Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 novembre 2017, n. 28096

Dequalificazione - Reintegra del lavoratore in mansioni professionalmente confacenti - Risarcimento del danno alla professionalità - Durata della dequalificazione - Carenza di prova - Ricorso del giudice a presunzioni ed alla esplicazione dei poteri istruttori d’ufficio - Non sussiste - Necessità di specifica allegazione da parte del lavoratore

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 442 /2012 la Corte d'appello di Milano, pronunziando sull'impugnazione di P. G., originario ricorrente, ha confermato la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda del lavoratore, aveva accertato la dequalificazione dallo stesso subita in relazione al periodo decorrente dall'ottobre 2002 e condannato la resistente T. I. s.p.a. alla reintegra del lavoratore in mansioni professionalmente confacenti a quelle in precedenza svolte, escludendo il diritto al risarcimento del danno.

1.1. In merito alla statuizione risarcitoria, l'unica investita da gravame, il giudice di appello, rilevato che secondo il giudice di primo grado il lavoratore non aveva, in concreto, provato il venir meno delle capacità professionali a seguito della sottrazione di mansioni, premesso che con le conclusioni spiegate nel ricorso introduttivo il G. aveva chiesto esclusivamente il risarcimento del danno alla professionalità e, quindi, un danno di natura meramente patrimoniale, ha osservato che sia in prime che in seconde cure tale richiesta era stata fondata sulla durata del periodo di dequalificazione e sul pregiudizio subito per il fatto di essere stato allontanato da un settore, quello dell'edilizia, caratterizzato da un costante aggiornamento normativo e dall'uso di applicativi informatici in continua evoluzione; in relazione a tale secondo profilo il G., tuttavia, aveva valorizzato, al fine della configurabilità del pregiudizio, l'attività svolta fino al 1998, senza nulla argomentare per il periodo successivo - fino all'ottobre 2002-, rispetto al quale il giudice di prime cure, con statuizione non impugnata, aveva escluso la dequalificazione sul rilievo della equivalenza delle nuove mansioni rispetto a quelle svolte in precedenza; il lavoratore aveva, quindi, utilizzato quale parametro di confronto mansioni ormai remote nel tempo le quali, certamente, non potevano, "quantomeno da sole considerate", rappresentare il solo criterio di valutazione al fine del decidere; da quanto sopra scaturiva che l'unico profilo valutabile dal Collegio al fine della pretesa risarcitoria era costituito dalla durata della dequalificazione, rapportata al periodo decorrente dall'ottobre 2002, elemento questo, tuttavia, che in assenza di ulteriori ed adeguate allegazioni, risultava inidoneo a sorreggere, anche solo in via presuntiva, le deduzioni attoree; infine, le deduzioni in ordine al danno non patrimoniale andavano disattese, sia perché non oggetto di conformi conclusioni nella domanda di primo grado sia perché, pur volendo ritenere, che il ricorrente avesse comunque inteso richiedere anche il ristoro di tale pregiudizio, la relativa richiesta non era sorretta da adeguate allegazioni risultando le stesse incentrate, anche in questo caso, sul riferimento ad un periodo risalente e sulla durata della dequalificazione, per cui valevano le considerazioni a riguardo sviluppate in ordine al danno professionale.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P. G. sulla base di due motivi.

3. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

4. Parte ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2013 cod. civ., anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e agli artt. 1226, 2728 e 2729 cod. civ.; si censura la decisione per avere, in sintesi, negato, in sostanziale violazione dei principi affermati dal giudice di legittimità, il diritto al risarcimento, avendo il giudice di seconde cure riconosciuto che il ricorrente aveva allegato elementi rilevanti, seppure senza, fornire la prova circa la "misura" di tale danno; tali elementi, costituiti dal pregresso svolgimento di mansioni in continua evoluzione e dalla durata della dequalificazione subita, erano idonei a giustificare il ricorso al ragionamento presuntivo in merito alla sussistenza ed entità dell'allegato pregiudizio, in conformità delle indicazioni del giudice di legittimità ( Cass. 4/4/2007 n. 8475, 21/6/2006 n. 14302).

2. Con il secondo motivo si deduce omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti, osservandosi che le caratteristiche delle mansioni svolte nel periodo dal 1998 al 2002 periodo in relazione al quale era stata esclusa la dequalificazione, non potevano che considerarsi analoghe a quelle del periodo precedente; pertanto, nel momento in cui il lavoratore aveva dedotto che l'attività da lui svolta necessitava "di continuo aggiornamento normativo" ciò stava a significare che egli aveva allegato che le mansioni di sua pertinenza erano tali da subire un inevitabile deterioramento anche in termini di obsolescenza delle competenze acquisite, in caso di mancato esercizio protratto nel tempo; in ordine al pregiudizio alla situazione psicofisica si osserva che la domanda di primo grado conteneva specifiche affermazioni, supportate da allegata relazione medica, in ordine al pregiudizio psicofisico sofferto a causa della situazione lavorativa, corredate da richiami alla giurisprudenza di legittimità. Si chiede, quindi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la determinazione in via equitativa del risarcimento.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto ancorato all'insussistente presupposto che il giudice di appello avrebbe riconosciuto la sufficienza e rilevanza degli elementi allegati ed avrebbe respinto la domanda risarcitoria solo per carenza di prova in ordine alla misura del pregiudizio asseritamente subito dal lavoratore. Invero, a differenza di quanto assume parte ricorrente, dalla complessiva lettura della sentenza impugnata si evince che il giudice di appello, premessa la necessità di allegazione in concreto del pregiudizio del quale era chiesto il ristoro, ha espressamente affermato la inidoneità a riguardo degli elementi offerti da parte attrice, per essere le allegazioni attoree riferite ad un periodo non immediatamente precedente a quello nel quale si era realizzata la dequalificazione; le allegazioni relative alla esigenza di continuo aggiornamento normativo e di evoluzione degli applicativi informatici si riferivano infatti espressamente all'epoca nella quale il G. era stato addetto al settore dell'edilizia di talché non se ne potevano trarre implicazioni in merito al preteso danno alla professionalità, per effetto della dequalificazione subita nel periodo successivo a quello nel quale il G. era stato adibito a mansioni amministrative, ritenute, con statuizione non investita da gravame, equivalenti a quella in precedenza svolte. In tale contesto argomentativo il riferimento, in motivazione, al "difetto di significativa allegazione circa la misura del danno subito in un così significativo arco temporale senza dubbio impoverisce la tesi dell'appellante che valorizza mansioni ormai remote nel tempo e che certamente non possono (quantomeno da sole considerate) rappresentare il solo metro di valutazione al fine del decidere" costituisce argomentazione aggiuntiva destinata ad avvalorare l'assunto della carenza di adeguate allegazioni relative al pregiudizio sofferto, e non, come sembra presupporre parte ricorrente, a giustificare il rigetto della domanda sul rilievo della mancata precisazione del pregiudizio sofferto.

3.1. In questa prospettiva non è ravvisabile, con riferimento all'art. 2103 cod. civ., alcun errore di diritto del giudice di secondo grado, avendo questi dato coerente applicazione al principio, consolidatosi a partire da Cass. Sezioni U. 24/03/2006 n. 6572, secondo il quale il riconoscimento del danno professionale richiede un adeguato compendio di allegazione da parte del lavoratore; deve, inoltre, osservarsi che, se è vero, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, che dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti si può, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (v. tra le altre, Cass. 19/9/2014, n. 19778, Cass. 10/4/2010, n. 8893), questo non esclude, comunque, la necessità di specifica allegazione da parte del lavoratore degli elementi di fatto sui quali fondare la valutazione presuntiva, valendo il principio generale per cui il giudice - se può sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla esplicazione dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall'art. 421 cod. proc. Civ. - non può, invece, mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto (v., tra le altre, Cass. Sezioni U. 3/2/1998 n. 1099). Nel caso di specie il giudice di secondo grado ha ritenuto che tale onere di allegazione non era stato assolto ed il relativo accertamento si sottrae al sindacato di legittimità in quanto sorretto da motivazione congrua ed adeguata (v., tra le altre, Cass. 09/09/2008 n. 22893). L'accertamento del giudice di merito, in particolare, non appare in alcun modo inficiato dalle generiche deduzioni del ricorrente - prive, peraltro, della riproduzione dei pertinenti brani della domanda introduttiva - destinate, in tesi, a dimostrare, in particolare, la riferibilità - esclusa dal giudice d'appello - anche al periodo decorrente dal marzo 1998, nel quale il G. non operava più nell'ambito del settore edile, di quelle esigenze collegate al continuo aggiornamento normativo ed all'evoluzione degli applicativi informatici, specificamente prospettate con riguardo alle mansioni espletate nel settore edile.

4.Il secondo motivo è anch'esso da respingere.

4.1. In relazione al profilo con il quale si denunzia vizio di motivazione, deducendosi che il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che le caratteristiche ravvisabili nelle mansioni svolte nel periodo 1998 /2002 non potevano che considerarsi analoghe a quelle del periodo precedente per cui valevano le medesime deduzioni a riguardo svolte in ordine alla necessità di aggiornamento continuo e di obsolescenza delle conoscenze, si rileva la inammissibilità della censura in quanto, al fine di contrastare la diversa ricostruzione operata dal giudice di merito, parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre la errata interpretazione del contenuto della originaria domanda e, prima ancora riprodurre, in maniera completa le parti di pertinenza al fine di consentire la verifica ex actis al giudice di legittimità della fondatezza degli assunti alla base delle doglianze articolate.

4.2. In ordine alle censure concernenti il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale si rileva che l’accertamento del giudice di merito, secondo il quale le allegazioni attoree, analogamente a quanto avvenuto per il danno professionale si riferivano ad un periodo risalente nel tempo e risultavano sostanzialmente intese a valorizzare esclusivamente la durata della dequalificazione, senza ulteriori elementi, non risulta contrastato è frutto di un ragionamento privo di incongruità e illogicità che in quanto tale si sottrae al controllo del giudice di legittimità.

5. A tanto consegue il rigetto del ricorso.

6. Le spese sono regolate secondo soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.