Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 novembre 2016, n. 22664

Riduzione del personale - Licenziamento - Criteri di scelta - Accordo sindacale

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3 settembre 2013, la Corte d'Appello di Catanzaro, confermava la decisione del Tribunale di Catanzaro e accoglieva la domanda proposta da F.D.L. nei confronti di AZ S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Società all'esito di una procedura di riduzione del personale ex L. n. 223/1991 definita con accordo sindacale del 14/21.12.2009 che assumeva distinta da altra procedura analoga definita con il successivo accordo sindacale del 2.7.2010.

La Corte territoriale, come il primo giudice, aderiva a tale prospettazione basata sulla distinzione delle due procedure, rigettando la tesi della Società per cui la seconda definita con l'accordo sindacale del 2.7.2010 fosse la mera prosecuzione della prima e dichiarava inefficace il provvedimento, a motivo della violazione dei criteri di scelta applicati, relativamente al settore macelleria, interessato dalla riorganizzazione, distintamente per singoli punti vendita e non come prevedeva l'accordo sindacale del 14/21.12.2009 con riguardo all'intera azienda, condannando altresì la Società al risarcimento del danno biologico denunciato dal lavoratore e, secondo la Corte territoriale, risultato provato quanto al nesso di causalità e all'entità.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l'impugnazione a due motivi, poi, sia pur tardivamente, illustrati con memoria cui resiste, con controricorso, il D.L..

Nel frattempo con successiva sentenza del 23 dicembre 2013, la Corte d'Appello di Catanzaro, riformando solo in punto spese di lite la decisione resa dal Tribunale di Catanzaro, rigettava viceversa la domanda proposta da F.D.L. nei confronti di A.Z. S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Società all'esito di quella seconda procedura di riduzione del personale ex L. n. 223/1991.

La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto inammissibile in quanto tardiva la prospettazione di una causa petendi fondata sui vizi della procedura ex L. n. 223/1991. non formulata, come imponeva la deducibilità ad onere di parte dei predetti vizi, in primo grado, ove il D.L. aveva censurato il licenziamento esclusivamente in relazione alla pendenza della lite sul precedente licenziamento ed altresì infondata l'eccezione sollevata dalla Società allora appellata di decadenza del D.L.

dall'impugnazione del recesso per doversi ritenere il licenziamento comunicato in data 14 novembre 2011.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il D.L. affidando l’impugnazione a tre motivi. La Società è rimasta intimata.

 

Motivi della decisione

 

In via preliminare si procede alla riunione dei ricorsi di cui sopra in conformità all'orientamento espresso da questa Corte (cfr. Cass. 13.9.2005, n. 18125) secondo cui "L'istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse previsto dall'art. 274 c.p.c.. in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia ed in conformità al ruolo della Corte di Cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l'esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale".

Venendo all'esame del ricorso proposto dalla Società avverso la sentenza resa dalla Corte d'Appello di Catanzaro in data 3 settembre 2013 e contrassegnata dal n. 1159/13, lo stesso, non corredato, all'atto del deposito, della copia autentica della sentenza impugnata deve essere dichiarato improcedibile ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., intendendo il Collegio dare continuità al l’orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 8.7.2015, n. 14207), che esclude che al mancato deposito di tale copia autentica possa supplirsi con la conoscenza che della stessa sentenza si attinga da altri atti del processo e, in particolare, dalla copia depositata dalla controparte o dall'esistenza della sentenza nel fascicolo d’ufficio. Tanto si dispone con attribuzione delle spese in favore del D.L. che ha resistito, con controricorso, all'impugnazione.

Quanto al ricorso proposto dal D.L. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro del 23 dicembre 2013, n. 1507/13 ne vanno esaminati i tre motivi su cui esso si articola, tutti intesi a censurare sotto diversi profili la non conformità a diritto della pronunzia di inammissibilità del ricorso in appello proposto dall'odierno ricorrente, per effetto della quale la Corte territoriale ha ritenuto di non poter sindacare nel merito, in conformità alla domanda di cui al ricorso introduttivo, la legittimità dell’ulteriore licenziamento intimato al ricorrente medesimo dalla Società, all’esito di una seconda procedura di riduzione del personale definita con accordo sindacale in data 2 luglio 2010.

Tali motivi, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente rilevandone sin d'ora l’infondatezza.

In effetti, il primo motivo, con il quale il ricorrente, mentre denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, comma 2, 1345 e 1324 c.c. lamenta poi l'omessa pronunzia da parte della Corte territoriale in ordine all'eccezione di nullità del licenziamento, a suo dire tempestivamente sollevata già in primo grado e motivata in relazione al carattere ritorsivo dello stesso, ampiamente desumibile dalla motivazione espressa dalla Società con la comunicazione del licenziamento, per la quale l'attuata riduzione di personale avrebbe riguardato tutti coloro che appartenenti alla categoria di dipendenti indicata come in esubero (macellai) e licenziati già all’esito della prima procedura, fossero stati per qualsiasi motivo reintegrati in servizio, risulta infondato, a prescindere dai profili di inammissibilità, ravvisabili in relazione all'inesatta individuazione del riferimento normativo della proposta impugnazione (si tratterebbe infatti di un error in procedendo censurabile ai sensi dell'art. 112 c.p.c.) ed alla violazione del principio di autosufficienza, non recando il ricorso indicazione alcuna in ordine alla tempestiva proposizione dell'eccezione di nullità. L'infondatezza si ricollega all'operatività del principio, costantemente affermato da questa Corte e richiamato dallo stesso ricorrente, per il quale la riconducibilità del provvedimento espulsivo ad un intento ritorsivo del datore è ammissibile solo quando tale motivo illecito risulti essere unico e determinate rispetto alla manifestazione di volontà del datore, ovvero solo quando quella manifestazione di volontà non sia improntata ad altro scopo, a prescindere dalla legittimità o meno dell’atto posto in essere.

Ebbene, nella specie, contrariamente a quanto qui assume il ricorrente, la sussistenza di un motivo illecito unico e determinante va esclusa in radice, avendo, al contrario, lo stesso ricorrente riconosciuto come la Società datrice avesse dato corso nei suoi confronti ad un licenziamento per riduzione del personale nell'ambito di una procedura che aveva anche ottenuto il consenso sindacale, per cui quel riconoscimento e la qualificazione giuridica del provvedimento che ne derivava doveva necessariamente costituire il parametro dell'impugnazione, così che la stessa avrebbe dovuto incentrarsi sulle eventuali deviazioni della procedura in concreto espletata rispetto al relativo schema legale.

Ma di tanto, come correttamente rilevato da entrambi i giudici del merito, non si trova riscontro nell'impostazione del ricorso introduttivo, il che rende ragione della legittimità della pronunzia di inammissibilità resa dalla Corte territoriale a fronte del recupero di quell'impostazione, ovvero della prospettazione di vizi propri della procedura di riduzione

del personale con specifico riguardo alla violazione dei criteri di scelta, tentata dall'odierno ricorrente in sede di gravame.

Si tratta, infatti, di un tentativo da giudicarsi effettivamente tardivo e, come tale, contrastante con il disposto dell'art. 437 c.p.c., alla cui osservanza, diversamente da quanto denunciato dal ricorrente con il terzo motivo, la pronunzia è correttamente improntata ed, altresì, insuscettibile di trovare legittimazione, come al contrario pretenderebbe il ricorrente con il secondo motivo, in base al richiamato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 23.8.2004, n. 16588), non trattandosi qui di ammettere, come appunto insegna questa Corte, l'alleggerimento dell'onere della prova della violazione dei criteri di scelta dei licenziandi gravante sul lavoratore a fronte dell'inadeguatezza della comunicazione proveniente dal datore in ordine all'applicazione degli stessi, ma di sopperire a carenze di allegazione non superabili neppure con il ricorso ai poteri istruttori d'ufficio del giudice. Anche il ricorso del D.L. va dunque rigettato senza attribuzione di spese per non aver la Società intimata svolto alcuna attività difensiva.

Non si provvede sull'istanza di liquidazione delle spese in favore del difensore del D.L., ammesso al gratuito patrocinio dello Stato, essendo a ciò competente la Corte d'Appello a quo, ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi, dichiara improcedibile il ricorso della Società, rigetta il ricorso del D.L.. Condanna la Società a pagare al D.L. la spese conseguenti alla sua soccombenza nella propria impugnazione che liquida in euro 100.00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Nulla per le spese relative al ricorso di D.L..

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della Società ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso dalla stessa proposto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.