Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 maggio 2019, n. 13657

Esposizione all’amianto - Danno biologico permanente - Determinazione - Consulenza tecnica d'ufficio

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Venezia, in accoglimento della domanda proposta da R. P. nei confronti dell'Autorità Portuale di Venezia diretta al risarcimento del danno per le placche pleuriche conseguenti all'esposizione all'amianto sul posto di lavoro, condannò l'ente al pagamento della somma di euro 6.564,50, tenendo conto di un danno biologico comportante una invalidità del 5%, con incremento di euro 1.000,00 a titolo di danno morale.

2. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 25.11.2015, ha accolto parzialmente l'appello proposto dall'Autorità Portuale di Venezia e ha determinato nella minor somma di € 3.938,70 il danno da riconoscersi al P., anche in seguito a rinnovata consulenza tecnica d'ufficio.

Preliminarmente la Corte di merito ha precisato che in ordine alla pretesa "mancanza di danno risarcibile è da tenere presente che le placche pleuriche [...] sono qualificabili malattia e fonte di danno".

In ordine all'entità del danno, ha ritenuto invece parzialmente fondato il gravame poiché "il c.t.u., in modo condivisibile, [...] ha accertato che <non è possibile identificare un danno temporaneo in quanto le placche pleuriche non hanno provocato un'assenza dell'attività lavorativa, né hanno condizionato temporaneamente l'attività che il periziato ha svolto o può svolgere quotidianamente>". Il c.t.u. ha stabilito, altresì, in relazione al danno biologico permanente, che questo "consiste nell'alterazione anatomica del tessuto pleurico" e che "nel caso di specie non vi è una ipomobilità della parete". "Conseguentemente il danno biologico permanente non raggiunge il massimo valore - ovvero il 5% - stabilito dalla "Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente". Pertanto si ritiene che il danno biologico permanente sia pari al 3-4%". Infine, la Corte di merito ha ritenuto che "tale conclusione è avvalorata anche da valutazione INAIL del 18 dicembre 2007 di un danno del 2% da placche pleuriche asbesto correlate e, pertanto, si può quantificare il danno nella misura del 3%".

In ordine all'avvenuta liquidazione in primo grado del danno morale, la Corte territoriale ha accolto il motivo di gravame e ha ritenuto che, nel caso specifico, esso non sia sussistente "per l'entità lieve del danno e del grado di colpa e mancanza di alcuna allegazione in proposito".

3. Per la cassazione di tale sentenza, nella parte in cui ha riformato parzialmente la pronuncia del Tribunale di Venezia, R. P. ha proposto ricorso con 4 motivi. L'Avvocatura dello Stato, per conto dell'ente intimato, ha depositato "atto di costituzione" al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi di ricorso possono, come di seguito, essere sintetizzati.

1.1. Il primo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dell'art. 112 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza. A dire del ricorrente, "sulla base delle specifiche censure e delle precise domande formulate dall'appellante nel proprio atto di gravame, che non contenevano alcuna specifica impugnazione in ordine alla concreta liquidazione del danno ma solamente in relazione alla sua astratta configurabilità, il Giudice non poteva d'ufficio riesaminare il quantum - addirittura affidando uno specifico incarico al consulente tecnico d'ufficio, e ridurre la liquidazione medesima". Così procedendo la Corte di merito avrebbe violato l'art. 112 c.p.c. che sancisce il principio della "corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato", realizzando un vizio di ultrapetizione.

1.2. Il secondo motivo denuncia: "(In via subordinata) Art. 360 n.5 c.p.c.: omesso, contraddittorio e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, concernente la valutazione del danno biologico". Il ricorrente si duole del fatto che "ferma restando l'erroneità della pronuncia per il primo motivo enunciato, la Corte lagunare ha del tutto arbitrariamente e senza alcun plausibile motivo ridotto sua sponte la valutazione ragionata e motivata del danno che era stata offerta dal secondo C.T.U., abbassandola di mezzo punto percentuale".

1.3. Il terzo motivo denuncia: "Art. 360 n.3, n. 4 e n. 5 c.p.c.: nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ed in particolare dell'aspetto concernente i c.d. "danni morali" quale specifica accezione del danno non patrimoniale". A dire del ricorrente, "la decisione è chiaramente nulla per apparenza e contraddittorietà della motivazione e per omesso esame e/o travisamento di taluni fatti decisivi: da un lato, esisteva in atti una puntuale allegazione delle ragioni che supportavano la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale anche nella sua accezione morale; dall'altro lato, nessun rilievo hanno in questo caso il grado della colpa e l'entità del danno perché, pur trattandosi di una lesione di natura "micro-permanente" nella sua oggettività, il significato che essa assume per il soggetto che ne è colpito prescinde dalla sua liquidazione in termini percentuali, costituendo essa una sorta di presagio di morte trattandosi com'è noto di una patologia che costituisce marker della pregressa esposizione ad amianto".

1.4. Il quarto motivo deduce: "Art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in materia di interessi legali. Art. 360 n. 4 c.p.c.: nullità della sentenza per violazione del principio dell'art. 112 c.p.c.". In particolare, la sentenza impugnata è totalmente erronea e illegittima nella parte in cui determina il danno in una pura somma capitale "senza che alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno ex illecito consegua alcuna condanna al pagamento degli interessi di legge maturati".

2. Il primo motivo, con cui si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., è fondato.

Infatti la Corte territoriale ha violato l'insegnamento di legittimità in base al quale, in ossequio all'obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, espressione del carattere dispositivo del processo civile, qualora l'appellante chieda accertarsi l'inesistenza del danno liquidato dal giudice di primo grado, ma nulla osservi in ordine al suo ammontare, è viziata da ultrapetizione la sentenza con la quale il giudice del gravame riduca l'ammontare del danno (Cass. n. 18160 del 2012; Cass. n. 9175 del 1998; Cass. n. 4776 del 1980; v. anche Cass. n. 2474 del 1989).

Questa Corte ancora di recente ha statuito: "Se una sentenza di condanna al risarcimento del danno viene impugnata dal soccombente soltanto nella parte in cui se ne afferma sussistere la responsabilità, incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice del gravame il quale, senza modificare le statuizioni sulla responsabilità, modifichi la quantificazione del danno" (Cass. n. 25933 del 2018).

Nel caso di specie, in sede di gravame, l'ente appellante, come risulta dai contenuti dell'atto di impugnazione riprodotti nel ricorso per cassazione nonché dalla sintesi dei motivi di appello riportati nella stessa sentenza qui impugnata, aveva censurato due aspetti. Precisamente: a) aveva negato che le riscontrate placche pleuriche fossero una malattia idonea a ledere l'integrità psico-fisica del P.; b) aveva contestato la sussistenza del nesso causale tra esposizione ad amianto e malattia dell'odierno ricorrente.

Dunque non era stato specificamente impugnato il quantum del grado di inabilità permanente e/o temporanea del ricorrente cosi come valutato dal C.T.U. in primo grado. La Corte territoriale, quindi, ha esaminato un punto non investito da alcun motivo di gravame: l'entità del danno.

3. Accolto il primo motivo di ricorso, il secondo - espressamente formulato in via subordinata - relativo alla valutazione del danno biologico, risulta assorbito, così come l'ultimo in quanto gli interessi costituiscono accessori di una somma sui quali occorre ancora statuire all'esito del rinvio.

4. Non può trovare accoglimento, invece, il terzo motivo, che investe la questione del negato risarcimento del danno morale, in quanto inammissibilmente formulato in modo promiscuo ai sensi dell'art. 360 n. 3, 4 e 5, c.p.c., senza che dall'illustrazione delle censura sia possibile ricavare con chiarezza a quale dei singoli motivi di critica vincolata siano riconducibili le svariate censure.

In proposito questa Corte ancora di recente ha ribadito che: "In materia di ricorso per cassazione, l'articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d'inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d'impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse" (Cass. n. 26790 del 2018). E ancora: "In materia di ricorso per cassazione, l'articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d'inammissibilità dell'Impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l'individuazione delle questioni prospettate" (Cass. n. 7009 del 2017).

Il motivo si limita ad una mera sintesi della sentenza di primo grado sulla liquidazione del danno morale, della censura di essa da parte dell'Autorità Portuale di Venezia, dei contenuti degli atti di giudizio del Sig. P. in punto di allegazione sul danno morale medesimo.

Esso poi, da un lato, argomenta la nullità della sentenza o del procedimento "per apparenza e contraddittorietà della motivazione" (art. 360, n. 4, c.p.c.) e, in modo del tutto inadeguato rispetto alle prescrizioni imposte da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), dall'altro, non contiene alcuna analitica censura sulla violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3, c.p.c.).

In definitiva la formulazione del motivo non consente un'adeguata identificazione del devolutum, dando luogo all'impossibile convivenza, in seno al medesimo mezzo, "di censure caratterizzate da ... irredimibile eterogeneità" (in termini, Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016).

5. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto innanzi statuito, all'esito regolando anche le spese; va invece dichiarata l'inammissibilità del terzo motivo e l'assorbimento del secondo e del quarto.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.