Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE CATANZARO - Sentenza 08 marzo 2017, n. 416

Tributi - IVA - Accertamento - Recupero - Mancata contabilizzazione - Maggiori imposte

 

Svolgimento del processo

 

La N.C. Srl proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n. TD3030202265/2014, relativo all’anno di imposta 2011, con il quale l’Agenzia delle Entrate di Cosenza aveva accertato maggiori imposte conseguenti a omessa contabilizzazione di ricavi di vendita, omessa contabilizzazione di sopravvenienza attiva e illegittima detrazione di imposta sul valore aggiunto.

La società ricorrente eccepiva: 1) la nullità dell’atto impugnato per illegittimità della sottoscrizione 2) la infondatezza della pretesa tributaria: a - per avere l’Ufficio contestato la mancata contabilizzazione di ricavi per canoni di locazione di immobili sulla base di una ricostruzione del tutto arbitraria; b - per la insussistenza dell’ulteriore rilievo concernente la omessa contabilizzazione di una sopravvenienza attiva per l’importo di euro 6.797.372,00 in quanto detta somma costituiva un debito iscritto alla contabilità dell’esercizio 2008 a seguito dell’accollo da parte del socio di maggioranza N.P. del debito che essa società aveva nei confronti della SGC Srl e perché, comunque, anche a voler ritenere si fosse trattato di un credito, il recupero a tassazione doveva essere effettuato (per il principio di competenza) nell’anno 2008 e non già nell’anno in questione;

3) la legittimità della detrazione dell’IVA per l’importo di euro 28.000,00 poiché la fattura era stata emessa a termine dell’art. 6 del DPR n. 633/1972, comma 4, secondo il quale è possibile fatturare anche prima del pagamento del corrispettivo.

Chiedeva, pertanto, che l’avviso di accertamento fosse dichiarato nullo o, comunque, annullato, con ogni consequenziale statuizione.

L’Agenzia delle Entrate di Cosenza, ritualmente costituitasi, ribadiva la legittimità del proprio operato e chiedeva il rigetto del ricorso.

La Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, con sentenza in data 22.01/23.02.2016, accoglieva parzialmente il ricorso, ravvisando la acquiescenza di essa società in relazione al rilievo concernente la omessa contabilizzazione dei canoni relativi ai contratti stipulati per la locazione dei locali posti nel piano seminterrato del centro commerciale L.P. nonché in relazione al rilievo connesso alla mancata contabilizzazione del canone di locazione corrisposto dalla L.I. Srl per il mese di dicembre 2011, statuendo per la infondatezza del recupero a tassazione ai fini delle imposte dirette fondato sulla non congruità del canone di locazione stabilito nei confronti della società L.L. Srl., ritenendo fondato il recupero dell’IVA connessa alle somme dovute dalla predetta società per canoni di locazione, riducendo la sopravvenienza attiva ad euro 4.675.572,04 e statuendo per la fondatezza del recupero a tassazione dell’IVA relativa all’acconto fatturato dalla P. Srl. per l’acquisto di immobili commerciali.

Avverso detta sentenza proponeva appello, con atto del 23.09.2016, la società contribuente, la quale lamentava anzitutto l’erroneità della decisione per avere il primo giudice disatteso l’eccezione di nullità dell’atto impositivo per difetto di valida sottoscrizione.

Quanto al merito censurava la sentenza nella parte in cui la Commissione non aveva ritenuto sussistente la dedotta illegittimità delle riprese a tassazione aventi ad oggetto l’IVA afferente i canoni relativi agli immobili situati al piano terra e al piano primo del centro commerciale "L.P." locati alla società L.L. Srl; in particolare deduceva che trattandosi di prestazioni di servizi a fronte dei quali non era stato versato nel corso dell’anno 2011 il relativo corrispettivo, non avrebbe potuto pretendersi il versamento dell’imposta.

Evidenziava, quindi, che il primo giudice, pur avendo ritenuto provato la esistenza di un accollo del debito da parte del P., aveva però limitato ingiustificatamente lo stesso all’importo di euro 2.121.799,96; lamentava, infine, la illegittimità della statuizione di conferma del recupero dell’IVA pari ad Euro 28.000,00 relativa all’acconto fatturato dalla P. Srl ad essa società in data 31.01.2011.

L’Agenzia delle Entrate, costituitasi con atto del 24.10.2016, resisteva al gravame, del quale chiedeva il rigetto e spiegava appello incidentale, deducendo l’erroneità della decisione nella parte in cui la Commissione provinciale aveva ritenuto fondato il motivo di ricorso in ordine alla somma ripresa a tassazione IRES/IRAP a seguito di rettifica del corrispettivo della locazione (da euro 5,04 al metro quadrato ad euro 8,58 al metro quadrato) nonché la illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 109 del T.U.I.R. - avendo il primo giudice riconosciuto la deducibilità di un costo a fronte di una circostanza non provata - e per avere erroneamente riferito il pagamento della somma di euro 400.000,00 al P..

All’odierna udienza di discussione la causa era decisa.

 

Motivi della decisione

 

Va, anzitutto, esaminato, per evidenti ragioni di pregiudizialità, l’appello principale proposto dalla società contribuente.

Il primo motivo di gravame, finalizzato a far valere la invalidità dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto da un soggetto non avente la qualifica di dirigente, va senz’altro disatteso.

L'avviso di accertamento, a norma dell'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall'art. 17 del c.c.n.l. comparto "agenzie fiscali" per il quadriennio 2002-2005, applicabile "ratione temporis", da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente (v. Cassazione civile, sez. trib., 09/11/2015, n. 22800; conf. Cassazione civile, sez. trib; 05/09/2014, n. 18758).

Alla stregua dei principi di diritto stabiliti dalla Suprema Corte non può pertanto ritenersi, come assunto dalla N.C. Srl. nell’atto di appello, che il potere di sottoscrizione spetti esclusivamente "a soggetti che rivestano qualifica dirigenziale".

Deve essere, altresì, ricordato che la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni di legge riguardanti la proroga delle funzioni dirigenziali a soggetti non aventi la necessaria qualifica non ha influenza alcuna su tutti i provvedimenti da costoro sottoscritti; ne consegue che nessun rilievo può attribuirsi alla circostanza secondo cui il dr. S. non avesse la qualifica di dirigente (in quanto non nominato a seguito di regolare concorso).

Non avendo, infine, la società appellante mai contestato che il predetto funzionario (che ha sottoscritto l’avviso di accertamento) fosse all’epoca capo dell’Ufficio ovvero impiegato della carriera direttiva all’uopo delegato, l’atto impugnato deve ritenersi valido.

La società appellante ha nuovamente contestato la illegittimità delle riprese a tassazione aventi ad oggetto l’IVA afferente i canoni relativi agli immobili situati al piano terra e al primo piano del centro commerciale L.P. locati alla società L.L. Srl., deducendo che, trattandosi di prestazioni di servizi a fronte dei quali non era stato versato nell’anno 2011 il relativo corrispettivo, non avrebbe potuto pretendersi il versamento della relativa imposta; ha, in particolare, lamentato la erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto applicabile l’art. 6, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, evidenziando che non vertendosi in un caso di autoconsumo o in un caso di prestazioni gratuitamente destinante a finalità extra imprenditoriali doveva operare il principio generale in base al quale il momento di effettuazione dell’operazione, con tutti gli obblighi e gli oneri, era da individuarsi nel momento del pagamento da parte della locatrice dei canoni di locazione o nel momento della fatturazione se anteriore al versamento del corrispettivo.

La censura deve essere disattesa.

Ed invero, secondo quanto esattamente argomentato in sentenza, «come si desume dal tenore letterale delle norme, tutte le prestazioni di servizi, aventi ad oggetto concessioni di beni in locazione, a carattere periodico o continuativo, compreso quelle (e non solo quelle, come invece sostiene la ricorrente, avendo il legislatore specificato "anche se") effettuate per uso personale o familiare dell’imprenditore, se svolte verso un corrispettivo di valore superiore ad € 50, si considerano effettuate nel mese successivo a quello in cui sono rese».

Consegue da ciò che l’art. 6, comma 3 del DPR n. 633/1972 trova applicazione nel caso in esame «avendo esso ad oggetto una operazione di locazione di fabbricati, svolta all’interno di un’attività di impresa, a carattere periodico, effettuata verso un corrispettivo di valore superiore ad € 50,00» (fol. 7 sentenza).

La N.C. Srl ha quindi censurato la statuizione della sentenza con cui è stato parzialmente confermato il rilievo dell’Ufficio concernente l’avvenuto conseguimento di una sopravvenienza attiva da parte di essa società nel corso del periodo d’imposta 2011; ha, sul punto, dedotto che avendo la Commissione provinciale ravvisato l’avvenuta surroga del P. nella posizione dell’originaria creditrice SGC Srl avrebbe dovuto conseguentemente riconoscere la correttezza dell’apposizione dell’intera posta debitoria in contestazione, che, originariamente esistente nei confronti della SGC Srl risultava ora sussistente nei confronti del soggetto che aveva materialmente provveduto ad adempiere agli obblighi derivanti dall’accordo (fol. 31 atto di appello).

Anche tale motivo di gravame è privo di fondamento.

E’ opportuno ricordare le emergenze documentali, già richiamate in sentenza.

Risulta dagli atti di causa che la N.C. Srl era debitrice della SGC Srl della somma complessiva di euro 6.797.372,00; detta società, unitamente ad altre facenti capo all’amministratore N.P. e il P. personalmente si erano solidalmente obbligati, con scrittura in data 08.04.2008, ad estinguere il debito dell’importo originario complessivo di euro 11.930,752.25 (e non già di euro 12.812.854,00 come erroneamente calcolato nella sentenza) mediante il pagamento della minor somma di euro 5.500.000,00 - definita a saldo e a stralcio.

Con riferimento all’obbligo assunto, dai documenti allegati al ricorso introduttivo del giudizio risultano corrisposte le somme seguenti:

a) € 150.000,00 mediante l’incasso dell’assegno circolare n. 53-57328801;

b) € 850.000,00 mediante l’incasso degli assegni circolari n. 50074329, 50074330, 52429816, 52429817, 52429818, 52729819, 52429820, 52429821 e 52429822;

c) € 400.000,00 a mezzo bonifico effettuato personalmente da N.P. in data 30.05.2008 (quale rata scadente il 31.05.20008);

d) € 400.000,00 a mezzo bonifico effettuato personalmente da N.P. in data 31.07.2008 (quale rata scadente il 31.07.2008);

e) 400.000,00 a mezzo bonifico effettuato personalmente da N.P. in data 01.099.2008 (quale rata scadente il 31.08.2008);

f) € 400,000,00 a mezzo bonifico effettuato personalmente da N.P. in data 01.10.2008 (quale rata scadente il 30.09.2008);

g) € 2.000,000,00 a mezzo bonifico effettuato personalmente da N.P. in data 04.11.2008 (quale rata scadente il 21.10.2008);

h) € 256.400,23 ed € 4146.995,93 a mezzo bonifici effettuati personalmente da N.P. in data 05.12.2008 (a saldo del dovuto in base all’accordo transattivo dell’8.04.2008).

E’ dunque provato che il P. ha versamento personalmente, a mezzo i bonifici sopra indicati (alle lettere c, d, e, f e g), e in ottemperanza all’obbligo assunto, la somma complessiva di euro 4.003.396,16.

Difetta, invece, prova certa che il predetto P. abbia versato i personalmente anche le somma di cui agli assegni sopra menzionati (alle lettere a e b): ed infatti, pur tenendo conto della produzione di copia informe degli assegni, effettuata dall’appellante nel presente grado del giudizio, non è dato conoscere il soggetto titolare del conto corrente sul quale gli stessi sono stati tratti; analoga considerazione va fatta per l’assegno circolare n. 50073288 (indicato a fol. 39 dell’atto di appello). Ne consegue che non può con certezza ritenersi che gli assegni in parola siano riconducibili al P.; e ciò ove si consideri che anche le società sottoscrittrici dell’accordo (tra cui la N.C. Srl) si erano obbligate al pagamento dell’importo di euro 5.500.000,00; sicché è possibile che gli assegni in parola siano stati emessi da una o più società.

Ora, la somma di euro 4.003.396,16 versata dal P. è servita ad estinguere le esposizioni debitorie di tutte le società che hanno sottoscritto la scrittura privata dell’8.04.2008 (e non solo della N.C. Srl); sicché, come affermato in sentenza, à termine dell’art. 1299 c.c. il P. ha diritto a ripetere dalle società interessate la parte di ciascuna di esse ed in particolare, tenuto conto dell’ammontare delle debitorie di ciascuna società e della somma definita a stralcio per la loro estinzione, ha diritto di ripetere il 57 % di quanto da lui versato (pari ad € 2.281.935,70) nei confronti della N., sulla quale grava il correlativo obbligo di restituzione(v. fol 10 sentenza).

Solo tale importo (e non già quello di € 6.797.372,00 come richiesto dall’appellante) non costituisce sopravvenienza attiva, atteso l’obbligo di restituzione da parte della società contribuente.

Argomentava esattamente al riguardo la Commissione provinciale che «l’estinzione di un debito non comporta alcuna variazione nel patrimonio del debitore, se in capo al debitore medesimo permane l’obbligo di restituzione, anche se nei confronti di un soggetto diverso dal creditore originario, al quale si è surrogato; per cui, essendo l’aumento della disponibilità finanziaria derivante dall’estinzione della passività bilanciato dal debito per la restituzione nei confronti del "nuovo creditore", non si può ritenere sussistente una situazione di aumento di ricchezza disponibile che giustifica alla sottoposizione all’imposta».

Consegue da ciò che la somma di euro 4.515.436.30 (derivante dalla differenza tra la l’importo di euro 6.797.372,00 e l’importo di euro 2.281.935,70), pari al debito estinto senza alcun obbligo di restituzione da parte della società debitrice, rappresenta, con ogni evidenza, il conseguimento di una sopravvenienza attiva, che in quanto tale va imputata a tassazione.

Né vale opporre, come fa la N.C. Srl., che essendo l’accordo transattivo intervenuto con la SGC Srl nell’anno 2008 e i relativi pagamenti effettuati in detto anno, la "sopravvenienza attiva" non era emersa nel corso del periodo d’imposta 2011, sicché l’azione accertatrice era ormai tardiva.

Ha stabilito la Suprema Corte che "in tema di imposte sui redditi d'impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi dell'art. 55, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, si realizza in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di riserve, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all'esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza" (Cassazione civile, sez. trib., 22/09/2006, n. 20543; conf. Cassazione civile, sez. trib., 08/06/2011, n. 12436).

Ora, nel caso in esame, la certezza della insussistenza della passività è stata acquisita nell’anno 2011, in quanto la stessa è stata riportata dalla società contribuente nel bilancio dell’anno oggetto di verifica.

Va, infine, disatteso l’ultimo motivo dell’appello principale, riguardante la erroneità della decisione nella parte relativa alla conferma del recupero dell’IVA (per € 28.000,00), in relazione a una fattura di acconto per la vendita di unità immobiliari emessa dalla società P. Srl (a fronte di un contratto preliminare asseritamente stipulato in data 31.01.2011).

Secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione «in tema di i.v.a., l'art. 6, comma 4, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, nel prevedere che, quando sia versato un acconto sul prezzo di un contratto di compravendita immobiliare, l'operazione si considera effettuata, limitatamente all'importo fatturato, alla data della fattura, presuppone comunque l'effettività della stipulazione, avendo l'emissione della fattura il solo effetto di determinare, ai fini fiscali, la data della cessione in un momento diverso da quello della stipulazione. Ne consegue che in caso di fatturazione del versamento dell'acconto, a fronte della contestazione dell'Amministrazione circa l'inesistenza dell'operazione, il contribuente ha l'onere di dimostrare l'avvenuta stipulazione o la previsione del pagamento dell'acconto in sede di contratto preliminare» (così Cassazione civile, sez. trib., 27/10/2010, n. 21949).

Nel caso in esame la detrazione dell’IVA è stata contestata dalla Amministrazione finanziaria sulla base di specifiche circostanze e, in particolare, della mancanza di prova sulla relativa movimentazione finanziaria, del fatto che le due società (acquirente e venditrice) erano riconducibili allo stesso soggetto economico e dell’ulteriore circostanza secondo cui non risultava stipulato il contratto definitivo di compravendita. Ora, se è pur vero che non era necessario acquisire agli atti il preliminare di compravendita perché richiamato nel processo verbale di constatazione , va rilevato che detto contratto non è mai stato registrato e che inoltre nessuna prova è stata fornita in ordine al dedotto pagamento dell’acconto (posto a base della fatturazione).

L’Agenzia delle Entrate ha, a sua volta, spiegato appello incidentale, lamentando in primo luogo che la Commissione provinciale, nell’accogliere il motivo di opposizione relativo alla somma ripresa a tassazione IRES/IRAP a seguito di rettifica del corrispettivo della locazione, aveva frainteso i fatti di causa, atteso che essa Agenzia aveva preso a riferimento - nel corso della attività di rettifica - non già il canone pattuito tra la N.C. Srl e la L. bensì quello determinato dal L.L. con altro contraente.

La doglianza è priva di pregio, atteso che (come esattamente evidenziato dalla contribuente) la censura del primo giudice riguarda in realtà l’impianto teorico da cui l’attività di accertamento ha preso le mosse (e cioè la circostanza che il canone era inferiore rispetto a quello praticato nei confronti di una società terza).

Va, sul punto, premesso che per le transazioni infragruppo tra società residenti in Italia trova applicazione il principio generale dettato in materia di reddito di impresa per la determinazione dell’imponibile e non già la regola del valore "normale" previsto per le transazioni infragruppo internazionali (come si evince anche dall’art. 5, comma 2, del D.Lgs 14.09.2015 n. 147); ne consegue che il recupero a tassazione operato dall'Ufficio non avrebbe potuto fondarsi esclusivamente sulla difformità del canone praticato dalla N.C. Srl. rispetto a quello applicato nei confronti di una società terza.

Occorre altresì considerare che la ragionevolezza della difformità va necessariamente valutata alla stregua delle caratteristiche oggettive del bene oggetto della locazione.

Ora, come esattamente ritenuto in sentenza, l’Agenzia delle Entrate non ha indicato nell’avviso di accertamento i parametri utilizzati per la rettifica del canone, sicché la statuine adottata dal primo giudice deve essere confermata.

Del tutto infondato è il secondo motivo di gravame (con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 109 del T.U.I.R. per avere la Commissione provinciale "riconosciuto la deducibilità di un costo - non imputato a conto economico - a fronte di una circostanza non provata, vale a dire l’esercizio di un diritto di regresso da parte dell’ing. P. nei confronti della società N. di cui è socio-amministratore"), in quanto la contestazione dell’Ufficio riguardava la sussistenza di una sopravvenienza attiva imponibile a fronte della conclusione dell’accordo con il quale era stato definito il debito della contribuente.

Ma anche l’ulteriore prospettazione difensiva dell’Agenzia, alla stregua della quale non vi sarebbe prova dell’accollo del debito da parte del P., è destituita di fondamento, in quanto (come esattamente ritenuto dal primo giudice) "essendosi quest’ultimo obbligato ad estinguere la debitoria in solido con i debitore principali e avendo provveduto al pagamento della somma sopra detta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1203 n. 3 e 1299 c.c., ha diritto di surrogarsi nei diritti dell’accipiens e di ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi" (v. foll. 9 e 10 sentenza).

Va, infine rigettato l’ultimo motivo dell’appello incidentale, in quanto anche il versamento della somma di euro 400.000,00 in data 30.05.2008 risulta essere stato effettuato da P.N..

Sussistono giusti motivi, avuto riguardo all’esito finale del giudizio e a tutte le questioni - anche di diritto - trattate, per compensare integralmente tra le parti le spese e competenza di entrambi i gradi del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto dalla N.C. Srl. con atto del 23.09.2016 nei confronti della Agenzia delle Entrate di Cosenza, nonché sull’appello incidentale spiegato dalla predetta Agenzia con atto del 24.10.2016, avverso la sentenza resa in causa tra le stesse parti dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza in data 22.01/23.02.2016, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, in parziale riforma così provvede:

1) ridetermina in euro 4.515.436,30 la sopravvenienza attiva da assoggettare a tassazione;

2) compensa le spese e competenze del doppio grado del giudizio.