Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 29 marzo 2018, n. 7842

Accertamento rapporto di lavoro subordinato - Condanna al pagamento delle differenza retributive - Deduzione di rapporto di lavoro part-time - Necessità della forma scritta - Onere di prova a carico del datore di lavoro - Inidoneità - Presunzione di normalità dell’orario a tempo pieno

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Roma, con sentenza del 12.4.2012, respingeva il gravame proposto da B. M. avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da Di P. A. riconoscendo come provata la sussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato e disponendo la condanna del B. al pagamento della somma di euro 42.141,45, inferiore a quella richiesta, per effetto della detrazione di importi per ferie, festività e permessi asseritamente non goduti, ritenendone indimostrato il mancato godimento;

2. riteneva la Corte che la prova del rapporto intercorso tra le parti e della sua natura era integrata dalla dichiarazione del 10.4.2006, a firma dello stesso B., avente valore confessorio con riguardo alla decorrenza del rapporto ed alla attività di segretaria amministrativa resa dalla P. a favore dello studio tecnico-legale del primo, indipendentemente dal motivo per il quale la dichiarazione era stata resa (si assume che era stata rilasciata per favorire la ricorrente nell'assunzione in Banca al posto del padre) e che ulteriori elementi probatori acquisiti ne avevano confermato il contenuto, suffragando la presenza costante della lavoratrice nell'organizzazione dello studio e la messa a disposizione delle energie lavorative della predetta a favore delle varie esigenze del B., a fronte di un compenso fisso mensile, senza alcuna assunzione di rischio. Riteneva, poi, la Corte che l'assunto di un orario ridotto non aveva trovato conferma nelle testimonianze e che doveva aversi riguardo al principio di presunzione di normalità dell'orario di lavoro in 40 ore settimanali, desumibile dal d. Igs. 66/2003 e dalla disciplina del part time quale eccezione in forma scritta alla regola generale;

4. di tale pronunzia domanda la cassazione il B., che affida la impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Di P., assumendo preliminarmente la mancanza di specificità di procura speciale apposta al ricorso, per mancanza di indicazione nella stessa del provvedimento impugnato;

 

Considerato che

 

1.1. con riguardo all'eccezione relativa alla valida costituzione del ricorrente, il riferimento alla delega alla rappresentanza e difesa nel giudizio in cassazione "di cui al presente atto" contenuta a margine del ricorso è sufficiente ad integrare una procura speciale, in coerenza con quanto affermato da Cass. 30.11.2016 n. 24422 e Cass. 28.7.2017 n. 18834, con riguardo al rispetto dei requisiti previsti dall'art. 83, 3° co., c.p.c.;

1.2. la procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita in epoca anteriore alla notificazione dello stesso, investire espressamente il difensore del potere di proporre il ricorso suddetto ed essere rilasciata in data successiva alla sentenza oggetto dell'impugnazione;

1.3 pertanto, se apposta a margine del ricorso, tali requisiti si desumono, rispettivamente, quanto al primo, dall'essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione che, nell'atto a margine del quale essa è apposta, si fa della sentenza gravata, restando, invece, irrilevante che la stessa sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità (in tali termini Cass. 18834/17 cit.);

2. con il primo motivo, sono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 2730, 2094, 2086 c.c., 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendosi che la dichiarazione confessoria avrebbe presupposto consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto sfavorevole a sé e favorevole all'altra parte, che nella specie non potevano ritenersi esistenti, essendo stata la dichiarazione resa per agevolare la lavoratrice nell'assunzione di successivo impiego in banca e che la dichiarazione concerneva materia indisponibile;

3. con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c., 115 116 e 2697 c.c., 2727 e 2729 c.c., nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta natura ontologicamente subordinata del rapporto di lavoro della Di P., natura desunta dalla stessa configurazione dell'attività svolta nell'ambito dello studio di infortunistica legale, di natura segretariale, ritenuta difficilmente compatibile con un regime di autonomia. Si riporta il contenuto di alcune deposizioni testimoniali che avrebbero avuto riguardo a circostanze idonee, secondo il ricorrente, ad escludere che quest'ultimo impartisse alla Di P. ordini o direttive ed a confortare l'assunto che la seconda svolgesse in proprio attività di vera e propria consulenza infortunistica;

4. in subordine, si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c., 36 Cost., artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, contestandosi l'applicabilità di presunzione di orario a tempo pieno della prestazione lavorativa (40 ore settimanali) e la insussistenza di valida prova, anche per testi, della durata della stessa, a fronte della quale doveva ritenersi per acquisita la deduzione in fatto resa dal B. di una durata della prestazione di circa 20 ore settimanali cui doveva essere rapportata la retribuzione ex art. 36 Cost.;

5. con riferimento al primo motivo, deve rilevarsi che la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale/come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Cass. 16.12.2010 n. 25468 e, ex multis, Cass. 15.12.2008 n. 29316, Cass. 1513/02);

6. quanto al secondo motivo, la denunciata violazione di legge postula l'erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n. 12984/2006);

6.1. allora il motivo che pretenda di desumere tale violazione dall'erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le suddette indicazioni, a ciò dovendo aggiungersi che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi che rivelino l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160);

6.2. quanto all'asserita violazione delle norme processuali indicate, la stessa non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall'erronea valutazione del materiale probatorio. Al contrario, un'autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: - abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d'ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; - abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; - abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; - abbia invertito gli oneri probatori. E poiché, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste. Nella specie, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa - ad onta dei richiami normativi in essi contenuti - si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

7. il terzo motivo, subordinatamente proposto, deve essere pur esso disatteso, in base al principio generale (desumibile dall'art. 2697 cod. civ.) secondo il quale il lavoratore deve fornire la prova del fatto costitutivo della pretesa azionata in giudizio, con la precisazione che, mentre nell'ipotesi in cui chieda l'adeguamento della retribuzione ex art. 36 Cost. fatti costitutivi della sua pretesa sono sia la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, sia l'insufficienza del compenso percepito, nella diversa ipotesi in cui chieda la retribuzione contrattuale fatto costitutivo di tale pretesa è esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato nei parametri necessari e sufficienti per la determinazione del sinallagma contrattuale (cioè la durata e il livello retributivo), laddove grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adempiuto proprie obbligazioni oppure che è intervenuta una causa esonerativa delle stesse totale o parziale (ad esempio perché la prestazione fornita dal lavoratore è stata inferiore rispetto ai parametri cui la retribuzione contrattuale e commisurata - per orario inferiore o per assenze - ovvero perché vi è stata una causa sospensiva della prestazione senza obbligo retributivo corrispettivo etc.). (cfr. Cass. 5.5.2001 n. 6332, Cass. 23.1.2009 n. 1721);

8. poiché il giudice del gravame si attenuto ai principi suesposti cui questa Corte intende dare giuridica continuità, deve pervenirsi al rigetto integrale del ricorso del B.;

9. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, con distrazione della stesse in favore dell'avv. T. S., dichiaratasene antistataria;

10. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all'avv. T. S..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art.13, comma 1bis, del citato D.P.R.