Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 novembre 2017, n. 28075

Riscossione - Accertamento - Art. 6, co. 2, D.P.R. n. 917/1986 - Risarcimento del danno conseguente alla perdita reddituale - Tassazione - Minima parte - Sussiste

 

Rilevato che L. P. ricorre con due mezzi nei confronti dell'Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso) avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio — pronunciando in controversia relativa all'impugnazione del diniego di rimborso parziale delle ritenute Irpef operate sulle somme corrisposte in suo favore dal Ministero degli affari esteri, in esecuzione di sentenza del giudice del lavoro, a titolo di risarcimento del danno conseguente alla perdita patrimoniale subita dal 1997 al 2001 per la mancata percezione dell'assegno personale di sede all'estero — ha rigettato l'appello del contribuente, ritenendo legittima l'operata tassazione;

che a fondamento della decisione la C.T.R. — esclusa la sussistenza di vincolo di giudicato derivante dalla sentenza n. 512/16/11 del 1 dicembre 2011 con cui la C.T.P. di Roma, in parziale accoglimento del ricorso proposto dallo stesso contribuente avverso la cartella di pagamento (con la quale, determinata in € 28.989,30 la complessiva imposta dovuta, detratto l'importo già trattenuto, l'Ufficio aveva ingiunto il pagamento del residuo saldo di € 4.556,20), ha dichiarato tassabile "il solo assegno mensile di base nella misura del 50% del suo importo" — ha posto l'affermazione, già contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui, ai sensi dell'art. 6, comma 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, "le indennità conseguite ... a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti" e, pertanto, ove le somme percepite dal contribuente trovino causa nella funzione di riparare la perdita di un reddito, devesi affermare la tassazione della relativa indennità;

che il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.l cod. proc. civ.;

considerato che, con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2, e 51, comma 8, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di considerare che, nel caso di specie, il pagamento al quale era commisurato il risarcimento conseguito aveva natura reddituale solo in minima parte (per il 50% dell'assegno mensile di base) e non reddituale per la residua parte (assegno previsto per il lavoro in sede estera ai sensi dell'art. 51, comma 8, t.u.i.r.), apoditticamente affermando la natura reddituale in toto del risarcimento in questione; segnala che l'Ufficio, in sede di ottemperanza, ha determinato la somma richiesta in restituzione in € 22.428,99 (pur non avendo avuto tale determinazione alcun seguito in quel giudizio, conclusosi con il rigetto dell'istanza del contribuente motivato dal rilievo, fatto proprio anche dalla C.T.R. nella sentenza in questa sede impugnata, che l'invocato giudicato si è limitato ad imporre all'amministrazione finanziaria di rideterminare le imposte dovute sulla minore base imponibile ma nulla ha disposto circa il rimborso);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce altresì la violazione dell'art. 2909 cod. civ., per non essersi la C.T.R. conformata al giudicato formatosi sulla menzionata sentenza della C.T.P. di Roma n. 512/16/11 che, come detto, pronunciando alla controversia relativa alla impugnazione della cartella di pagamento emessa per la causale in discorso nei confronti del contribuente, ha dichiarato "tassabile il solo assegno mensile di base nella misura del 50% del suo importo";

ritenuto che entrambi i motivi sono fondati;

che, con riferimento al secondo, di rilievo preliminare e assorbente, occorre invero rilevare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità e peraltro richiamato anche nella sentenza impugnata, "qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo" (v. Cass. Sez. U. 16/06/2006, n. 13916, e succ. conff.);

che, nel caso di specie, non può dubitarsi che la regula iuris fissata, con efficacia di giudicato secondo quanto pacifico in causa, nel giudizio sorto dalla impugnazione della cartella esattoriale emessa per il recupero dell'importo preteso a saldo dell'Irpef dovuta sulle somme di che trattasi, circa la tassabilità del "solo assegno mensile di base nella misura del 50% del suo importo", involga un "punto fondamentale comune ad entrambe le cause", che forma la "premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza" (di accoglimento parziale del ricorso in quella sede proposto), e che come tale esso precluda il riesame dello stesso "punto di diritto accertato e risolto" nel presente giudizio, riguardante il medesimo rapporto d'imposta negli identici suoi riferimenti oggettivi e temporali, ancorché in funzione di un diverso petitum (impugnazione del diniego di rimborso dell'imposta versata in eccedenza): diversità che però, come condivisibilmente evidenziato nel principio surrichiamato, non esclude la vincolatività del giudicato, in quanto collocantesi (tale diversità) in un momento successivo e consequenziale rispetto al passaggio logico argomentativo nel quale viene a incidere la regola già affermata nel precedente giudizio, con valore "condizionante" inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata;

che in tale contesto erroneo si appalesa il richiamo al limite bensì riconosciuto nella giurisprudenza di questa Corte alla efficacia espansiva del giudicato esterno, laddove esso sia invocato in relazione alla mera "interpretazione giuridica" della norma tributaria: tale limite infatti vale certamente ove l'interpretazione della norma sia contenuta nel giudicato in ipotesi vincolante alla stregua di una "mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto" (trattandosi in tal caso di attività, compiuta dal giudice e consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, inidonea a costituire un limite all'esegesi esercitata da altro giudice, né suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione: v. Cass. n. 23723 del 2013); ma non può essere invocato nella fattispecie in esame in cui l'affermazione della regola di diritto, lungi dall'essere avulsa dalla decisione del caso concreto, costituisce passaggio logico argomentativo di rilievo centrale e fondamentale nella disciplina del medesimo rapporto d'imposta che qui viene in considerazione;

che benché le considerazioni che precedono assumano rilievo assorbente, mette conto rilevare anche la fondatezza del primo motivo di ricorso;

che anche rispetto ad esso non può non rimarcarsi il carattere monco e sostanzialmente contraddittorio delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata laddove, da un lato, essa richiama correttamente il principio secondo cui, ai sensi dell'art. 6, comma secondo, d.P.R. n. 917 del 1986, le indennità conseguite, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti, e sono pertanto tassabili se e nei limiti in cui lo erano questi ultimi, dall'altro però omette di trarne le dovute conseguenze finendo con l'affermare la tassabilità dell'intero importo delle somme corrisposte al contribuente, per le causali predette, anziché nei soli limiti fissati dall'art. 51,comma 8, t.u.i.r. a mente del quale "gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all'estero costituiscono reddito nella misura del 50 per cento. Se per i servizi prestati all'estero dai dipendenti delle amministrazioni statali la legge prevede la corresponsione di una indennità base e di maggiorazioni ad esse collegate concorre a formare il reddito la sola indennità base nella misura del 50 per cento";

che in ragione delle considerazioni che precedono, il ricorso merita pertanto accoglimento e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo il quale dovrà esaminare i motivi d'appello alla luce dei principi sopra affermati, provvedendo altresì alla quantificazione delle somme dovute a rimborso; al giudice del rinvio va altresì demandato il regolamento delle spese anche del presente giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.