Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 luglio 2017, n. 37855

Reati fiscali - Utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti - Dichiarazione annuale con elementi passivi fittizi

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 27/05/2016, depositata in data 27/07/2016, la Corte d'appello di Lecce confermava la sentenza del medesimo tribunale in data 20/11/2014, che aveva riconosciuto il T., n.q. meglio descritta nell'imputazione, condannandolo alla pena di 8 mesi di reclusione previo riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al co. 3 dell'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000, colpevole del reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti limitatamente alle fatture 9, 25, 27, 28, 63 e 75 del 2008, indicando nella dichiarazione annuale relativa all'anno di imposta 2008 elementi passivi fittizi per un ammontare originario di oltre 55.000 euro, con IVA evasa pari originariamente ad € 11.134,80, reato commesso secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nei capi di imputazione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il T., a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. c) ed e) c.p.p., eccependo la nullità per omessa notifica all'imputato del decreto di citazione in grado di appello.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, fin dalla sottoscrizione dell'atto di nomina il difensore di fiducia del ricorrente in sede di merito aveva dichiarato di rinunciare alla ricezione degli atti per conto dell'imputato come previsto dall'articolo 157 comma 8-bis, c.p.p.; a conferma di quanto sopra il decreto di citazione a giudizio successivo alla presentazione dell'opposizione a decreto penale di condanna risulta essere stato notificato tanto al difensore, nominato nelle more, quanto allo stesso imputato; premesso quanto sopra sarebbe evidente l'erroneità del procedimento di notifica attuato per la notifica del decreto di citazione in grado di appello, che sarebbe stato notificato solo al difensore e non anche allo stesso appellante personalmente; all'udienza 27 maggio 2015 il difensore del ricorrente sollevava l'eccezione che veniva disattesa senza adeguata motivazione da parte dei giudici d'appello; si tratterebbe di una nullità assoluta ed insanabile che travolgerebbe non soltanto il decreto ma anche gli atti ad esso conseguenti, tra cui la sentenza impugnata.

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. d) ed e) c.p.p., in relazione all'omessa riapertura dell'istruttoria ex art. 603 c.p.p.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente il giudice di appello, senza giustificato motivo, non avrebbe statuito sulla richiesta di riapertura dell'istruttoria avanzata nell'atto di appello ex articolo 603 codice procedura penale, riguardante l'escussione davanti al primo giudice, quale testimone della difesa, di tale O.E., titolare della società emittente le fatture asseritamente ritenute false; il primo giudice avrebbe ritenuto la teste a difesa non assumibile come testimone in quanto coimputata j poiché, secondo la tesi accusatoria, avrebbe emesso le false fatture; tale assunto costituirebbe una aporia giuridica oltre ad essere errato da un punto di vista processuale; dagli atti non si rileverebbe infatti la assunzione della veste di indagata della O., che peraltro mai avrebbe potuto assumere la veste di imputata del procedimento atteso quanto disposto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 74 del 2000 che esclude il concorso di reati tra l'emittente e l'utilizzatore di fatture o di altri documenti per operazioni  inesistenti; a ciò si aggiunge che il reato ipoteticamente commesso dalla teste sarebbe comunque coperto da prescrizione; ad analoghe conclusioni si perverrebbe, secondo il ricorrente, con riferimento alla cussione L. S., ex coniuge della O., ritenuto in maniera superficiale l'esecutore materiale degli illeciti asseritamente ascrivibili a quest'ultima; in ogni caso, si osserva, il richiamo alla superfluità dei restanti testi a difesa maschererebbe la necessità di definire il processo per le vie brevi con un sentenza già scritta di condanna; pertanto era stata richiesta la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello al fine di escutere i testi O., L., M.e S., la cui escussione sarebbe stata immotivatamente esclusa dal primo giudice in assenza di un'espressa rinuncia da parte dalla difesa e conseguente accettazione della pubblica accusa, non tenuta debitamente in considerazione nel giudizio d'appello, senza alcun giustificato motivo.

2.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e) c.p.p., in relazione alla ricostruzione dei fatti storici e alla responsabilità dell'imputato odierno ricorrente.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la ricostruzione della vicenda sarebbe avvenuta in maniera assolutamente contraddittoria con riferimento alla fatturazione operata dalla società emittente in favore della società utilizzatrice amministrata dal T., ritenuta per la maggior parte attinente ad operazioni oggettivamente inesistenti; premette il ricorrente che le fatture in contestazione riguardavano operazioni conseguenti alla stipula di una scrittura privata intercorsa tra le parti, avente data certa, che prevedeva il noleggio in favore della società del ricorrente di attrezzature per l'intero anno 2008; sostiene il ricorrente come sia lampante la sussistenza di un collegamento ontologico tra tutte le fatture emesse e il contratto di noleggio stipulato l’11 gennaio 2008; ciò comporterebbe due alternative, la prima quella di ritenere che la falsità delle fatture investa anche la scrittura privata presupposta, anch'essa da ritenersi falsa in quanto avente ad oggetto una operazione oggettivamente inesistente; l'altra quella di non ritenere falsa detta scrittura privata ed allora ciò si riverbererebbe necessariamente su tutte le fatture conseguenti che, pertanto, non dovrebbero attenere ad una operazione inesistente; secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero invece optato per una terza soluzione, ossia assolvere il ricorrente in relazione soltanto a due fatture, la numero 7 e la numero 57, per insussistenza del fatto, pervenendo invece a giudizio di condanna per le restanti fatture; ciò determinerebbe un'evidente violazione di legge in relazione alla particolare tipologia del reato oggetto di contestazione, posto che tutte le fatture emesse e portate in dichiarazione dalla società dell'imputato sono frutto di un unico rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive sicché, pertanto, la soluzione da parte giudici di merito doveva essere unica per tutti i documenti fiscali; a sostegno della esistenza delle operazioni oggetto delle prestazioni fatturate vengono richiamate, attraverso uno stralcio delle trascrizioni delle relative deposizioni, le dichiarazioni rese dal teste L. (funzionario dell'Agenzia delle entrate il quale avrebbe confermato di non aver mai accertato il pagamento delle fatture ne se il ricorrente avesse mai effettivamente svolto per conto di enti pubblici quelle opere per le quali si era servito della collaborazione della società emittente, né avrebbe svolto accertamenti bancari per verificare i pagamenti, sicché ciò minerebbe la tesi accusatoria, essendosi peraltro trascurata la possibilità che il pagamento delle fatture sarebbe ben potuto avvenire per contanti in considerazione dei limiti all'impiego vigenti all'epoca), dai testi C. ed A. (che avrebbero confermato la tesi difensiva circa l'oggettiva sussistenza delle prestazioni portate dalle fatture incriminate); quanto sopra, pertanto, dimostrerebbe come la pubblica accusa non abbia fornito la dimostrazione dell'esistenza degli elementi oggettivi del reato, soprattutto alla luce dei rigorosi oneri probatori desumibili sia dalla giurisprudenza di legittimità che dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea, di cui vengono richiamate alcune decisioni in ricorso, nel senso che non può contestarsi la fittizietà dell'operazione ove non si dimostri il coinvolgimento consapevole dell'imputato nella frode posta in essere da terzi; vi sarebbe in particolare la buona fede dell'imputato desunta dalla sussistenza e regolarità della partita Iva della ditta emittente, ciò che escluderebbe qualsiasi ulteriore onere in capo all'utilizzatore.

2.4. Deduce il ricorrente, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione al quantum della pena applicato.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la sentenza di appello sarebbe del tutto carente di motivazione in ordine all'adeguatezza della pena applicata dal primo giudice; sarebbe erronea infatti l'applicazione dell'istituto della continuazione, tenuto conto della natura del reato che si realizza, indipendentemente dal numero dei documenti per operazioni fittizie di cui il dichiarante si avvalga, solo al momento della presentazione della dichiarazione; da ciò dunque conseguirebbe la necessità di ricondurre la pena ad una quantificazione più mite, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, quanto meno determinandola in misura prossima al minimo edittale.

2.5. Deduce il ricorrente, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all'omessa applicazione dell'art. 131-bis c.p. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, il giudice d'appello avrebbe erroneamente escluso l'applicazione della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità, soprattutto tenuto conto della più recente giurisprudenza di questa Corte, limitandosi ad escludere l'applicazione dell'articolo 131 bis, codice penale, sulla base di un convincimento, quello dell'utilizzo delle fatture asseritamente false in due differenti dichiarazioni, assolutamente privo di riscontro probatorio.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni di seguito esposte.

4. Devono, preliminarmente, essere affrontate in ordine logico le censure afferenti i vizi di violazione della legge processuale, doglianze entrambe infondate.

5. Ed invero, quanto alla questione relativa all'omessa notifica all'imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello, dall'esame del verbale ud. 27.05.2016 e dell'atto di nomina che risulta allegato a tale verbale (cui questa Corte ha doverosamente fatto accesso in quanto giudice del fatto in ragione della natura processuale dell'eccezione: Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 - dep. 28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092), esime che la dichiarazione del difensore di fiducia avv. A.P., resa ai sensi dell'art. 157, co. 8 bis cod. proc.pen., di non accettare le notifiche per conto dell'imputato, risulta apposta in calce alla nomina e al di sotto della sottoscrizione per autentica della firma dell'imputato, non facente dunque parte integrante dell'atto in quanto sprovvista della sottoscrizione del difensore, necessaria per la produzione degli effetti.

6. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, con cui il ricorrente si duole della mancata riapertura dell'istruttoria ex art. 603 c.p.p.

Sul punto, la Corte d'appello motiva a pag. 2, evidenziando che dagli atti era emerso che era solo il L. il testimone cui la difesa non aveva espressamente inteso rinunciare a fronte del provvedimento del primo giudice, dunque doveva ritenersi che egli avesse prestato acquiescenza con riferimento alla teste O..

Ne discende, infatti, che trova applicazione il principio secondo cui qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell'istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata con l'acquiescenza delle parti medesime (Sez. 5, n. 7108 del 14/12/2015 - dep. 23/02/2016, Sgherri, Rv. 266076). Ancora, dalla sentenza impugnata emerge che la revoca del teste L. era stata determinata dal fatto che il medesimo era stato ritenuto poco attendibile (motivazione sul punto invero censurabile), ma soprattutto che il medesimo era da ritenersi "superfluo" ai fini della decisione. In ragione dell'attività istruttoria già svolta, motivazione questa sufficiente a giustificarne la revoca. In ogni caso, va qui ricordato che la parte che intende censurare con ricorso per cassazione l'ordinanza del giudice che, all'esito dell'istruttoria, abbia revocato una prova testimoniale già ammessa è tenuta, in ossequio al principio di specificità di all'art. 581, comma primo, lett. c). cod. proc. pen., a spiegare il livello di decisività delle prove testimoniali che il giudice ha ritenuto superflue (Sez. 6, n. 15673 del 19/12/2011 - dep. 23/04/2012, Ceresoli, Rv. 252581). E tale spiegazione non risulta fornita.

Il motivo si appalesa, pertanto, non solo generico per aspecificità - e dunque inammissibile (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849) - ma anche manifestamente infondato in relazione a quanto dianzi evidenziato, anche per quanto concerne la censurata valutazione di superfluità, trattandosi peraltro di prova rientrante nella previsione del disposto di cui all'artt. 603, comma primo, cod. proc. pen., per cui vale il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, nell'ipotesi di cui all'art. 603, comma primo, cod. proc. pen. la riassunzione di prove già acquisite o l'assunzione di quelle nuove è subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in precedenza siano incerti e che l'incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice è tenuto a disporre l'ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all'art. 495, cod. proc. pen., con il solo limite costituito dalle richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (In motivazione questa Corte ha affermato che, nella prima ipotesi, le ragioni di rigetto possono essere anche implicite nell'apparato motivazionale della decisione adottata, mentre, nel secondo caso, la giustificazione del rigetto deve risultare in modo espresso e compiuto: (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 - dep. 14/11/2016, F, Rv. 268657).

7. Infondato è il terzo motivo, con cui si svolgono censure di vizio di motivazione sulla ricostruzione dei fatti storici e sulla responsabilità dell'imputato. Sul punto, la Corte d'appello svolge un percorso logico - argomentativo in relazione all'identico motivo di appello del tutto immune da censure motivazionali, essendo palese invero la "replica" delle doglianze in sede di ricorso per cassazione senza apprezzabili elementi di novità. Si richiamano, segnatamente, le pagg. 2/3 dell'impugnata sentenza, laddove,in particolare, la Corte territoriale disattende la tesi difensiva circa l'effettiva sussistenza di tutte le prestazioni fatturate e conseguenti alla scrittura privata dell'11.01.2008, osservando come il primo giudice avesse fondato il proprio convincimento principalmente sull'inverosimiglianza del dedotto errore nell'indicazione della targa dei veicoli asseritamente presi a noleggio ma rivelatisi inesistenti. Analogamente, la Corte d'appello confuta adeguatamente la doglianza secondo cui erroneamente egli non sarebbe stato assolto in relazione a tutte le fatture anziché solo in relazione a due di esse, in quanto la tesi non avrebbe alcun fondamento logico, posto che con il motivo, si legge in sentenza, si pone impropriamente in rapporto il momento in cui valutare la sussistenza dell'elemento psicologico del reato con il giudizio in ordine alla sufficienza della prova dell'elemento oggettivo dell'inesistenza delle prestazioni dedotte in fattura. Infine, con analoga solidità logico - argomentativa viene confutata dai giudici territoriali sia la censura relativa alla presunta mancanza di accertamenti da parte del L. sia la questione dell'irrilevanza di quanto dichiarato dai testi a difesa (v. pagg. 3 e 4), osservandosi suI punto che già nella sentenza appellata si era chiarito come la reiterazione in molteplici fatture dell'indicazione della targa di un veicolo inesistente, ed anzi di due diversi autocarri parimenti inesistenti, non potesse ragionevolmente esser frutto di un mero errore, costituendo invece un indice evidente della natura illecita dell'operazione posta in essere e tale, per la Corte d'appello, da rendere impraticabile la valorizzazione di eventuali, assai meno pregnanti elementi presuntivi favorevoli all'imputato.

8. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le censure della difesa si appalesano anzitutto generiche in quanto non si confrontano con le argomentazioni puntuali offerte dai giudici territoriali, di per sé idonee a confutare gli identici motivi di doglianza svolti in sede di appello. Sul punto va qui ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

Le doglianze, inoltre, si appalesano ulteriormente manifestamente infondate in quanto con esse il ricorrente manifesta la erronea percezione dei limiti del sindacato di questa Corte (che, com'è noto, non può esercitare un terzo grado di giudizio di merito, approdando ad una diversa ricostruzione fattuale rispetto a quella cui sono pervenuti i giudici di merito), sicchè è evidente che le predette doglianze difensive, dunque, si risolvono in manifestazioni di dissenso rispetto al percorso argomentativo svolto dai giudici sulle singole questioni dedotte, operazione non consentita in questa sede.

Deve, a tal proposito, essere ribadito che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 - dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Il controllo di legittimità sulla motivazione è, infatti, diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento del materiale probatorio e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l'interpretazione e la consistenza degli indizi e delle prove sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato: ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti ne' su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente (Sez. 6, n. 1762 del 15/05/1998 - dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923).

La sentenza impugnata non merita dunque censura sotto tale profilo.

9. A ciò va peraltro aggiunto un ulteriore profilo di infondatezza conseguente all'errata tecnica impiegata per censurare la valutazione delle dichiarazioni, basata sulla riproduzione di alcuni "stralci" delle deposizioni testimoniali, costituendo ciò un inevitabile limite che non consente di valutare nemmeno il preteso travisamento probatorio da parte dei giudici del merito.

La tecnica del richiamo "a stralcio" delle dichiarazioni al fine di far rilevare il vizio di manifesta illogicità sotto il profilo del travisamento della prova dichiarativa impone pur sempre in questa sede il rispetto del principio della c.d. autosufficienza del ricorso. Ed invero, è stato ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (da ultimo, v.: Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601). E' di palmare evidenza come, nel caso in esame, la tecnica espositiva impiegata dal ricorrente, basata sullo stralcio di alcune frasi risultanti dalle deposizioni testimoniali, seguita dal loro raffronto con le argomentazioni della sentenza impugnata al fine di tentare di dimostrarne l'illogicità, non coglie nel segno e non sfugge alle censure di genericità e di mancato rispetto del principio di autosufficienza.

10. A diverso approdo, invece, deve pervenirsi con riferimento al motivo relativo al quantum di pena applicato a titolo di aumento per la continuazione.

La Corte territoriale, sul punto, supera l'obiezione difensiva sostenendo che la continuazione sarebbe configurabile poiché l'indicazione delle fatture per operazioni inesistenti sarebbe avvenuta sia nella dichiarazione Unico 2009 che nella dichiarazione Irap 2009, presentate dunque in esecuzione dello stesso disegno criminoso.

La motivazione è giuridicamente errata, trovando infatti applicazione il principio già affermato da questa Corte secondo cui in tema di reati finanziari e tributari, l'utilizzo di più fatture contraffatte ed ideologicamente false per la consumazione del reato di dichiarazione infedele mediante mezzi fraudolenti (art. 3, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) non comporta alcun aumento di pena per la continuazione, in quanto costituisce modalità della condotta "unica" realizzata con la presentazione della dichiarazione infedele, essendo configurabile tale delitto anche con l'utilizzo di una sola fattura (Sez. 3, n. 12720 del 14/11/2007 - dep. 26/03/2008, Carbone, Rv. 239340). Trattasi di principio all'evidenza applicabile anche all'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000 avuto riguardo al numero di fatture di cui si contesta la falsità, configurandosi il reato de quo anche con l'utilizzo di una sola fattura, osservandosi ulteriormente l'errore di diritto in cui incorre la Corte territoriale laddove motiva l'aumento irrogato a titolo di continuazione valorizzando la utilizzazione in più separate dichiarazioni, ossia la dichiarazione Unico 2009 e la dichiarazione Irap, laddove, pacificamente, la dichiarazione a fini Irap non rileva agli effetti della configurabilità della fattispecie penale. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale erroneamente ha attribuito rilevanza penale alla dichiarazione IRAP sui redditi relativi all'anno 2008, laddove la legge non conferisce rilevanza penale all'eventuale evasione dell'imposta regionale sulle attività produttive (non trattandosi di un'imposta sui redditi in senso tecnico) e le dichiarazioni costituenti l'oggetto materiale del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali IVA (vedi la Circolare del Ministero dette finanze n. 154/E del 4 agosto 2000, che motiva l'esclusione della dichiarazione IRAP con la natura reale di siffatta imposta, che perciò considera non incidente sul reddito; v., anche, per una fattispecie in materia di sequestro preventivo in relazione all'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000: Sez. 3, n. 11147 del 15/11/2011 - dep. 22/03/2012, Prati, Rv. 252359; v., per un'applicazione con riferimento al delitto di omessa dichiarazione: Sez. 3, n. 12810 del 30/03/2016, Monaco, Rv. 266486).

11. Parimenti fondato deve ritenersi il motivo inerente all'omessa applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. Sul punto, la Corte d'appello si limita ad affermare che gli evidenziati caratteri del fatto non deponessero nel senso della qualificazione del medesimo come particolarmente tenue. La motivazione non è condivisibile.

Premesso che, essendo stata riconosciuta in sede di merito l'ipotesi prevista dall'abrogato comma terzo dell'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000, la speciale causa di non punibilità è senza dubbio valutabile con riferimento ai limiti edittali di pena previsti (Sez. 3, n. 53905 del 01/06/2016 - dep. 20/12/2016, Bencini, Rv. 268775), osserva il Collegio come la valutazione dell'applicabilità della predetta causa di non punibilità deve tenere conto degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. - soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui non sia contestata la reiterazione della condotta in relazione a periodi di imposta diversi (in senso conforme, v. Sez. 3, n. 38488 del 21/04/2016 - dep. 16/09/2016, Masetti, Rv. 267945) - elementi che tuttavia la Corte d'appello valuta esclusivamente esprimendo un giudizio di implicita gravità del fatto, desunta, a proposito del diniego delle attenuanti generiche, dall'uso delle fatture per operazioni inesistenti in due diverse dichiarazioni, dunque come espressione di condotta non episodica, affermazione, questa, come già detto, giuridicamente errata per aver attribuito erroneamente rilevanza penale all'indicazione degli elementi di cui alle ff.oo.ii. nella dichiarazione Irap.

12. Anche in relazione a tale ultimo motivo di ricorso, oltre che con riferimento a quello afferente l'erronea applicazione della continuazione di cui al par. 10, s'impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Lecce, sezione promiscua, per nuovo giudizio.

Solo per completezza, osserva il Collegio, l'annullamento disposto determina l'irrevocabilità della statuizione in ordine all'accertamento della responsabilità, non potendo né dedursi né eccepirsi davanti al giudice del rinvio l'estinzione del reato a seguito della maturata prescrizione, intervenuta il giorno successivo alla presente decisione (30.03.2017). Ciò vale sia con riferimento all'annullamento con rinvio disposto in relazione al trattamento sanzionatorio che per l'annullamento con rinvio disposto in relazione alla valutazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.

Ed invero, si è affermato da questa Corte, da un lato, che in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio le questioni relative - per quanto qui di interesse - alla determinazione della pena, il giudicato formatosi sull'accertamento del reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d'annullamento (v., tra le tante: Sez. 2, n. 8039 del 1/03/2010, Guerriero, Rv. 246806;dall'altro, che, nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale. (Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016 - dep. 18/07/2016, Mazzoccoli e altro, Rv. 26759001).

Nel resto, il ricorso dev'essere invece rigettato per le ragioni indicate.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio ed all'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen., e rinvia per nuovo giudizio sui punti alla Corte d'appello di Lecce, Sezione promiscua. Rigetta nel resto il ricorso.