Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 maggio 2018, n. 11334

Rapporto di lavoro - Svolgimento delle funzioni dirigenziali - Differenze retributive - Retribuzione di posizione e di risultato

 

Ritenuto

 

1. che la Corte d'Appello di Catanzaro, pronunciando sull'impugnazione proposta da D.V.A. nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia delle entrate, accoglieva l'appello e in riforma della sentenza emessa tra le parti dal Tribunale accertava che le Amministrazioni erano tenute a pagare al D.V. le differenze retributive per lo svolgimento di incarico dirigenziale ricoperto per il periodo dal 1° luglio 1998 al 3 gennaio 2000, oltre interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo.

Assumeva la Corte d'Appello che nella specie non poteva trovare applicazione l'istituito della reggenza atteso che il lavoratore era stato incaricato (non in via di fatto) per un lungo periodo (sia pure la controversia in ragione della giurisdizione atteneva al periodo 1° luglio 1998 al 3 gennaio 2000) dello svolgimento delle funzioni dirigenziali e non temporalmente, con conseguente diritto alle differenze retributive in ragione del trattamento retributivo inerente le mansioni svolte, atteso anche lo svolgimento in via esclusiva degli incarichi ricevuti.

2. Per la cassazione della sentenza resa in appello ricorrono il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate, prospettando un motivo di ricorso.

3. Resiste il lavoratore con controricorso, assistito da memoria depositata in prossimità dell'adunanza camerale.

 

Considerato

 

1. che con il motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 12, comma 3, del d.l. n. 79 del 1997, conv. dalla legge n. 140 del 1997, del D.M. n. 2592 del 1998 e dell'art. 2103 cod. civ., nonché dell'art. 1362 cod. civ. e ssg. cod. civ., con riferimento all'art. 24, comma 5, del CCNL comparto Ministeri 1998/2001, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

I ricorrenti richiamano Cass., S.U., n. 3814 del 2011, e affermano che nella specie la Corte d'Appello non aveva tenuto conto della situazione straordinaria dell'organizzazione amministrativa in questione, atteso che all'epoca il soppresso ministero delle finanze si trovava a gestire una situazione complessa relativamente alla designazione dei nuovi dirigenti. Peraltro, nel periodo considerato (1° luglio 1998 al 3 gennaio 2000) il D.V. percepiva specifica retribuzione costituita dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato propria dell'ufficio dirigenziale, in virtù di decreto del Ministero delle finanze n. 2592 del 2 febbraio 1998. Pertanto in ragione della straordinarietà della situazione non poteva trovare applicazione l'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, ma la disciplina richiamata nell'epigrafe del motivo di ricorso. L'art. 12, comma 3, del d.l. 97 del 1997 prevedeva "Con decreto del Ministro delle finanze, tenuto conto della specificità dei compiti e delle funzioni inerenti alle esigenze operative dell'amministrazione finanziaria, vengono individuate, sentite le organizzazioni sindacali, le modalità e i criteri di conferimento delle eventuali reggenze degli uffici di livello dirigenziale non generale e definiti i relativi aspetti retributivi in conformità con la disciplina introdotta dal contratto collettivo nazionale di lavoro inerente alle medesime funzioni". Il DM 2592 del 1998, di attuazione, attribuiva la retribuzione di posizione e di risultato ma nella misura prevista per il personale delle qualifiche dirigenziali, ma rimaneva il trattamento stipendiale stabilito contrattualmente per la qualifica rivestita.

2. Il motivo non è fondato.

Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi più volte espressi da questa Corte secondo cui nell'incontestato svolgimento da parte dei funzionari incaricati di funzioni dirigenziali, ai quali la retribuzione di risultato è stata corrisposta come affermano le stesse Amministrazioni, in assenza della apertura del procedimento di copertura del posto vacante e per tempi ben più lunghi di quelli ordinariamente previsti per tale copertura, trova applicazione il principio secondo cui le disposizioni che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate nel rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e d.lgs. n. 165 del 2001, art. 52).

3. In continuità con l'indirizzo giurisprudenziale più volte espresso da questa Corte (Cass., n. 10628 del 2017), deve ritenersi che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori con conseguente diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive tra cui il trattamento economico percepito e quello proprio delle superiori mansioni (cfr. Cass. SS.UU. 3814/2011 e 4963/2011; Cass. 256363/2016, 18680/2015, 16889/2015, 7823/2013, 2534/2009; 22932/2008, 25363/2016).

L'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pienezza delle relative funzioni, e con l'assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, non può che comportare, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione dell'intero trattamento economico e che nelle differenze retributive vanno ricompresi anche gli elementi accessori e, dunque sia la retribuzione di posizione che quella di risultato (Cass. SSUU 3814/2011; Cass. 256363/2016, 3311/2015, 29671/2008).

4. Il ricorso deve essere rigettato.

5. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000.00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.