Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 agosto 2016, n. 16969

Tributi - Reddito d’impresa - Determinazione - Costi deducibili - Imputazione temporale - Spese legali - Deducibilità solo con l’esaurimento o la cessazione dell’incarico - Ricavi imponibili - Interessi attivi su deposito cauzionale del contratto di locazione - Maturazione - Diritto inderogabile

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti di E. s.r.l. (successivamente incorporata per fusione in E. s.p.a.) venne emesso avviso di accertamento per maggiori imposte relativamente all'anno 2002. Il ricorso della contribuente fu accolto dalla CTP limitatamente a una serie di rilievi. L'appello proposto dall'Ufficio venne rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna sulla base della seguente motivazione con riferimento a ciascuno dei rilievi in questione.

Rilievo n. 2 (costi di competenza e non inerenti pari a €30.966,60): le fatture, concernenti opere di ristrutturazione di fabbricato effettuate nell'anno 2001, erano pervenute nel 2002, dopo la chiusura del bilancio, sicché correttamente la società le aveva contabilizzate in quell'anno, avendo avuto notizia solo allora dell'effettivo ammontare del costo e non essendo in possesso prima di quell'anno di alcun preventivo in proposito. Rilievo n. 4 (costi non inerenti perché non documentati pari a € 992,91): con riferimento a quattro fatture intestate a E. s.r.l. e concernenti merci consegnate presso la sede legale della predetta società in via Archimede, laddove destinataria delle merci era E. s.r.l., corretta è la decisione della CTP perché irrilevante è la consegna dei beni presso la sede operativa anziché presso quella legale. Rilievo n. 5: costi non di competenza per prestazioni di assistenza legale per attività svolta nell'anno 2000 per causa pendente, per l'Ufficio non deducibili perché da considerare sostenute solo ad ultimazione delle prestazioni; il professionista ha diritto all’immediata percezione del compenso per ogni singola prestazione resa (la quale si considera in quel momento ultimata) a prescindere dall'esito della causa e dalla incertezza del componente negativo del reddito derivante dalla non definitività dell'ammontare delle spese. Rilievo n. 6: l'illegittimità del recupero a tassazione del mancato assoggettamento a imposizione fiscale degli interessi attivi sui depositi cauzionali dipende dalla derogabilità della norma; nel caso di specie il contratto di locazione prevedeva l'infruttuosità dei depositi cauzionali, stante la rinuncia di E. alla percezione del relativo reddito. Rilievo n. 7 (costi non congrui, non inerenti e non documentati): "l'assunto dell'Agenzia risulta non provato e quindi non è condivisibile stante la compiutezza e la congruità della motivazione oltre tutto aderente alla prassi in uso presso i gruppi di aziende solite nel ripartire tra loro le funzioni al fine del contenimento dei costì e della ottimizzazione dei risultati; inoltre alla luce della documentazione in atti e delle ampie argomentazioni difensive le spese esposte risultavano effettive certe e congrue ed immuni dal sospetto adombrato dall'agenzia ad avviso della quale grazie al rapporto intercorrente tra le varie aziende e l'inesistenza della contrapposizione di interessi la E. srl avrebbe predisposto dei calcoli di convenienza e celato gli effettivi componenti positivi e negativi di reddito, pertanto anche in questo caso la prima sentenza appare corretta ed immune da vizi". Rilievo n. 8 (canone di locazione non congruo e non inerente): la CTP ha adeguatamente motivato, ritenendo congruo il canone grazie ad elementi oggettivi, e cioè "tasso medio di remunerazione dell'investimento tenuto conto dei rendimenti degli immobili destinati ad attività industriali, contratto di leasing risolto anticipatamente, quote versate negli anni dal 2000 al 2005, valore dell'immobile dopo i lavori di ristrutturazione e infine valori venali del bene alla stregua delle quotazioni correnti in provincia di Piacenza".

Ha proposto ricorso per cassazione sulla base di nove motivi l'Agenzia delle Entrate. Resiste con controricorso la contribuente.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia insufficienza di motivazione ai sensi dell'art. 360 c. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo n, 2, di avere dedotto nell'atto di appello che sulla base della documentazione costituita dalle certificazioni di conformità e dalla dichiarazione di fine lavori la costruzione era stata ultimata nel 2001 e che in base all'art. 75 TUIR i corrispettivi si considerano conseguiti alla data in cui le prestazioni sono ultimate secondo il criterio di competenza, derogabile solo se il costo non sia determinabile nel suo oggettivo ammontare. Aggiunge che non si comprende come sulla base delle circostanze relative all’ultimazione dei lavori nel 2001 potesse escludersi la conoscenza del costo da parte della contribuente nel medesimo 2001 e che la natura dei lavori (elaborati grafici, direzione lavori) induce a ritenere che le parti, già in una fase antecedente l'ultimazione dei lavori, avevano determinato l'ammontare degli stessi.

Il motivo è inammissibile. Il motivo non contrasta con la decisione per quanto concerne l'effettuazione dei lavori nel 2001. Il punto di contrasto concerne la determinabilità dell'ammontare del costo nel medesimo anno 2001. Sul punto la censura non ha ad oggetto un vizio del procedimento logico della decisione ma una divergente valutazione in ordine alla portata probatoria della natura dei lavori, che per la ricorrente dovrebbe indurre a ritenere che già nel 2001 il costo era stato determinato. In tal modo però la censura rifluisce in un sindacato di merito, in ordine alle circostanze acquisite al processo, che è precluso nella presente sede di legittimità. Peraltro, in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente non ha indicato in modo specifico per quali ragioni la natura dei lavori (elaborati grafici, direzione lavori) avrebbe dovuto consentire la previa determinazione dell’ammontare degli stessi. Anche sulla base di quest'ultimo profilo, considerandosi per ipotesi la censura fondata non su un sindacato di merito ma su una corretta denuncia di vizio motivazionale, il motivo di ricorso risulta inammissibile.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. ai sensi dell'art. 360 c. 4 c.p.c. Espone la ricorrente che il rilievo n. 2 era stato sollevato anche per difetto di inerenza e che nell'atto di appello era stata censurata la statuizione della CTP, secondo cui non fondato era il rilievo di non inerenza, affermando che, trattandosi di costi che non esaurivano la loro utilità in un solo periodo, dovevano essere classificati come immobilizzazioni immateriali con conseguente deduzione sistematica di una quota di ammortamento compatibile con la durata della locazione dell'immobile di cui la contribuente era conduttrice. Lamenta quindi che la CTR ha omesso di pronunciare sul motivo di appello.

Con il terzo motivo si denuncia in via subordinata omessa motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. La ricorrente ripropone la precedente censura sotto forma di vizio motivazionale.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 74 (108) e 75 (109) TUIR, ai sensi dell'art. 360 3 c.p.c. Osserva la ricorrente, in relazione al rilievo n. 2, che trattandosi di spese incrementative su beni di terzi, esse non hanno una loro autonoma funzionalità rispetto al bene cui accedono, sicché devono essere classificate come immobilizzazioni immateriali con conseguente deduzione sistematica di una quota di ammortamento compatibile con la durata della locazione dell'immobile di cui la contribuente era conduttrice.

Il secondo motivo è fondato. In ordine al rilievo n. 2, benché sia indicato come "costi di competenza e non inerenti", manca nella motivazione una statuizione in ordine alla questione del difetto di inerenza, così come articolata nel motivo di appello, essendo la motivazione limitata al profilo della competenza.

L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento del terzo e del quarto motivo.

Con il, quinto motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360, 5 c.p.c. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo n. 4, che nell'atto di appello era stato evidenziato che, trovandosi in via Archimede solo l'amministrazione e la contabilità della E., la contribuente non era stata in grado di dimostrare che la merce, difficilmente trasportabile trattandosi di lamiere di grandi dimensioni, sia stata dirottata verso la E., e che dunque i costi della merce, fatturata a E., erano da imputare al proprietario o utilizzatore dell'immobile (destinatario era per l'Ufficio E., sita all'indirizzo di via Archimede). Aggiunge che la CTR si è limitata a motivare nel senso della correttezza della decisione dei primi giudici reputando l'irrilevanza della consegna dei beni presso la sede operativa anziché quella legale.

Il motivo è inammissibile. La censura mira a giustapporre alla valutazione di merito del giudice tributario, che ha reputato irrilevante la circostanza della consegna dei beni presso la sede operativa anziché quella legale, una valutazione di merito di segno contrario. In tal modo però la censura rifluisce in un sindacato di merito, in ordine alle circostanze acquisite al processo, che è precluso nella presente sede di legittimità.

Con il sesto motivo si denuncia violazione dell'art. 75 (109) TUIR ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo n. 5, che, posto che ai sensi dell'art. 75 i corrispettivi delle prestazioni di servizi e le relative spese si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando le prestazioni sono ultimate, il componente negativo di reddito non risultava ancora determinato nel 2002, non essendosi conclusa la controversia giudiziaria.

Il motivo è fondato. In materia di prestazioni professionali vige la regola della postnumerazione (artt. 2225 e 2233 c.c.), secondo la quale il diritto al compenso pattuito si matura una volta posta in essere una prestazione tecnicamente idonea a raggiungere il risultato a cui la prestazione è diretta (regola mitigata da un duplice ordine di diritti del professionista: quello all’anticipo delle spese occorrenti all'esecuzione dell'opera e quello all'acconto, da determinarsi secondo gli usi sul compenso da percepire una volta portato a termine l'incarico - Cass. 10 novembre 2006, n. 24046). La prestazione difensiva ha così carattere unitario e ciò importa che gli onorari di avvocato debbano essere liquidati in base alla tariffa vigente nel momento in cui la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell'incarico professionale, unitarietà che va rapportata ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio, e quindi al momento della pronunzia che chiude ciascun grado (fra le tante Cass. 3 agosto 2007, n. 17059). Ulteriore manifestazione dell'unitarietà della prestazione è la decorrenza della prescrizione. Al sensi dell'art. 2957 c.c. la prescrizione del diritto dell'avvocato al compenso decorre dal momento dell’esaurimento dell'affare per il cui svolgimento fu conferito l'incarico dal cliente (Cass. 30 giugno 2015, n. 13401). Ha quindi errato il giudice di merito che ha riconosciuto il diritto del professionista all'immediata percezione del compenso per ogni singola prestazione, dove prestazione, essendo indipendente dalla decisione della lite, va inteso come singolo atto. Il giudice tributario dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando la prestazione è condotta a termine per effetto dell'esaurimento o della cessazione dell'incarico professionale.

Con il settimo motivo si denuncia violazione dell'art. 56, comma 3 (89), TUIR, in combinato disposto con gli artt. 11, 41 e 79 I. n. 392/1978, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo n. 6, che la norma sulla produzione di interessi legali in favore del conduttore da parte del deposito cauzionale è inderogabile ai sensi dell'art. 79 I. n. 392/1978 e stante l'inderogabilità della norma non esiste alcun elemento da cui dedurre che tali interessi non siano mai stati percepiti dalla società contribuente.

Il motivo è fondato. L'obbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale versato da quest'ultimo ha natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, tutelando il contraente più debole ed impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un incremento del corrispettivo della locazione, con la conseguenza che tali interessi devono essere corrisposti al conduttore anche in difetto di una sua espressa richiesta (Cass. 27 gennaio 1995, n. 979; 21 giugno 2002, n. 9059; 19 agosto 2003, n. 12117; 30 ottobre 2009, n. 23052). Si afferma nel controricorso che l'inderogabilità della previsione non esclude la rinuncia al diritto, da cui l'inesistenza di un reddito tassabile. In realtà, anche alfa luce dell'accertamento del giudice di merito, la rinuncia al diritto ha rappresentato la forma della deroga (vietata) alla norma imperativa, e dunque non può riconoscersi un'operatività della rinuncia a prescindere dall'inderogabilità della norma. Mediante la rinuncia agli Interessi legali il contratto prevedeva, secondo il giudice di merito, l'infruttuosità del deposito cauzionale. E' proprio dunque la rinuncia che integra la deroga alla norma imperativa. Né può farsi riferimento alla giurisprudenza sull'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore, che non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, perché tale conclusione si fonda sul circostanza che la prestazione d'opera del difensore può essere gratuita - in tutto o in parte - per ragioni varie, oltre che di amicizia e parentela, anche di semplice convenienza, sicché la rinuncia non risulterebbe posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa (Cass. 27 settembre 2010, n. 20269 - unico limite resta il divieto legale sancito dal citato art. 24, e cioè quello di predeterminare consensualmente l'ammontare dei compensi professionali in misura inferiore ai minimi tariffari). Nel caso del deposito cauzionale relativo alla locazione la rinuncia sarebbe invece strumentale alla violazione della norma imperativa. Ha quindi errato il giudice tributario a valutare come illegittima la ripresa fiscale degli interessi attivi sulla base di rinuncia del conduttore alla relativa pretesa. Al suddetto principio di diritto sull’inderogabilità della norma sul carattere fruttifero del deposito cauzionale dovrà uniformarsi la CTR.

Con l'ottavo motivo si denuncia contraddittorietà ed insufficienza della motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo n. 7, di avere esposto nell'atto di appello quanto segue: la contribuente aveva dedotto costi per compensi versati alla capogruppo Cifin s.r.l. per prestazioni di consulenza amministrativa, gestionale, organizzativa ed informatica, oltre che per prestazioni di carattere straordinario, sproporzionati e per lo più inesistenti in quanto non corrispondenti alle prestazioni effettivamente erogate dalla capogruppo; l'assetto proprietario del gruppo a base familiare può indurre calcoli di convenienza sicché si rende necessario un adeguato livello di documentazione, mentre una determinazione indistinta delle spese rende opaco il meccanismo di emersione del valore aggiunto; per la consulenza ed assistenza la contribuente non si avvaleva solo di Cifin, ma anche, per gli adempimenti di natura fiscale, di uno studio commerciale; il contratto prevede un'ampia discrezionalità per la Cifin di effettuare servizi di carattere straordinario non espressamente convenuti; l'unico documento prodotto dalla contribuente (lettera Cifin con dettagli ore-uomo) non è un idoneo supporto documentale; l'Ufficio ha rapportato i costi al "valore normale" sulla base delle tariffe dei commercialisti; gran parte delle spese sono relative alla creazione della contabilità di magazzino e sono ingiustificate in quanto la E. gestiva tale contabilità già dal 1999, data in cui aveva preso in affitto l'azienda, e non si vede per quali ragione tali spese venissero ancora riportate nell'esercizio 2001. Ciò premesso la ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione perché la CTR afferma che la condotta della società era finalizzata alla ripartizione dei componenti positivi e negativi di reddito tra le società del gruppo, così implicitamente disconoscendo l'effettività ed inerenza dei costi, e l'insufficienza perché la CTR si è limitata a fare riferimento alla "documentazione in atti" e alle "ampie argomentazioni difensive", senza indicare gli elementi fattuali e probatori su cui ha basato la propria decisione.

Il motivo è parzialmente fondato. La censura si articola in due submotivi. Con il primo sub-motivo si denuncia la contraddittorietà della motivazione. Si tratta di censura inammissibile. Essa attribuisce alla decisione impugnata una ratio decidendi che non è dato ravvisare. La CTR non afferma che la condotta della società era finalizzata alla ripartizione dei componenti positivi e negativi di reddito tra te società del gruppo, ma si limita a richiamare la "prassi in uso presso i gruppi di aziende solite nel ripartire tra toro le funzioni al fine del contenimento dei costi e della ottimizzazione dei risultati". Una cosa è la ripartizione di funzioni all’interno del gruppo di imprese per una ottimizzazione dell'attività imprenditoriale, altra cosa è la distribuzione di componenti positivi e negativi di reddito fra le società del gruppo al fine di ottenere vantaggi fiscali. Fondato è invece il sub-motivo con cui si denuncia l'insufficienza di motivazione. La CTR ha ritenuto congrue ed effettive le spese dichiarate "alla luce della documentazione in atti e delle ampie argomentazioni difensive". Non ha però indicato gli elementi probatori e le circostanze che sostanziano la "documentazione" e le "argomentazioni" rendendo così impossibile percepire l'itinerario logico seguito dalla decisione. Né tale lacuna può essere compensata dal riferimento "alla prassi in uso presso i gruppi di aziende", in quanto non esaustiva della documentazione e delle argomentazioni in discorso.

Con il nono motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 c. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo n. 8, di avere esposto nell'atto di appello quanto segue: l'immobile era stato acquistato con contratto del 1999 da Credemleasing, unico soggetto indipendente nella vicenda, al prezzo di €1.291.143,00, e nonostante che Emme Immobiliare, utilizzatrice a titolo di leasing a partire dal 1999, avesse provveduto alla ristrutturazione con ingenti spese l'immobile le era stato ceduto nel 2005 per il prezzo di €2.978.476,44 (€1.644.088,00 più le quote capitale versate dal 2001 al 2005); a partire dal 1999 Emme Immobiliare era subentrata nel contratto di locazione nella posizione di locatore e E. in quella di conduttore; nonostante che il contratto di locazione prevedesse che gli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione fossero a carico del conduttore, Emme Immobiliare aveva intrapreso ingenti spese di ristrutturazione; la differenza nel prezzo di acquisto pari al doppio pareva preordinata a giustificare l'aumento artificioso del canone di locazione a carico della contribuente da € 163.937,00 a €265.000,00 annui; inattendibile è il documento prodotto dalla contribuente (atto aggiuntivo del 28 dicembre 2001) privo della sottoscrizione di Credemleasing e di data certa. Lamenta quindi la ricorrente che il giudice di merito si è limitato alla mera indicazione della fonte di riferimento indicando presunti elementi oggettivi senza vagliare gli elementi dedotti dall'Ufficio.

Il motivo è inammissibile. La censura verte sul carattere fittizio del prezzo di acquisto in favore dell’utilizzatore a titolo di leasing, preordinato a giustificare l'aumento artificioso del canone di locazione. La CTR ha considerato l'elemento del valore dell'immobile dopo i lavori di ristrutturazione, oltre ulteriori elementi ai fini della valutazione di congruità del canone di locazione corrisposto dalla contribuente. La ricorrente non oppone circostanze di fatto di cui sarebbe stata omessa la valutazione se non l'inattendibilità di un documento. In violazione del principio di autosufficienza non ha però indicato specificamente il contenuto del documento che sarebbe stato erroneamente interpretato dal giudice di merito, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della circostanza denunciata. In mancanza della deduzione di ulteriori circostanze che il giudice tributario avrebbe omesso di valutare la denuncia di fittizietà del prezzo di acquisto e del canone di locazione resta una mera divergenza di merito rispetto alla valutazione della CTR, e non un vizio del procedimento logico seguito nella decisione. In tali termini resta profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo, il sesto, il settimo e parzialmente l'ottavo motivo del ricorso, con assorbimento del terzo e del quarto motivo, e dichiara inammissibile il primo, il quinto ed il nono motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.