Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 giugno 2016, n. 13384

Accertamento ai fini IRPEF - Reddito di partecipazione alla srl - Verbale assembleare in cui appariva il socio

 

Svolgimento del processo

 

A. C. propone ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle entrate, ha ritenuto fondata la pretesa dell'avviso di accertamento, ai fini dell'IRPEF per l'anno 1981, del suo reddito di partecipazione alla srl Industrie R. B., ritenendo in proposito attendibile il verbale assembleare, prodotto in fotocopia, nel quale il contribuente appariva come socio, e ciò in quanto tale scrittura privata non era stata disconosciuta ai sensi dell'art. 214 cod, proc. civ., né impugnata con querela di falso, sicché faceva piena prova, in base all'art. 2702 cod. civ., della provenienza delle dichiarazioni da chi l'aveva sottoscritta, e quindi da parte dello stesso contribuente. Ciò provava la qualità di socio del C..

Il Ministero dell'economia e delle finanze resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Va anzitutto respinta l'eccezione di inammissibilità del controricorso perché privo di due delle sei pagine di cui sembra constare, in quanto esso contiene la sommaria esposizione della vicenda processuale e, limitatamente al primo motivo, un riferimento alle ragioni per le quali le doglianze addotte a sostegno del ricorso sono da disattendere.

Col primo motivo del ricorso, denunciando "violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 cod. civ., nonché 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia", il contribuente censura la decisione per aver ritenuto assolto dall'Ufficio delle entrate di B. l'onere della prova su di esso gravante riguardo alla dimostrazione in capo alla ricorrente della qualità di socio dell'Industria R. B. srl attraverso la mera produzione di una copia fotostatica di un verbale di assemblea della società privo di qualsiasi garanzia di autenticità e dì veridicità e, peraltro, disconosciuto in maniera chiara, circostanziata ed esplicita dalla parte contro la quale è stata prodotta con la presentazione di una denuncia penale attestante la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha infatti chiarito come "l'art. 2719 cod. civ. (che esige l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche) è applicabile tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell'autenticità dì scrittura o di sottoscrizione. Nel silenzio della norma citata in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti dettano avvenire, è da ritenere applicabile ad entrambi la disciplina di cui agli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la duplice conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si avrà per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosca in modo formale e, quindi, specifico e non equivoco, alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, e che il disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche "aliunde" (Cass. n. 4476 del 2009); e sì è altresì affermato che "il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all'originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, comma secondo, cod. proc. civ., perché mentre quest'ultimo, in mancanza di richiesta dì verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, tuttavia, non vincola il giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l'efficacia rappresentativa" (Cass. n. 4395 del 2004).

Nella specie, corno si legge nello svolgimento del processo della sentenza di appello, impugnando la cartella di pagamento il contribuente aveva negato di "essere mai stato socio della srl Industria R. B., essendo il verbale assembleare del 31 dicembre 1980, in cui egli appariva come socio e vieppiù sottoscrittore del verbale stesso, falso, tanto che era stata presentata presso la pretura di B. denuncia penale contro ignoti". E l'amministrazione finanziaria si costituiva con controdeduzioni, "allegando il precitato verbale in copia fotostatica".

Pertanto, già con il ricorso introduttivo il contribuente aveva contestato la corrispondenza del verbale dell'assemblea della Industria R., verosimilmente prodotto nella fase amministrativa dall'ufficio in copia non autenticata, ad un originale di verbale assembleare nel quale egli non risultava socio della srl Industria R. B.; analoga copia fotostatica del "precitato verbale assembleare" era quindi prodotta dall'amministrazione finanziaria all'atto della costituzione in primo grado.

Incorre quindi nell'errore ad essa addebitato la Commissione regionale nell'affermare - sulla premessa che "le copie fotostatiche formano piena prova, ai sensi dell'art. 2712 cod. civ., dei fatti rappresentati se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità al suo originale" - che "nella specie nessun disconoscimento in tal senso vi è stato da parte del C., il quale ha formulato altra e diversa argomentazione contro l'attendibilità di tale documento: ha sostenuto, infatti, che lo stesso, nella sua materialità, fosse un falso ed all'uopo ha depositato la denuncia presentata in sede penale. Ma neanche ciò ha rilevanza ai fini del decidere: detto verbale, infatti, costituendo una scrittura privata, esibita in giudizio dall'amministrazione finanziaria e non disconosciuta, ai sensi dell'art. 214 c.p.c., né impugnata con querela di falso ex art. 221 c.p.c. faceva piena prova, in base all'art. 2702 cc della provenienza delle dichiarazioni da chi l'aveva sottoscritta e quindi da parte del C. medesimo. In mancanza quindi di un disconoscimento e di una querela di falso ex art. 221 c.p.c., non hanno efficacia alcuna le contestazioni...".

Ed incorre in errore il giudice d’appello nell'affermare che "il verbale in oggetto prova la qualità di socio di esso C. e quindi è attribuibile a costui, in assenza di altre contestazioni in merito, il reddito da partecipazioni alla Industria R. B.".

Con il secondo motivo, denunciando "violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 cod. civ., nonché 2697 cod. civ. e 214 ss., 221 cod. proc. civ., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia", censura la Commissione tributaria regionale per aver ritenuto un documento proveniente da terzi estranei alla controversia giudiziaria soggetto alla disciplina di cui agli artt. 2702 c.c. e 214 ss. c.p.c., quando in realtà non solo colui contro il quale è prodotto non ha l'onere di disconoscerlo, ma anche tale documento non potrebbe mi assumere un'efficacia privilegiata stabilita dalla norma in commento".

Il motivo è infondato, ove si consideri che "nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio" (Cass. n. 6946 del 2015); nel processo tributario, infatti, "fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall'art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale - con il valore probatorio "proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione" (cfr. Corte cost., sent. n. 18 del 2000) - va riconosciuto non solo all'Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente - con il medesimo valore probatorio -, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo core riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l'effettività del diritto di difesa: in applicazione del principio, la s.c. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto utilizzabili, su richiesta del contribuente, dichiarazioni testimoniali e una relazione di consulenza tecnica, formatisi nell'ambito di un procedimento penale" (Cass. n. 11785 del 2010, n. 8369 del 2013).

A chiusura del terzo motivo, con il quale denuncia "mancata applicazione del combinato disposto dell'art. 41 d.P.R. 26.10.1972, n. 636, e dell'art. 64, comma 1, del d.lgs. 31.21.1992, n. 546 (anche in riferimento al contrasto di giudicati insorto)", il contribuente chiede se "il contrasto di giudicati esistente nella fattispecie in esame tra le sentenze tributarie emesse nei confronti della società (di annullamento della pretesa tributaria) e quelle rese nei confronti del soggetto falsamente ritenuto socio della stessa (di conferma dell'imposizione tributaria) sia inammissibile nonostante l'unicità del rapporto tributario sostanziale ovverosia violi palesemente il principio fondamentale in materia tributaria di unitarietà dell'accertamento che fa si che l'accertamento del reddito sociale e l'accertamento dei singoli soci siano in evidente rapporto di reciproca triplicazione, non potendosi accertare il secondo se non accertando il pruno che, per tale motivo, condiziona l'accertamento del secondo".

Il motivo è inammissibile per l'inidoneità del quesito di diritto che lo correda, il quale è generico e privo di riferimenti alla fattispecie concreta. Non fornisce gli elementi relativi al giudicato che si sarebbe formato nel caso in esame, ed alle caratteristiche del contrasto di giudicati che si abombra. Tale contrasto di giudicati, per il quale si richiama nella rubrica del motivo la normativa in materia di revocazione dei decreti sul contenzioso tributario succedutesi nel tempo, riguarderebbe poi, sembra di comprendere, giudizi con parti diverse. Né appare pertinente il riferimento all'unicità del rapporto tributario sostanziale, nozione propria dell'accertamento per trasparenza della società di persone e dei soci della stessa.

Il primo motivo del ricorso va pertanto accolto, mentre il secondo nocivo va rigettato ed il terzo va dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Puglia.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo motivo e dichiara inammissibile il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Puglia.