Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 novembre 2016, n. 47239

Tributi - IVA - Omesso versamento - Responsabilità - Sanzioni

 

1. La Corte d'Appello di Salerno con sentenza del 20 maggio 2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Salerno (6 maggio 2009) assolveva V.S. dal reato di cui al capo A, e rideterminava la pena per il residuo reato di cui al capo B in mesi 6 di reclusione (capo B, art. 81, 110 cod. pen. e art. 10 ter del d. Igs 74 del 2000, perché nella qualità di co-amministratore e gestore della società L., in concorso con S.G. - già giudicato con rito alternativo - ometteva il versamento IVA per € 1.012.022,91 dovuta per la dichiarazione del 2005. In Salerno il 28 dicembre 2016).

2. L'imputata propone ricorso per Cassazione, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p..

2. 1. Nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 10 ter d. Igs n. 74 del 2000, in relazione all'art. 110 e 62 bis del cod. pen.

Illogicità della motivazione.

La ricorrente avrebbe commesso le condotte di cui al capo B quale amministratore di fatto, insieme all'amministratore S.G..

La sentenza impugnata individua la responsabilità in sole sei righe; sulla base della contestazione che individua la ricorrente come co - amministratore e gestore della società e solo sulla testimonianza di Vitale si è pervenuti all'affermazione di responsabilità per il reato proprio di omesso versamento IVA, art. 10 ter, d. Igs. 74 del 2000.

Non ci sono riscontri probatori sulla qualità di amministratore di fatto della ricorrente, la stessa è solo socia del 50 % del capitale sociale.

L'unico tenuto al versamento dell'imposta era l'amministratore S.G..

Gli stessi operatori della Guardia di Finanza avevano ritenuto la ricorrente solo responsabile per l'art. 11 del d. Igs. 74 del 2000, per il quale il P.M. richiedeva l'archiviazione.

Il reato di omesso versamento IVA è un reato proprio, di chi è tenuto alla dichiarazione ed al versamento, il legale rappresentante.

Niente è stato provato se non le presunzioni riferite dal teste M.llo V.. Il teste afferma di aver appreso le notizie dal S..

Gli elementi di segno opposto non sono stati presi in considerazione dalla Corte di appello, il consulente D.C.A. ha dichiarato di aver lasciato la documentazione fiscale all'amministratore. Questo denota che la ricorrente era all'oscuro della situazione contabile, e degli adempimenti.

Sulla pena si osserva che la ricorrente è incensurata e meritava le generiche e la non menzione, pure invocata nei motivi di appello.

Infine si rileva la prescrizione maturata il 28 giugno 2014.

Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Considerato in diritto

 

3. il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

La sentenza impugnata (e già la decisione di primo grado, in doppia conforme) ritiene che la ricorrente abbia agito nella veste di amministratore di fatto: "Il reato è stato correttamente contestato alla V. in concorso con il legale rappresentante - che sembrava invece ignorare le vicende societarie - quale amministratore di fatto della società, dal momento che la stessa oltre ad essere fisicamente presente nella sede dell'azienda, intratteneva in concreto i rapporti commerciali con le altre aziende e gestiva il pacchetto clienti ed il pacchetto fornitori".

Con il ricorso la V. S. ritiene che responsabile del delitto di cui all'art. 10 ter, del d. Igs. 74 del 2000 sia solo l'amministratore, reato proprio, l'unico tenuto al versamento.

Contesta poi solo genericamente la sua qualità di amministratore di fatto, ma non fornisce elementi concreti (solo prospettazioni teoriche soggettive) di prova per la ricostruzione alternativa.

La regola dell’ <<al di là di ogni ragionevole dubbio>>, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali. (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 260409).

Del resto l'accertamento degli elementi sintomatici in grado di rilevare la gestione o la cogestione della società da parte di un amministratore di fatto è apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, qualora sostenuto da motivazione congrua e logica (vedi Sez. 5, n. 35249 del 03/04/2013 - dep. 21/08/2013, Stefanini e altro, Rv. 255767); inoltre "In tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale". (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014 - dep. 27/05/2015, Berni e altri, Rv. 264009; vedi anche Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013 - dep. 22/08/2013, Tarantino, Rv. 256534).

3.1. Accertata la qualità di amministratore di fatto (come motivato adeguatamente nella sentenza impugnata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità) deve analizzarsi la responsabilità dello stesso nei reati propri, quale quello in analisi.

In linea generale il concorso dell'extraneus nel reato proprio è configurabile, quando vi è volontarietà (dolo) della condotta dell'extraneus di apporto a quella dell'intraneus (Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 - dep. 23/03/2016, Morosi e altri, Rv. 267059; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 - dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 246879).

La configurazione dell'amministratore di fatto inoltre è legislativamente prevista nell'art. 2639, comma 1, del Codice civile: "Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione". L'amministratore di fatto oltre ai reati societari, di cui all'art. 2639 cod. civ., risponde anche di altri reati commessi in tale veste (vedi Sez. 5, n. 39535 del 20/06/2012 - dep. 08/10/2012, Antonucci, Rv. 253363, per i reati fallimentari, e Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 - dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962, per i reati finanziari del d. Igs. n. 74 del 2000).

In giurisprudenza quindi si è giustamente posto l'accento non sul dato formale (amministratore di diritto, prestanome) ma sul criterio funzionalistico, o dell'effettività, e il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale.

4. Conseguentemente la prospettiva dalla quale parte la ricorrente deve essere capovolta nel senso che, in base ai principi dianzi esposti, il vero soggetto qualificato (e responsabile) non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in condizione di compiere l'azione dovuta (il pagamento delle imposte, IVA nel nostro caso) mentre l'estraneo è il prestanome. A quest'ultimo una corresponsabilità può essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 cod. civ., in forza della quale l'amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi. Nelle occasioni in cui questa Corte si è occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della società, ha individuato nell'amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l'evento che in base alla norma citata aveva il dovere di impedire (Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 - dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962; Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016 - dep. 18/04/2016, Gagliotta, Rv. 266757; "Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l'amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta, mentre l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento - artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ. -, a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice", Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015 - dep. 24/09/2015, Biffi, Rv. 264971).

Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d'ingerenza nella gestione della società per addebitargli il concorso, questa Corte ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale; il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi a tale carica (Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015 - dep. 18/02/2015, Fasola, Rv. 262767; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014 - dep. 27/10/2014, Regoli ed altri, Rv. 261814).

Si può discutere se ed entro quali limiti la mera assunzione della carica possa giustificare l'affermazione di responsabilità anche del prestanome, ma è fuori discussione che l'autore principale è colui che, sia pure di fatto, ha l'amministrazione della società.

4.1 In base al d.P.R. n. 322 del 1998, art. 1, comma 4, la dichiarazione dei soggetti diversi dalle persone fisiche è sottoscritta a pena di nullità dal rappresentante legale e, in mancanza, da chi ne ha l'amministrazione anche di fatto, o da un rappresentante negoziale. Inoltre, il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando manca la nomina, ma anche in presenza di un prestanome che non ha alcun potere o ingerenza nella gestione della società e, quindi, non è in condizione di presentare la dichiarazione (ed adempiere agli obblighi fiscali derivanti dalla stessa) perché non dispone dei documenti contabili (e delle somme) detenuti dall’amministratore di fatto. In tale situazione il reale responsabile penale è colui che, sia pure di fatto, ha l'amministrazione della società, mentre al prestanome il fatto potrebbe essergli addebitato, come sopra visto, a titolo di concorso a norma dell'art. 2392 c.c.e art. 40 cpv c.p.a condizione che ricorra l'elemento soggettivo proprio del singolo reato. Tale principio si riscontra anche in materia di sanzioni amministrative tributarie, il d.lgs. n. 472 del 1997, art. 11, parifica il legale rappresentante all'amministratore di fatto sancendo formalmente la diretta responsabilità per le sanzioni anche degli amministratori di fatto ("... o dal rappresentante o dall'amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica ... ").

5. Relativamente alla mancata concessione delle generiche e alla non menzione la Corte di appello con motivazione adeguata, non contraddittoria e non manifestamente illogica esclude la concessione delle generiche in relazione all’ammontare del debito, oltre il milione di €.

La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell'esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici. (Sez. 2, n. 5638 del 20/01/1983 - dep. 14/06/1983, ROSAMILIA, Rv. 159536; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716; Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011 - dep. 12/04/2011, Belluso e altri, Rv. 249731).

Le attenuanti generiche previste dall'art. 62-bis cod. pen. sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigidità dell'originario sistema di calcolo della pena nell'ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorché questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite, con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perché il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può, quindi, dar luogo né a violazione di legge, né al corrispondente difetto di motivazione. (Sez. 3, n. 44883 del 18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Cavicchi, Rv. 260627).

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.