Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 novembre 2016, n. 23845

Tributi diretti - IRPEF - Redditi diversi - Plusvalenze - Aree soggette a vincolo ambientale - Natura edificabile ai fini della plusvalenza - Fondamento

 

Svolgimento del processo

 

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti di F.M.L. e N.C. (che resistono con controricorso), avverso la sentenza della C.T.R. del Piemonte n. 1494/34/2014 depositata in data 17/12/2014, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione di due avvisi di accertamento emessi per maggiore IRPEF dovuta in relazione all'anno d'imposta 2004, per effetto del recupero a tassazione di una plusvalenza non dichiarata relativa alla cessione di alcuni terreni siti in Novara - è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti.

In particolare, i giudici d'appello, nel respingere il gravame dell'Agenzia delle entrate, hanno sostenuto che, nella fattispecie, «I terreni sono collocati all'interno di un piano territoriale regionale sottoposto a vincolo ambientale di cui alla legge (recte: d.lgs.) 490/1999» ed i vincoli urbanistici cui sono sottoposti i terreni «escludono che si possa parlare di edificabilità, anche solo astratta», dovendo considerarsi l'area «di tipo agricolo» e quindi inidonea a generare plusvalenza tassabile.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

2. La ricorrente, denunciando, ex art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., «violazione e falsa applicazione dell'art. 67 T.U.I.R. e dell'art. 36 d.l. 223/2006», rileva come le informazioni contenute nel certificato di destinazione urbanistica prodotto dai contribuenti stessi - secondo cui la variante del P.R.G., approvato dalla Giunta Regionale, avrebbe trasformato i terreni da «aree agricole» ad «aree rurali esterne», «soggette ai vincoli del Parco della Battaglia di Novara» - non sarebbero sufficienti ad escludere la possibilità edificatoria, non comportando tale destinazione inedificabilità assoluta, in quanto sarebbero comunque ammesse «opere destinate alla residenza rurale, nonché attrezzature ed infrastrutture pertinenziali alla conduzione dei fondi degli imprenditori singoli ed associati», sicché, in difetto di prova contraria, l'avviso avrebbe dovuto essere confermato, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R..

3. La censura è fondata.

Dalla sentenza della C.T.R. emerge che, secondo il certificato di destinazione urbanistica allegato all'atto di cessione, sui terreni in questione era possibile realizzare nuove costruzioni, seppure limitate e nel rispetto del vincolo ambientale.

La C.T.R. afferma, a fronte di ciò, che i terreni rientrano all'interno di un piano territoriale regionale che prevede sull'area un vincolo ambientale di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e ritiene che tale situazione esclude che si possa parlare di edificabilità anche solo astratta. Citando a conforto il precedente di Cass., Sez. 5, 4 luglio 2014, n. 15333, Rv. 631552, sostiene che i terreni sottoposti a verde pubblico non generano plusvalenza perché non possono considerarsi suscettibili di utilizzazione edificatoria anche qualora tale vincolo lasci lo spazio per una limitata edificabilità ed afferma che in caso di terreno agricolo non vi è luogo ad alcuna tassazione. Conclude nel senso che l'area in questione è «senz'altro di tipo agricolo e conseguentemente non può considerarsi edificabile e per tale motivo non genera plusvalenza tassabile».

Si ricava, pertanto, univocamente, dalla sentenza impugnata che i giudici d'appello abbiano assunto a base della decisione il dato fattuale esposto in premessa secondo il quale il certificato di destinazione urbanistica allegato all'atto di cessione attestava la possibilità di realizzare nuove costruzioni, sia pure nel rispetto dei vincoli ambientali di cui al citato testo unico - il quale per vero, giova rimarcare, non esclude in senso assoluto l'edificabilità, prevedendo espressamente, agli artt. 151, comma 2, e 152, la possibilità della realizzazione di opere su aree soggette a vincolo culturale o ambientale purché entro determinati limiti e, in genere, previa specifica autorizzazione - ma abbiano ritenuto che tanto non bastasse a integrare il presupposto d'imposta (« ... il richiamo da parte dell'ufficio, per quanto concerne la edificabilità delle aree, al certificato di destinazione urbanistica non integra il concetto dell'art. 67 comma 1 lettera b T.U.I.R. ...»); e ciò in ragione di una regula iuris, asseritamente desunta dal precedente di Cass., sez. 5, 4 luglio 2014, n. 15333 (Rv. 631552), secondo cui i terreni sottoposti a verde pubblico non generano plusvalenza perché non possono considerarsi suscettibili di utilizzo edificatorio anche qualora tale vincolo lasci lo spazio per una limitata edificabilità.

3.1. Ciò precisato non può dubitarsi, anzitutto, che l'unico motivo di critica posto a fondamento del ricorso dell'Agenzia delle entrate - diversamente da quanto obiettato dai controricorrenti - non integra affatto una inammissibile contestazione di merito nella ricostruzione del fatto, ma investe piuttosto la correttezza della qualificazione giuridica datane dalla Corte di merito, ovvero della riconduzione della fattispecie concreta, così come acquisita in sentenza, al quadro normativo di riferimento: contestazione, dunque, correttamente ricondotta alla previsione di cui all'art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ..

3.2. Altrettanto indubbia appare poi la fondatezza della critica mossa, atteso che il principio di diritto applicato (non del tutto correttamente desunto dal richiamato precedente di Cass., Sez. 5, n. 15333 del 2014, il quale per vero non fa affatto menzione della sussistenza, nel caso ivi considerato, di residue potenzialità edificatorie dei terreni destinati a verde pubblico e risulta piuttosto incentrato su altra non interferente quaestio iuris) si appalesa difforme da quello ricavabile dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, ormai consolidata nell'affermare il principio opposto secondo cui «atteso il chiaro tenore letterale della detta disposizione - art. 81 del T.U.I.R., ora art. 67, non contenente alcuna distinzione e/o specificazione, la norma assoggetta a tassazione la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di terreno sul quale lo strumento urbanistico vigente consenta, a qualunque titolo e per qualunque scopo, di edificare, senza che, pertanto, a nulla rilevi cosa e a qual fine si costruisca, e che la prevista "utilizzazione edificatoria" sia meramente strumentale alla sua destinazione agricola, e, che, quindi, la possibilità di costruire sia soggetta a restrizioni», considerato anche che «siffatta interpretazione non appare in contrasto con i precetti costituzionali (e, in particolare, con l'art. 3), rientrando nella piena discrezionalità del legislatore non tassare la plusvalenza solo quando la stessa ha ad oggetto terreni agricoli e non suscettibili in alcun modo di utilizzazione edificatoria, e prevederne invece la tassabilità nella differente ipotesi di terreno agricolo ma (sia pur con limiti) suscettibile di edificazione» e che, con la successiva evoluzione legislativa, in particolare con la legge n. 448 del 2001, art. 7, è stata espressamente prevista «la tassabilità della plusvalenza» per i terreni edificabili e con destinazione agricola ...» (Cass. 23316/2013)

In senso conforme mette conto citare, tra le molte altre:

- Cass., Sez. 5, 15 luglio 2016, n. 14503, che ha ritenuto edificabile un'area inclusa in zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico (quali parcheggi, strade, verde pubblico attrezzato). La sentenza afferma che se tale inclusione incide senz'altro nella determinazione del valore venale dell'immobile, da valutare in base alla maggiore o minore potenzialità edificatorie, non ne esclude, però, l'oggettivo carattere edificabile, atteso che i vincoli d'inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venir meno l'originaria natura edificabile. «Pertanto - si legge in tale precedente - la cessione di tali aree a titolo oneroso è idonea a determinare l'insorgenza di una plusvalenza imponibile ai fini Irpef a norma dell'art. 67 comma primo lett. b) d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, dovendosi considerare che non sussiste alcun elemento interpretativo dal quale desumere che l'espressione "terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria", contenuta nella norma citata, possa tradursi nella più restrittiva accezione di "terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria residenziale"».

- Cass., Sez. 5, 16 ottobre 2015, n. 20950, che - in un caso ove si verteva sulla cessione di aree inserite in zona F destinati ad «attrezzature e impianti di interesse generale», assoggettabili unicamente ad opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, per le quali le norme tecniche di attuazione prevedevano che «la realizzazione delle attrezzature e la gestione dei servizi potrà essere affidata a terzi (soggetti privati, enti diversi dall'amministrazione comunale, società miste, ecc.), mediante stipula di apposita convenzione» - ha affermato che non può escludersi l'imponibilità delle plusvalenze da redditi diversi, prevista dall'art. 81 (ora 67), primo comma, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per la sola circostanza che il terreno ceduto si trovi all'interno di zona vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, dovendosi avere riguardo alla destinazione effettiva dell'area, in quanto la potenzialità edificatoria, desumibile, oltre che da strumenti urbanistici adottati o in via di adozione, anche da altri elementi, certi ed obiettivi, che attestino una concreta attitudine dell'area all'edificazione, è un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore dei terreni e rappresenta, pertanto, un indice di capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 della Cost.;

- Cass., Sez. 5, 15 aprile 2016, n. 7513, che, in un caso in cui si discuteva di un'area che risultava classificata «in via statica come area agricola o di rispetto storico archeologico», ma con la concreta possibilità - sentiti gli Uffici Tecnici del Comune - di «chiedere la variazione in modo da poter destinare parte di tale area alla costruzione degli immobili necessari alla ... attività», possibilità sfruttata dai contribuenti che avevano presentato istanza affinché il fondo rustico di loro proprietà fosse destinato a zona produttiva, ottenendo dal Comune, anteriormente all'atto di trasferimento, l'adozione di apposita delibera di variante al Piano Regolatore, in forza della quale l'area in esame era stata classificata come «zona extraurbana di trasformazione e riqualificazione: Zona di trasformazione urbanistica - art. 19» -, ha affermato la tassabilità della plusvalenza considerando che il fatto che - analogamente a quanto accade nella specie - le uniche opere consentite fossero quelle destinate allo svolgimento dell'attività agricola, seppure in forma imprenditoriale, non impedisca di considerare il terreno come edificabile (v. anche, in senso sostanzialmente conforme, ex aliis, Sez. 5, n. 15320 del 19/06/2013, Rv. 627165; Sez. 5, n. 14763 del 15/07/2015, Rv. 636122; Sez. 5, n. 5161 del 05/03/2014, Rv. 629722; Cass. 30729/2011 e 8697/2011; Cass. 17650/2014, 14763/2015; n. 15165/2016).

La C.T.R. non si è conformata a tale ormai consolidata lettura del dato normativo e va pertanto cassata.

4. Nella memoria depositata ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., i controricorrenti hanno lamentato l'ingiustizia delle sanzioni irrogate, a fronte delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione dell'art. 67, comma 1, lett. b) T.U.I.R., chiarito da un intervento normativo avutosi solo nel 2006, ben due anni dopo la cessione dei terreni e la scadenza della dichiarazione dei redditi.

Trattasi di eccezione - opposta in primo grado e puntualmente riproposta in appello - assorbita dalla pronuncia favorevole resa nel giudizio di merito, ma tuttavia suscettibile di essere esaminata in questa sede, trattandosi di questione di mero diritto non richiedente nuovi accertamenti in fatto, ai sensi dell'art. 384, comma secondo, cod. proc. civ..

Come invero evidenziato da più recente indirizzo di questa Corte, cui il collegio ritiene di dover dare continuità, «alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'art. 111 comma 2 Cost., qualora i giudici di merito non si siano pronunciati su una questione di mero diritto, ossia non richiedente nuovi accertamenti di fatto, perché rimasta assorbita e la stessa venga riproposta con ricorso incidentale per cassazione, la Corte, una volta accolto il ricorso principale e cassata la sentenza impugnata, può decidere la questione purché su di essa si sia svolto il contraddittorio, dovendosi ritenere che l'art. 384 cod. proc. civ., come modificato dall'art. 12 del d.lgs. n. 40 del 2006, attribuisca alla Corte di cassazione una funzione non più soltanto rescindente ma anche rescissoria e che la perdita del grado di merito resti compensata con la realizzazione del principio di speditezza» (Sez. L, n. 18915 del 05/11/2012, Rv. 624098).

Nella stessa prospettiva la questione della applicabilità nel caso di specie delle sanzioni ben può essere esaminata in questa sede non potendo di certo rilevare che essa sia stata sollevata solo con memoria depositata ex art. 380-bis cod. proc. civ. e non con ricorso incidentale (pacificamente non necessario in caso di questioni non esaminate dai giudici di merito poiché assorbite: v. ex aliis Sez. 5, n. 574 del 15/01/2016, Rv. 638333; Cass., Sez. L, n. 6572 del 03/12/1988, Rv. 460885; Sez. 3, n. 767 del 09/02/1982, Rv. 418591; Sez. L, n. 1980 del 07/04/1981, Rv. 412685) ed essendosi sulla stessa svolto il contraddittorio in udienza.

5. Passando dunque ad esaminare la riproposta eccezione, se ne deve rilevare la fondatezza.

Occorre rammentare al riguardo che, secondo costante indirizzo, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l'incertezza normativa oggettiva che, ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 e della legge 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d'interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. Sez. 5, n. 24670 del 28/11/2007; Sez. 5, n. 2192 del 16/02/2012; Sez. 5, n. 18434 del 26/10/2012; Sez, 6 - 5, Ord. n. 3245 del 11/02/2013; Sez. 5, n. 4522 del 22/02/2013).

In altre parole, come è stato detto, «l'incertezza normativa oggettiva tributaria», che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell'azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall'impossibilità, esistente in sé ed accertala dal giudice, d'individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in «senso oggettivo» (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l'incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti»): «l'incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell'ignoranza giustificata, ma nell'impossibilità, abbandonato lo stato d'ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cass., Sez. 5, n. 19638 del 11/09/2009).

Inoltre, trattandosi di un'esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l'onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.).

Nel caso di specie occorre dunque valutare se sussistessero, all'epoca della cessione in questione, nel 2004, obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione dell'art. 81, (oggi 67) comma 1, lett. b) T.U.I.R. nei termini testé illustrati.

Reputa il collegio che al quesito debba darsi risposta affermativa.

Nel 2004 sussisteva infatti indubbiamente un certo contrasto di giurisprudenza quanto meno sul problema dello strumento urbanistico al quale fare riferimento per valutare se un terreno fosse edificabile. Alcune pronunce della S.C., invero, ritenevano che un suolo potesse essere considerato edificabile soltanto sulla base di strumenti urbanistici perfetti, ossia giunti a completamento del loro iter approvativo, in quanto non solo adottati dal comune competente, ma anche sottoposti al controllo tutorio da parte, solitamente della regione (v. Cass., Sez. 1, n. 10406 del 03/12/1994; Sez. 5, n. 15320 del 29/11/2000, Rv. 542282; Sez. 5, n. 13969 del 12/11/2001, Rv. 550161; id., n. 467 del 15/01/2003); altre, invece, consideravano sufficiente, a tal fine, la mera circostanza che il suolo risultasse inserito in una zona di edificazione di un piano anche soltanto adottato dal comune e non ancora approvato dalla regione (Cass., Sez. 5, n. 4120 del 22/03/2002, Rv. 553198; Sez. 5, Sentenza n. 4381 del 27/03/2002, Rv. 553320; Sez. 5, n. 17762 del 12/12/2002, Rv. 559199).

Per dirimere tale contrasto si rese necessaria una norma interpretativa, adottata due anni dopo ed applicabile retroattivamente (art. 36 comma 2 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248), la quale - come noto - ha chiarito (con effetto retroattivo: v. e pluribus Cass., Sez. U, n. 25505 del 30/11/2006, Rv. 593374; Sez. 5, n. 14507 del 30/05/2008) che «ai fini dell'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo».

Non può pertanto dubitarsi della sussistenza, prima di tale intervento, almeno sotto il detto profilo, di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione dell'art. 81, (oggi 67) comma 1, lett. b) T.U.I.R.: condizioni tali da giustificare, ai sensi delle norme sopra richiamate, l'esenzione dalle applicate sanzioni.

6. Per le considerazioni testé esposte, la decisione di merito da pronunciarsi in questa sede ai sensi dell'art. 384 c.p.c., sarà dunque nel senso del parziale accoglimento del ricorso introduttivo, limitatamente alle applicate sanzioni, che vanno annullate.

Avuto riguardo alle ragioni della decisione e considerata la solo parziale soccombenza nel merito, sussistono i presupposti per l'integrale compensazione delle spese dell'intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo dei contribuenti limitatamente alle sanzioni ad essi applicate: sanzioni che annulla.

Compensa le spese dell'intero giudizio.