni tributarie riservate alla categoria delle associazioni sportive dilettantistiche e, parimenti, delle società aventi eguale qualificazione; e già i redattori del processo verbale di contestazione avevano del resto rimarcato come dagli elementi storici emersi nell'attività in concreto svolta dalla società l’attività istituzionale e la struttura - in ultima analisi pur sempre associativa - che l’avrebbero dovuta denotare risultassero di fatto permanere "solo sulla carta dell’atto costitutivo e dello statuto".

Comunque il primo e complesso motivo di appello dell’Agenzia è in suo inizio costituito dalla censura sopra accennata concernente l’addebito ad essa rivolto di una mancata motivazione - tale è il giudizio, per vero sommario, espresso dall’anteriore Commissione - dell’avviso di accertamento, atteso per contro che ne veniva a costituire presupposto e parte integrante l’atto contenente il processo verbale di constatazione consegnato all'interessata in data 3 dicembre 2014: atto in cui gli incaricati della verifica fiscale avevano con diffusa analiticità descritto gli elementi e gli esiti degli eseguiti controlli, formali (sulla contabilità e questi senza inerenti rilievi), ma altresì di natura sostanziale.

Di seguito il motivo in oggetto illustra in buona sostanza e già compendia il tenore dei due ulteriori, dei quali si procederà qui ad una unitaria disamina alla stregua delle argomentazioni volta a volta in questo grado riproposte dall'Ufficio appellante - peraltro non tutte quelle avanzate nel precedente giudizio -, e subito però dovendosi negare ogni rilevanza all’essersi l’attività della società originata dall’affitto del ramo d’azienda di una ditta individuale, con la prosecuzione della relativa attività e l’aggiunta, a potenziarla, di macchinari ed attrezzature di pesistica, non essendo giustificato inferire dalla mera operatività pregressa di tale per così dire ordinaria impresa individuale un identico perseguimento dell' eminente attività commerciale esercitatane.

L’Ufficio contesta poi la violazione delle clausole dello statuto della società in cui rispettivamente si stabiliva (all'articolo 7) l’intrasferibilità della quota se non mortis causa e si contemplava (all’articolo 8) l’ammissione di nuovi soci alla condizione esclusiva di una concomitante deliberazione di aumento di capitale, dell’ingresso cionondimeno verificatosi nella compagine sociale di un quarto socio mediante invece I’ acquisizione di percentuali delle quote possedute dai suoi tre soci, e verso un pagamento complessivo di euro 50.000,00 con il segnalato profitto insortone di un sovrapprezzo assai rilevante, in cui si configura essersi realizzata una distribuzione indiretta di utili maturati in esercizi anteriori, e però interdetta dall’articolo 148 primo comma, lettera a) del DPR n. 917/1986 - disposizione che nella fattispecie trova astratta applicazione sulla base del rinvio ad essa disposto dall’articolo 90 primo comma della legge 27 dicembre 2002, n. 289, onde "le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro".

In un similare ordine di contestazioni si era altresì sottolineata e si torna a ribadire l’assenza nella gestione delle previste deliberazioni di legge circa questioni dell’amministrazione societaria pur necessitanti per loro rilevanza di formali pubblicità, come in relazione ad un occorso finanziamento soci per euro 104.000,00, ad una richiesta di finanziamento bancario a lungo termine e alla conclusione di un contratto di locazione per l’ampliamento della sede, avvenimenti di pur saliente rilievo nel governo societario e per contro adottatesi in un contesto di assoluta informalità, senza che neppure ne fosse lasciata indicazione nei libri sociali, in tutto questo assumendosi in aggiunta consumata una trasgressione del principi sostanziali di interna democraticità e trasparenza dell’attività sociale.

E più essenzialmente si imputa pertanto alla società di avere perseguito un indirizzo di fatto inteso ad un obiettivo esclusivamente di lucro, anche per avere nel corso dell’anno 2011 operato in maniera complessiva con iniziative tipiche di una impresa che gestisce impianti sportivi, astenendosi invece dall’avere ad un tempo attuato attività di carattere promozionale per lo sviluppo e la diffusione dell’attività sportiva dilettantistica e dal partecipare a manifestazioni sportive, come era tenuta a fare in adempimento di obblighi istituzionali/statutari, e dando così una piena attuazione alle finalità statutarie rimaste (solo) "formalmente presenti nella gestione delle attività sportive", onde sarebbe "incontrovertibile l’assenza di ogni presupposto minimo atto a qualificare non lucrativa l’attività svolta".

La valutazione in conclusione trattasi dalle varie addebitate anomalie, nel raffronto con le regole organizzative e le prescrizioni normative, è stata quella del non potersi perciò la società qualificare sportiva dilettantistica, giusta l’attestazione di cui al certificato rilasciato dal CONI nel giugno 2009, che aveva inserito la società L.P. nel registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche in qualità di affiliata alla federazione italiana pesistica e cultura fisica (FIPCF).

Le argomentate censure suddette si ravvisano in effetti idonee, nei termini di seguito precisati, a fondare il gravame proposto, e ad iniziare dalla occorsa vicenda della parziale cessione delle quote di pertinenza dei tre soci originari a chi attraverso un tale espediente acquisiva la qualità di (quarto) socio, ancorché in proposito e in via generale sia senz’altro fuor di luogo il richiamo al principio di democraticità (e di uguaglianza dei diritti), bensì contemplato per l’ordinamento interno delle associazioni dall’articolo 90, comma 18, lettera e) della legge n. 289/2002, ma viceversa escluso dalla congiunta disposizione eccettuativa nei confronti delle società sportive dilettantistiche, ’’per le quali si applicano le disposizioni del codice civile".

Rimane però, elemento giuridico non superabile ai fini in discussione, il dato pattizio stabilente che il trasferimento delle quote non era consentito salvo mortis causa, e la univoca portata vincolante di tale regola, chiaramente tassativa, non era pertanto suscettiva di essere elusa attraverso quella cessione pur solo frazionale delle quote.

E, se nella antecedente lettera d) della legge ultima citatasi stabilisce che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forma indiretta, benché l’attuata cessione in discorso non trovi utile collocazione fra le ipotesi di distribuzione indiretta di utili articolate nell’articolo 10 sesto comma del D.Lgs. n. 460/1997, per altro verso, tuttavia, il ben cospicuo sovrapprezzo da quelli incassato a fronte del valore nominale della quota di euro 3.500,00 pone in obiettivo risalto che la società sportiva era divenuta studiata occasione - se non una sorta di schermo - di finalità lucrative, restando inconferente che il profitto pecuniario riveniente dalla cessione non fosse in nessuna parte costituito da risorse qualsivoglia proprie della società nella circostanza ripartitesi fra i tre soci, dal momento che la provvista della intercorsa negoziazione proveniva direttamente da una fonte del tutto esterna all’ente.

Non è infatti refutabile che, se all'ampliamento della sfera dei partecipanti alla società si fosse a differenza giunti, in conformità al precetto della previsione statutaria, attraverso un aumento del capitale sociale, si sarebbe in correlazione creato per essa un ragguardevole autofinanziamento, funzionale alla sua specifica natura, in luogo di utilizzarne il valore intrinseco indirizzando le potenzialità implicite possedute ad esclusivo vantaggio economico personale, con un simmetrico depauperamento sostanziale delle stesse.

Che se, inoltre, vicende significative della gestione societaria non si erano svolte, in osservanza delle modalità dettate dalla disciplina codicistica e secondo le clausole statutarie, al di fuori della sede allo scopo deputata, e quindi con previa convocazione dei soci e procedendo anche alla rituale documentazione delle delibere in merito adottate, dette circostanze storiche, anziché doversi qui valutare in dimensione riduttiva come trascurabili irregolarità di carattere formale, comprovano piuttosto la tendenziale trascuranza delle disposizioni che con tipicità non derogabile presiedevano alla vicende in discorso, ponendo in luce la determinazione posseduta dai soci di avvalersi della peculiare forma societaria per scopi non coerenti al suo modello legale.

Né a giustificare questa necessitata deduzione giova richiamarsi alla ristrettissima base sociale della società ed ai vincoli familiari che intercorrevano fra i soci cedenti, e pretendere di spiegare che per dette ragioni quelli decidevano ed agivano all'unanimità, poiché l’esistenza di un ente societario non poteva allora ridursi ad una sovrastruttura giuridica esteriore, in buona sostanza facendosi astrazione, secondo discrezionali contingenze e subiettive opportunità, dall’inscindibile e costitutivo suo regime legale: manifestamente indisponibile e sottratto ad una prassi applicativa assai semplificante, di tipo "familiare".

E ad avvalorare i condivisibili rilievi sulla devianza del governo impresso alla società sportiva dilettantistica rispetto a quanto avrebbe in realtà comportato la denominazione godutane v’è per di più da rimarcare che difettano risultanze circa una effettuatasi promozione dell’attività sportiva dilettantistica in svariate modalità agonistica e ricreative, e della partecipazione a manifestazioni sportive, quali con numerose altre andavano a integrare l’oggetto sociale, risultanze di cui in ogni caso non era in realtà compito dell'Ufficio la possibile ricerca, e di cui viceversa l’interessata - soggetto onerato della prova - era agevolmente in grado far constare la sussistenza, per trattarsi con evidenza di (eventuali) comportamenti indiscutibilmente suoi propri.

E, se da un lato è bensì vero che l’enunciazione delle attività articolata nello statuto avviene ad usuale titolo indicativo/semplificativo, senza una condizionante valenza connessa all’espletamento obbligatorio di ciascuna di quelle, d’altro canto l’emerso e appariscente difetto assoluto delle attività medesime di certo non corrobora la effettuale rispondenza della società agli scopi istituzionali assegnatile, e che sono stati perciò messi in discussione dall’Amministrazione finanziaria.

La quale, come in precedenza anticipato, ha quindi ed in conclusione disconosciuto la utilità, nell’ambito tributario e ai suoi fini elettivi rilevanti in causa, della qualificazione attribuita alla società dall’attestato rilasciato alla società dal CONI e della avvenutane inclusione nello speciale registro in forza del vaglio rimesso al Comitato medesimo, che - si assume - sarebbe perciò l’unico soggetto che poteva e può sindacare la reale conciliabilità delle attività operative e gestionali della società con la categoria nominale di appartenenza.

Tale ultimo argomento difensivo si rivela privo di pregio, perché, ancorché resti devoluto al Comitato olimpico nazionale il provvedere al riconoscimento della natura sportiva dilettantistica della società, detta classificazione a ben vedere rappresenta solo la premessa affinché l’Amministrazione finanziaria possa poi verificare, e in compiuta autonomia, la positiva ricorrenza dei presupposti e delle condizioni perché quella abbia in concreto ad usufruire dei benefici inerenti, non potendo questi di per sé tradursi, in virtù del preteso titolo insito nella classificazione summenzionata, in un privilegio di aprioristica esenzione da ogni pertinente verifica sostanziale.

E, mentre le considerazioni che si sono venute esponendo sono assorbenti rispetto ad ulteriori motivi dell’ iniziale opposizione all’avviso qui ripropostisi sub 5.1, 5.2 e 5.7, essendo per il resto prospettati errori nel calcolo dell’ esercitata imposizione connotati da sostanziale genericità (non indicandosi dati alternativi utili), si ritiene in conclusione fondato il sortito risultato finale della revoca disposta dall’Agenzia dei benefici contemplati dall’articolo 148 del menzionato DPR n. 917, con il conseguenziale rigetto, in riforma della sentenza appellata, dell’opposizione proposta dalla società avverso l’avviso di accertamento di cui è causa.

Quanto alla regolazione delle spese del giudizio l’appellata che è soccombente, e ferma tuttavia la relativa compensazione statuitasi nell’ antecedente grado, dovrà rifondere all’Agenzia quelle della presente istanza e che vengono liquidate nella misura di euro 7.500,00.

 

P.Q.M.

 

In parziale riforma della sentenza appellata respinge l’originario ricorso della contribuente, e la condanna al pagamento delle spese processuali del grado, liquidate in euro 7.500,00.