Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE CALABRIA - Sentenza 08 maggio 2018, n. 934

Tributi - Accertamento - Avviso di liquidazione - Art. 37 bis D.P.R. 600/73

 

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso in appello la T.E. s.r.l. impugnava la sentenza n. 2156/04/2014 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, depositata in data 20/10/2014, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente. Nello specifico, la Commissione aveva ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione n. 10/1T/006915.

L’odierno appellante chiedeva, quindi, la riforma della suddetta sentenza, lamentando la nullità dell’avviso di liquidazione per mancanza delle garanzie procedurali di cui all’art. 37 bis D.P.R. 600/73, nonché l’errata applicazione dell’imposta per erronea interpretazione da parte dell'Ufficio della intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Catanzaro chiedendo il rigetto dell’appello e la condanna del ricorrente alle spese di entrambi i gradi del giudizio.

All’udienza del 7/7/2016 la Commissione, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, riservava la decisone.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è meritevole di accoglimento.

Con il primo motivo di appello la società T.E. s.r.l. lamenta che gli avvisi di liquidazione sarebbero stati formulati sulla base della norma antielusiva generale contenuta nell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973 e che sarebbero nulli, perché non adottati in base al procedimento previsto da tale ultima norma.

La censura è fondata.

Sul punto occorre specificare che la Corte di Cassazione ritiene vigente, nel nostro ordinamento, una clausola generale antielusiva non scritta, desunta dai principi costituzionali di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (Cassazione Civile, 21 aprile 2008, n. 10257; Cassazione Civile, 17 ottobre 2008, n. 25374).

L’emissione di un avviso di accertamento che assuma come sua ragione giuridica il principio dell’abuso del diritto deve, però, essere preceduta, a pena di nullità, da un contraddittorio tra l’Amministrazione e il contribuente e lo stesso avviso deve contenere, sempre a pena di nullità, una cd. motivazione rafforzata, cioè la motivazione delle ragioni per cui l’Ufficio non ritiene di accogliere le argomentazioni del contribuente.

Se così non fosse, sarebbe violato il comma 4 dell’art. 37-bis, a norma del quale "L'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2".

Sarebbe, altresì, violato il successivo comma 5, secondo cui "fermo restando quanto disposto dall’articolo 42, l’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2".

I citati commi 4 e 5 dell’art. 37-bis non subiscono, infatti alcuna limitazione e sono applicabili a tutti gli avvisi di accertamento fondati sul principio dell’abuso del diritto, cioè a tutti gli avvisi antielusivi.

Le garanzie procedurali richiamate devono essere applicate sempre, anche quando la pretesa dell'Ufficio non riguardi una delle operazioni indicate nel terzo comma dell’art. 37-bis. Ciò vale per le imposte dirette, ma si estende anche alle altre imposte.

Ragionare diversamente comporterebbe una palese violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza, non essendo costituzionalmente legittimo che le ipotesi di accertamento basate sul principio generale dell’abuso del diritto prevedano un livello di garanzia per il contribuente inferiore rispetto a quelle basate sul terzo comma dell’art. 37-bis. Un sistema di regole che tratta diversamente fattispecie ugualmente elusive sarebbe incostituzionale.

In questo senso è orientata anche la giurisprudenza di merito, che si è pronunciata sul tema.

La Commissione tributaria provinciale di Genova ha statuito che "l'abuso del diritto rappresenta un principio antielusivo di carattere generale che deve seguire le garanzie procedurali contenute nell’art. 37bis." (Comm. trib. prov. di Genova, 24 gennaio 2011, n. 2/1/11), ed ancora la Commissione tributaria provinciale di Milano, in tema di imposta di registro, ha dichiarato la nullità di un avviso di liquidazione antielusivo con la seguente motivazione: "le garanzia procedimentali rafforzate introdotte dall’art. 37- bis devono applicarsi ad ogni caso di elusione fiscale, anche se contestata sulla base del principio generale dell’abuso del diritto ovvero dell’art. 53 Cost. od, ancora, delle norme speciali applicabili in funzione antielusiva, come l'art. 20 del TU sull’imposta di registro. Ragionare diversamente e non ritenere applicabili dette garanzia procedimentali determinerebbe una palese violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza, non essendo costituzionalmente legittimo trattare diversamente fattispecie ugualmente elusive" (Comm. trib. prov. di Milano, 21 febbraio 2011, n. 54).

L’elusione fiscale rende, quindi, inopponibili all’Amministrazione Finanziaria gli atti ed i fatti privi di valide ragioni economiche che permettono un indebito risparmio d'imposta. Questi principi vanno ricondotti nella struttura dell’imposta di registro. Per cui l'Amministrazione Finanziaria per poter liquidare la maggiore imposta secondo ¡ dettami della disposizione antielusiva dovrà disconoscere gli effetti giuridici di uno o più atti portati per la registrazione ed individuare un atto od un contratto verbale, registrato o da registrare in termine fisso, sul quale applicare il tributo.

Inoltre, la Corte costituzionale con sentenza n. 132/2015 ha confermato la piena validità della previsione sul contraddittorio endoprocedimentale per le ipotesi di abuso del diritto ricomprese nell’allora vigente testo dell’art. 37-bis, D.P.R. 600/1973.

Sul punto, la Consulta ha così argomentato: "la nullità dell’avviso di accertamento per inosservanza del termine dilatorio prescritto dalla norma denunciata è la conseguenza (...) di un vizio del procedimento, consistente nel fatto di non essere stato messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge a garanzia della sua facoltà di partecipare al procedimento stesso presentando osservazioni e chiarimenti. (...) La sanzione della nullità dell’atto conclusivo del procedimento assunto in violazione del termine stesso trova (...) ragione in una divergenza dal modello normativo che, lungi dall'essere qualificabile come meramente formale o innocua, o come di lieve entità, è invece di particolare gravità, in considerazione della funzione di tutela dei diritti del contribuente della previsione presidiata dalla sanzione della nullità, e del fatto che la violazione del termine da essa previsto a garanzia dell’effettività del contraddittorio procedimentale impedisce il pieno svolgersi di tale funzione. La sanzione prevista dalla norma censurata non è dunque posta a presidio di un mero requisito di forma del procedimento, estraneo alla sostanza del contraddittorio, (...) ma costituisce invece strumento efficace ed adeguato di garanzia dell'effettività del contraddittorio stesso, eliminando in radice l’avviso di accertamento emanato prematuramente’’.

Tale pronuncia ha confermato, quindi, il principio generale dell'obbligatorietà del contraddittorio procedimentale: all’interno di un rapporto improntato a lealtà e chiarezza tra Amministrazione e contribuente, occorre consentire la soddisfazione dei diritti di difesa del privato e del dovere al buon andamento della Autorità per il tramite del contraddittorio procedimentale preventivo.

Pertanto, l’Amministrazione Finanziaria che intenda contestare fattispecie elusive, anche se non riconducibili alle ipotesi contemplate dall’art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, è tenuta, a pena di nullità dell’atto impositivo, a richiedere chiarimenti al contribuente e a osservare il termine dilatorio di sessanta giorni, prima di emettere l’avviso di accertamento, il quale dovrà essere specificamente motivato anche con riguardo alle osservazioni, ai chiarimenti e alle giustificazioni, eventualmente forniti dal contribuente (Cass. Civ., 31 gennaio 2017, n. 2439; Cass. Civ., V Sez., 14 gennaio 2015 n. 406; Cass. Civ., 5 dicembre 2014 n. 25759).

In conclusione, alla luce di quanto fin qui esposto, deve essere dichiarata la nullità dell’avviso di liquidazione n. 10/1T/006915, poiché emesso in assenza delle garanzie procedurali di cui all’art. 37 bis del D.p.r. 600/1973, circostanza tra l’altro, non contestata dall’Agenzia delle Entrate.

Gli ulteriori motivi di gravame, restano assorbiti dall’accoglimento del motivo precedentemente esaminato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate applicando, per le diverse fasi (studio, introduttiva, trattazione e decisionale) i minimi dei parametri di cui al D.M. 55/2014.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente decidendo sul ricorso in appello proposto dalla T.E. s.r.l. avverso la sentenza n. 2156/04/2014 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, depositata in data 20/10/2014, la Commissione così provvede:

- accoglie l’appello e, per l’effetto, annulla l’atto tributario impugnato;

- condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 6.800,00 per il primo grado ed € 8.000,00 per il secondo grado, oltre accessori di legge se dovuti.