Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 marzo 2017, n. 5377

Tributi - IVA - ONLUS - Attività pranoterapeutiche continuative e remunerate con spontanee elargizioni di denaro rese dai fruitori - Assoggettabilità ad IVA - Esclusione

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria della regione Marche con sentenza 1.4.2009 n. 58 ha rigettato l’appello dell’Ufficio di Pesaro dell’Agenzia delle Entrate e confermato la decisione di prime cure che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di associazione L’Angelo ONLUS avente ad oggetto la determinazione dell’IVA dovuta dalla associazione per l’anno 1999, essendo state effettuate prestazioni di servizi pranoterapeutici, dietro elargizioni continuative di denaro da qualificarsi come corrispettivi di servizi.

I Giudici di appello hanno escluso la esistenza degli elementi costitutivi della prestazione di servizi a titolo oneroso, individuata quale presupposto d’imposta dall’art. 3 co 1 Dpr n. 633/72, riconducendo le elargizioni di denaro allo schema della donazione di modica entità, ai sensi degli artt. 770 co 1 e 783 c.c., trattandosi di somme costituite da "poche unità di euro", versate spontaneamente dai fruitori delle prestazioni senza alcun vincolo di natura morale o sociale ed integranti, pertanto, mere liberalità deducibili dai donatori ai sensi dell’art. 10 co 1, lett. g), Dpr n. 917/1986: il carattere continuativo, quotidiano, di tali elargizioni non contrastava con le disposizioni del Dlgs n. 460/1997 che si limitava a regolare la pubblica raccolta di fondi in dipendenza di festività o ricorrenze particolari. Aggiungevano i Giudici di merito che, quanto agli effetti del giudicato esterno invocati dalla associazione, risultavano divenute definitive le sentenze di annullamento delle iscrizioni a ruolo, emesse tra le stesse parti, e relative agli anni di imposta 1999 e 2000.

La sentenza, notificata in data 22.4.2009, è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate con due mezzi, per vizi di violazione di norme di diritto.

Ha resistito con controricorso l’associazione, depositando anche memoria illustrativa.

In esito alla udienza di discussione 21.4.2015, il Collegio, con ordinanza interlocutoria in pari data, rinviava la causa a nuovo ruolo, disponendo l’acquisizione del fascicolo di ufficio presso la Segreteria della CTR delle Marche.

La causa è stata discussa quindi alla udienza 9.12.2015

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2034 c.c., dell’art. 3 co 1, Dpr n. 633/72 e dell’art. 2 co 2, D.Lgs. n. 460/1997, nel testo vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.. L’Agenzia fiscale impugna la statuizione della sentenza di appello che, qualificando le elargizioni di denaro come "spontanee e di modico valore", ha ritenuto inesistente un vincolo obbligatorio e dunque l’assenza di una "controprestazione" imponibile.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che - in disparte le poco perspicue evoluzioni argomentative dei Giudici di appello in ordine alla "obbligazione naturale" disciplinata dall’art. 2034 c.c., ripetutamente ed erroneamente indicato in sentenza come art. 2043 c.c. - la "ratio decidendi" della sentenza di appello si articola sulla rilevazione della fattispecie concreta (elargizioni quotidiane di modeste somme di denaro eseguite dai soggetti che fruivano continuativamente delle prestazioni pranoterapeutiche) e sulla valutazione di tali elementi fattuali, ricondotti dalla CTR allo schema normativo della "donazione di modica entità" ex artt. 770 co 1 e 783 c.c., appare evidente che, contestando l’Agenzia ricorrente nella esposizione del motivo la incongruenza logica della valutazione dei predetti elementi fattuali ed asserendo che tali circostanze, ove considerate unitamente ad altri elementi determinanti rilevati dai verbalizzanti (1-l’attività era rivolta ad un pubblico indifferenziato, e non solo a soggetti bisognosi in quanto affetti "da disagio fìsico, morale o materiale specifico; 2-l'attività della associazione si esauriva interamente nel fornire dette prestazioni; la principale fonte di sostentamento della ONLUS era costituita dai proventi ricavati da dette elargizioni; 3-la associazione rilasciava una ricevuta ai destinatari delle prestazioni di pranoterapia; 4-le somme elargite, cumulate annualmente, evidenziavano una consistente entità), avrebbero dovuto condurre alla prova di un rapporto contrattuale a titolo oneroso, la critica mossa alla sentenza impugnata viene a risolversi nella denuncia di un vizio di logico di motivazione e dunque in "errore di fatto" commesso dalla CTR nella ricostruzione della fattispecie concreta, e non in un "errore di diritto", risultando pertanto inammissibile, per errata individuazione del parametro normativo del sindacato di legittimità, la censura di violazione dell’art. 2034 c.c. correlata al primo "quesito di diritto", formulato ex art. 366 bis c.p.c. in calce alla esposizione del motivo, alla stregua del consolidato principio di diritto secondo cui il vizio di motivazione di cui all'art. 360, n. 5, cod.proc.civ. può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto, mentre il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360, n. 3, cod. proc.civ., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione ("id est": del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, in ogni caso, prospettare l'erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d'inammissibilità ex art. 366, n. 4, cod. proc. civ., i motivi per i quali chiede la cassazione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 22348 del 24/10/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 26307 del 15/12/2014).

Anche la censura relativa alla violazione dell’art. 2, comma 2, del Dlgs 4.12.1997 n. 460 e dell’art. 3 co 1 Dpr n. 633/72, cui è riservata la seconda parte della esposizione del motivo e la formulazione del secondo "quesito di diritto" ex art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi inammissibile e comunque infondata.

La inammissibilità consegue alla genericità della formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., privo di specifico collegamento alla fattispecie concreta: la parte ricorrente, infatti, fonda interamente la censura dando per scontato che le erogazioni di denaro rivestissero natura "corrispettiva", quando tale assunto è stato esplicitamente negato dalla sentenza impugnata, alla stregua di un accertamento in fatto che, come è stato evidenziato, non è stato investito da idonea censura.

Il motivo è altresì infondato.

La CTR ha sostenuto che il carattere continuativo delle prestazioni e la "quotidiana" elargizione delle somme al termine della prestazione si palesavano indifferenti rispetto alle disposizioni del Dlgs n. 460/1997 che regolano lo svolgimento delle attività da parte degli enti non commerciali e delle ONLUS.

La statuizione è conforme all’impianto normativo che regola tali enti non essendo, evidentemente, desumibile dal comma 2 bis dell’art. 108 TUIR (introdotto dall’art. 2 co 1 Dlgs n. 460/1997) alcuna limitazione quantitativa o cronologica -nei confronti dei contribuenti che intendono effettuare, ovvero nei confronti delle ONLUS che le ricevono- alla elargizione di somme di denaro (od alla entità e frequenza delle stesse) destinate all’attività istituzionale dell’ente non commerciale, atteso che la norma è volta esclusivamente a dettare la disciplina delle fonti reddituali delle ONLUS che concorrono a formare l’imponibile, discriminando i fondi "raccolti" presso il pubblico "occasionalmente....in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione, che rimangono sottratti alla imposizione diretta, da quelli invece "raccolti" in modo sistematico e continuativo che vanno invece a comporre la base imponibile del reddito (art. 108, comma 2-bis. "Non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 87: a) i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;..."), dovendo quindi distinguersi tra la "attività di raccolta" dei fondi promossa dall’ente, e la spontanea elargizione di denaro.

Il riferimento della parte ricorrente al comma 2 del medesimo art. 2 del Dlgs n. 460/1997 -che dispone: "Le attività indicate nell'articolo 108, comma 2-bis. lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dal comma 1, fermo restando il regime di esclusione dall'imposta sul valore aggiunto, sono esenti da ogni altro tributo"- non è peraltro esplicativo della censura che, tautologicamente, viene a criticare la sentenza affermando che l’attività svolta dalla associazione deve ritenersi assoggettata ad IVA in quanto costituisce una prestazione di servizi dietro corrispettivo, senza tuttavia indicare la ragione per la quale la CTR avrebbe erroneamente interpretato od applicato l’art. 3 co 1 Dpr n. 633/72 (che reca la definizione di "prestazione di servizio" ai fini IVA).

Anche in questo caso la Agenzia fiscale appare contestare piuttosto la valutazione degli elementi fattuali compiuta dal Giudice di merito per escludere natura corrispettiva alla erogazione di somme da parte dei fruitori delle prestazioni pranoterapeutiche.

Se infatti il carattere continuativo della attività -ove riferito alle prestazioni e non invece, come sembra ritenere l’Agenzia fiscale, alle elargizioni di denaro- può in ipotesi integrare uno degli elementi qualificativi dell’esercizio d’impresa indicati dall’art. 4 Dpr n. 633/72 (norma tributaria, peraltro, non indicata a parametro del sindacato di legittimità dalla Agenzia fiscale), tuttavia quest’unico elemento non appare ex se sufficiente a configurare il presupposto d’imposta ex art. 3, comma 1, Dpr n. 633/72, tenuto conto che tale norma richiede, quale elemento essenziale della fattispecie impositiva, che il sinallagma tra le prestazioni trovi fondamento in un rapporto obbligatorio, ossia in un rapporto giuridicamente vincolante per entrambe le parti: costituiscono, infatti, prestazioni di servizio assoggettate ad IVA ''le prestazioni verso corrispettivo dipendenti in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte".

Orbene la CTR ha ricostruito la fattispecie concreta -in base alle rilevate condotte tenute dalla associazione e dai fruitori delle prestazioni, nonché agli altri indicati elementi circostanziali, provati o non contestati in giudizio- escludendo una comune volontà negoziale diretta alla costituzione di reciproche obbligazioni, accertamento in fatto che -in quanto non censurato sotto il profilo del vizio logico incidente sulla motivazione della sentenza- appare correttamente sussunto in uno schema normativo, individuato dalla CTR in quello della donazione di modico valore, certamente incompatibile con lo schema delle prestazioni corrispettive delineato nell’art. 3, comma 1, Dpr n. 633/72, risultando pertanto esente la decisione del Giudice tributario dal vizio di legittimità denunciato.

Alla rilevata inammissibilità del primo motivo, rende superfluo l’esame del secondo motivo di ricorso con il quale la Agenzia fiscale censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonché dell’art. 15 Dpr n. 602/73 e dell’art. 68 Dlgs n. 546/1992, in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c. (volto ad aggredire la distinta "ratio decidendi" della sentenza di appello che aveva ritenuto invalido l’avviso, prendendo atto di precedenti giudicati della Commissione tributaria provinciale, favorevoli alla associazione contribuente, che avevano annullato le iscrizioni a ruolo della imposta per gli anni 1999 -concernenti anche i medesimi importi contestati con l’avviso opposto- e 2000), che rimane, pertanto, assorbito.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile quanto al primo motivo, assorbito il secondo, e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

- dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia fiscale ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 6.500,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.